Colpiscono più uomini che donne, più anziani soli che giovani. La Valle d’Aosta, insieme alla Sardegna, è tra le regioni italiane con il più alto tasso di suicidi. “Su 10 persone che si suicidano, solo tre sono conosciute dai nostri servizi e hanno una diagnosi psichiatrica”, spiega Anna Maria Beoni, direttrice del dipartimento di Salute mentale dell’Usl, intervenuta ieri sera all’Università della Valle d’Aosta, nel capoluogo regionale, durante la conferenza sulla prevenzione del suicidio tra i giovani promossa dall’ateneo su proposta degli studenti.
Non solo una questione psichiatrica
“Non si tratta di una patologia psichiatrica ma di un fenomeno sociale e trasversale che colpisce persone di tutte le età e di tutti i livelli socio culturali – prosegue Beoni -. Anche se assistere a suicidi di giovani che hanno apparentemente una vita normale, con ottime prestazioni lavorative e di studio, e che non hanno mai usufruito dei nostri servizi, ci lascia molto perplessi”. A giocare un ruolo di primo piano sono la solitudine – per questo il suicidio è più frequente tra gli uomini vedovi che non lavorano – l’ansia e l’angoscia. “I pazienti che sono sopravvissuti ci raccontano che nel periodo che precede il tentativo di suicidio c’è un’angoscia esistenziale enorme e un’incapacità a risolvere qualsiasi tipo di problema”, dice la direttrice.
Prevenzione nelle scuole e formazione per gli adulti
Parlando di prevenzione, il dipartimento di Salute Mentale – che insieme alla Regione, all’Università e alle associazioni, come il Mandorlo Fiorito, fa parte tavolo regionale interistituzionale che si occupa di questo tema – ha avviato degli incontri nelle scuole dedicati sia agli studenti, con un focus sulla gestione dell’ansia, sia ai docenti per aiutarli a intercettare tra i ragazzi comportamenti a rischio. Per Beoni, “sono gli insegnanti e i genitori coloro che riescono a percepire dei cambiamenti. Noi arriviamo quando la situazione è già grave”.
Una rete multidisciplinare sul territorio
A ciò si è aggiunta anche una specifica formazione per gli operatori socio sanitari: “Negli ultimi anni abbiamo cercato di creare un approccio multisistematico alla prevenzione. Abbiamo psicologi, educatori, psichiatri, infermieri, terapeuti della riabilitazione psichiatrica che lavorano insieme in un’equipe che include la psichiatria, la psicologia e il SerD, creando una rete di interventi che copre vari contesti territoriali”. Nell’ultimo anno, è stato attivato un sistema di monitoraggio post dimissione. “Il paziente che viene dimesso dal nostro reparto dopo un tentativo di suicidio viene contattato telefonicamente da infermieri, educatori e terapeuti della riabilitazione psichiatrica e monitorato attraverso visite domiciliari per cogliere eventuali segnali“, prosegue la direttrice del dipartimento di Salute Mentale.
Una psichiatria fuori dal reparto
La sfida è proprio quella di essere più presenti sul territorio. “Non dobbiamo immaginare una psichiatria dentro il reparto ma sul territorio, che va a casa del paziente – afferma Beoni -. Abbiamo attivato sei convenzioni con le associazioni che sono una grande risorsa per noi perché ci permettono di collaborare attivamente sul territorio. Abbiamo una collaborazione con la Uisp, l’Unione italiana sport per tutti, e insegniamo ai tecnici sportivi a cogliere i segnali di disagio nei giovani atleti, e con il Celva. Collaboriamo con la neuropsichiatria infantile e con il carcere”.
Nuovi servizi per giovani e famiglie
Dall’inizio di maggio è aperto l’ambulatorio dedicato all’Adhd, il disturbo da deficit di attenzione e iperattività, che “è un altro fattore di rischio suicidario nei giovani”, mentre prosegue il progetto Youngle, il servizio pubblico di ascolto tramite app gestito da adolescenti opportunamente formati per gli adolescenti. Sempre in quest’ottica, è stato attivato grazie al Fondo Covid il progetto Wip – Work in progress, il servizio di prevenzione e supporto psicoeducativo al disagio psichico in età adolescenziale che coinvolge al momento 25 ragazzi tra i 12 e i 17 anni, le loro famiglie, la scuola e le comunità minori per adolescenti.
