Dopo due anni di pandemia gli infermieri sono stanchi e provati. E in Valle d’Aosta ne mancano 116

A spiegarlo è Paola Ascolese, presidente dell’Ordine degli Infermieri. Questa sera, alle 18 al Teatro Splendor, la professione sarà al centro dell'evento "È già mattina. Eroi del Covid-19? No, infermieri”, con le le testimonianze in presenza e la proiezione del docufilm “(R)esisti – 50 giorni nell’inferno del Covid-19”.
Infermieri
Sanità

L’appuntamento è per questa sera, alle 18, al Teatro Splendor di Aosta. Lo spettacolo – in collaborazione con la Regione, l’Usl, il Celva e l’Ordine delle Professioni infermieristiche della Valle d’Aosta – ha un titolo che riporta le lancette a poco più di due anni fa e che lascia poco spazio all’interpretazione: “È già mattina. Eroi del Covid-19? No, infermieri”.

Sul palco, le “Testimonianze in presenza”, con la drammaturgia creata dall’attrice e autrice Barbara Caviglia, cui seguirà la proiezione del docufilm(R)esisti – 50 giorni nell’inferno del Covid-19”, girato nei reparti dell’ospedale regionale dal regista Davide Bongiovanni all’alba della prima ondata.

Nel mezzo – e al centro della serata – ci sono loro, gli infermieri. E la data come spiega la presidente dell’Ordine delle Professioni infermieristiche della Valle d’Aosta Paola Ascolese, non è certo un caso: “Avevamo pensato questo evento per il 18 marzo, giornata dedicata alle Vittime del Covid. Poi, non riuscendo a farlo, abbiamo pensato di avvicinarci al 12 maggio, Giornata Internazionale dell’Infermiere. Abbiamo pensato di parlare della prima ondata di pandemia, quando ancora non era ben chiaro a cosa andavamo incontro. Ci saranno tutti gli operatori sanitari che hanno vissuto la prima fase dell’emergenza, non solo gli infermieri ma anche i tecnici del soccorso, un fisioterapista e un medico rianimatore. Questo, per sottolineare che la sanità non è solo una categoria ma è composta una serie di professionisti che hanno l’obiettivo di assistere il paziente. Per questo appuntamento abbiamo deciso di utilizzare il documentario di Bongiovanni che non era stato ancora visto in Valle e che testimonia molto bene la prima ondata. La scelta era quella di parlare del Covid perché dopo due anni che combattiamo siamo stanchi. E ha dato una batosta a tutti gli infermieri che lavorano in Valle d’Aosta”.

A margine dell’evento – che prevede anche una matinée in pieno svolgimento, cominciata alle 11, abbiamo parlato con la presidente Ascolese della situazione che gli infermieri stanno vivendo. Soprattutto, con “l’incrocio pericoloso” tra carenza atavica di personale e due anni di pandemia.

Spettacolo infermieri

Presidente, spesso, quando si parla di questi due anni di emergenza sanitaria, si dice appunto che gli infermieri sono allo stremo. Qual è la situazione della categoria in questo momento?

“Oggi, in Valle d’Aosta, come in tutta Italia, e lo dice anche la nostra Federazione, c’è mancanza di infermieri. Nella nostra regione ne mancano 116, in Italia 60mila su un totale di 400mila circa. La categoria, in questo momento, è stanca e molto provata da questi due anni. Se la prima fase è stata vissuta come qualcosa di nuovo, quando eravamo tutti ben pronti e compatti, la stanchezza ora si fa sentire”.

Questione ulteriormente aggravata, immagino, dalla pandemia.

Adesso la carenza si sente ancora di più data una mancanza di base che nel tempo non ha fatto che aumentare. Ora la situazione è anche peggiorata, perché il Covid ha amplificato tutti i problemi che già esistevano”.

Da ormai molti anni gli infermieri valdostani, oltre al personale medico, hanno scelto la Svizzera come meta lavorativa. Per quale ragione? O meglio, perché vanno via dalla Valle?

“In Valle non c’è tanta offerta, c’è un ospedale solo non ci sono tante cliniche sul territorio. La Svizzera ti dà una possibilità di scelta, anche sulla gestione degli orari, e possibilità contrattuali che la Valle non può dare anche perché il contratto è nazionale. La Svizzera, per i valdostani, è dietro l’angolo. Lì si può decidere come lavorare e per chi”.

C’è un problema retributivo alla base?

“No, non credo sia una questione di soldi. Ognuno, da professionista, fa delle scelte lavorative. Per questo dico che non è un problema retributivo ma si va dove ci sono sicurezze maggiori, anche quanto riguarda per la vita privata e per cercare anche un riconoscimento che spesso manca, anche se quello, un po’, te lo devi creare da solo”.

Dall’Usl si cercano soluzioni per contrastare le carenze di personale. Ci sono delle “ricette” per invertire questo fenomeno? In chiaro: togliere l’esame preliminare di francese risolverebbe, almeno in parte, il problema?

“Non è una domanda facile. Ci sono diverse azioni, come gli interventi sulle indennità e sul francese, che sono ottime e che potranno servire anche a fare arrivare nuovo personale. Bisogna però fare un lavoro a tavolino con l’Ordine degli Infermieri, con i sindacati e l’assessore per provare a trovare un punto comune, anche sulla valorizzazione e la dignità del lavoratore, che in questo momento manca”.

Riguardo i medici, il numero di chi si specializza è troppo basso rispetto a chi va in pensione. Su alcune aree la mancanza di specialisti è ormai atavica. La situazione per gli infermieri è simile?

“Certo, perché se vanno via in quaranta infermieri in un anno ed il corso di laurea ha trenta iscritti il problema si crea. Il compito dell’Ordine è quello di valorizzare la nostra figura professionale e farla conoscere anche agli studenti, proprio per poterli inserire in questo corso di laurea triennale. Un corso che ha prospettive future, anche per ottenere poi una laurea magistrale o un master. Poi, ne sono sicura, se si valorizza professione le persone arrivano. Questo è un lavoro molto difficile e delicato, ma il punto è quello di portare nuovi studenti al corso di laurea che c’è, e oltretutto è ad Aosta”.

3 risposte

  1. e poi sarebbe ora di smetterla di dare la colpa all’esame di francese… è ridicolo.

  2. Inoltre per concludere il commento precedente, vi ricordo che metà del personale necessario è a casa sospeso, perfettamente sano e idoneo al lavoro, ma non può, perché un qualunque
    quaquaraquà di turno ha pensato bene, svegliatosi al mattino, di far durare un obbligo, ormai assurdo e senza alcun fondamento scientifico, oltre che incostituzionale e contrario a ogni diritto sul lavoro con la complicità di sindacati e ordini professionali, anch’essi “decaduti ” da ogni fondamento giuridico costituzionale.
    Sarebbe veramente lungo argomentare e non si esaurisce qui il discorso, ma fare finta di nulla nel vostro articolo rispetto a questo argomento, denota una pochezza e scarsa presa di visione di una Verità che non potrà più essere a lungo sottaciuta.

    1. Giusto due giorni fa sono andato all’incontro tra i sindacati e la Direzione Usl sulla carenza di personale. Mi hanno parlato di 17 infermieri che hanno abbandonato con licenziamento volontario, 15 unità impegnate per altri servizi – tra cui le Usca – e 22 sospesi. Ne ho scritto qui: https://aostasera.it/notizie/sanita-notizie/carenza-di-personale-sul-tavolo-usl-un-nuovo-bando-ed-un-regolamento-per-lingaggio/

      La Verità non potrà essere sottaciuta e prendo atto del Suo giudizio su “pochezza e scarsa presa di visione”. Non mi sembra però si possa parlare della “metà del personale” cui Lei fa riferimento.

      Ciò detto, senza voler “fare finta di nulla” – anche perché di pezzi sui sanitari sospesi ne sono stati scritti a iosa -, il problema della carenza di personale sanitario è questione di lunga data, ora diventata insostenibile. La prima volta che ho scritto dell’esodo di infermieri e medici in Svizzera è stato quasi dieci anni fa.

      Saluti,
      LV.

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