Accesso libero e nuovi sportelli in Bassa Valle
Oltre alla rete dei servizi territoriali, il supporto psicologico e psichiatrico ai più giovani passa anche per i consultori e gli ambulatori del servizio di Psicologia, come il consultorio adolescenti “Pangolo” (13-21 anni), il cui accesso è libero, l’ambulatorio psicologico giovani adulti (18-25 anni), nato dopo la pandemia, e il neonato ambulatorio giovani adulti con problemi psichiatrici (18-30 anni) per offrire un supporto immediato a chi ha già dei comportamenti a rischio. La loro sede è ad Aosta, per questo “per il futuro c’è l’intenzione di aprire un altro punto, tipo il consultorio giovani, a Donnas con una collega dell’area adulti – dice Meri Madeo, responsabile del Servizio psicologia territoriale e dell’emergenza dell’Usl -. Proprio perché la richiesta è notevole abbiamo pensato anche in Bassa Valle di dare questa opportunità”.
La ricerca dell’Università: parlare di “agio”
Anche l’università valdostana è impegnata in prima linea nell’affrontare il disagio giovanile. Durante l’incontro, sono stati illustrati i risultati di una ricerca realizzata dai ricercatori Eleonora Centonze e Giuseppe Di Maria, ricercatori dell’Università della Valle d’Aosta, che ribalta il paradigma. “Non ci siamo occupati di disagio ma di agio, ovvero di promozione del benessere e della salute mentale tra i più giovani e tra gli adulti”, spiega Di Maria. Al progetto, che è consistito in un serie di incontri di gruppi e nella somministrazione di un questionario, hanno aderito 121 ragazzi provenienti da varie scuole del territorio, 65 genitori, 22 insegnanti e 46 educatori, allenatori ed animatori.
Dai dati raccolti tra i più giovani attraverso dei questionari, è emerso che il livello di benessere percepito va da sufficiente per quanto riguarda la salute fisica, la vita emotiva e i passatempi a discreto per quanto riguarda le relazioni sociali. A scuola il livello di gratificazione è giudicato insufficiente e le ragazze sono quelle che hanno punteggi più bassi nella qualità della vita emotiva. Ad eccezione dell’area delle relazioni sociali, all’aumentare dell’età diminuisce la qualità della vita percepita soprattutto all’interno dell’ambiente scolastico.
Durante gli incontri, i ragazzi hanno manifestato il timore del giudizio, la difficoltà nel gestire in maniera costruttiva il conflitto, nel tollerare la frustrazione, nel desiderare. “L’errore non è considerato come un’occasione di apprendimento ma come una fonte di una vergogna troppo intensa per poter essere tollerata“, conclude Centonze. Lato adulti, Di Maria osserva come la società di oggi sia caratterizzata da una forte carenza formativa sull’educazione da parte degli adulti, una proliferazione di modelli educativi spesso non coerenti tra loro e in conflitto, un senso di solitudine e di paura dei genitori che sentono spesso sotto accusa e un forte aumento della conflitttualità perché non concordi sulle azioni educative da intraprendere.
Per l’assessore regionale al Sistema educativo, Jean-Pierre Guichardaz, che ha introdotto la conferenza, serve “parlare di prevenzione al suicidio è un atto politico, educativo e profondamente umano“. E aggiunge: “La scuola, ancora per molti ragazzi, è il luogo in cui ci si gioca la possibilità di restare. Dove si può trovare qualcuno che ascolta o peggio, dove non si trova nessuno. Abbiamo voluto gli sportelli psicopedagogici nelle scuole superiori e stiamo lavorando per estenderli in tutte le scuole medie. Siamo ancora in una società che insegna ai maschi a non piangere e a non mostrarsi fragili forse perché la virilità è ancora intesa come controllo, potere e silenzio. E in quel silenzio si annida la fragilità più pericoloso. È necessaria una nuova cultura maschile, una nuova cultura delle emozioni“.
Una risposta
Per chi e cattolico praticante e’ abominio verso Dio. Per chi guarda la scienza non c’è vita che non debba essere salvata .