“I detenuti sono 294, di cui una decina di valdostani, con una percentuale di cittadini extracomunitari di varia nazionalità che oltrepassa il 60% e con una pena che in media oscilla tra i 3 e i 5 anni, mentre i dipendenti della struttura sono circa 190 tra medici, agenti, guardie e personale vario”. Sono questi i numeri del carcere di Brissogne, snocciolati in mattinata dal Direttore Domenico Minervini, durante la visita di una delegazione di consiglieri regionali e del Difensore Civico.
Tante le criticità rilevate durante la visita. La primo riguarda l’annoso problema del sovraffollamento. “Una nota sentenza della Corte di giustizia permette, per ciascun detenuto e in caso di emergenza carceraria – ha spiegato Luciano Caveri – piccoli spazi ciascuno per le detenzione e questo ha dilatato magicamente le carceri italiane, che scoppiano invece tutte di reclusi”. Senza dimenticare il problema principale: i soldi. “Per l’Amministrazione carceraria il problema restano i fondi gravemente insufficienti, che rendono problematica l’ordinaria manutenzione, la fornitura di beni essenziali, lavori che migliorino la condizione detentiva o denaro che paghi decorosamente i detenuti per i "lavoretti" che svolgono all’interno”.
Mancanza di fondi che ha ritardato il passaggio alla Regione della sanità penitenziaria, decisione approvata dall’Assemblea valdostana lo scorso marzo. “Per rendere operative tali importanti funzioni – ha spiegato il Vicepresidente del Consiglio, André Lanièce – sono però necessarie delle risorse finanziarie il cui trasferimento, da parte dello Stato, attraverso un decreto, a oggi non è purtroppo ancora avvenuto. Dopo la pausa estiva dei lavori abbiamo l’intenzione di approfondire la questione nella Commissione consiliare competente al fine di predisporre una risoluzione volta a sollecitare il Governo nazionale a intervenire in tal senso”.
In ogni caso, secondo il Direttore, Domenico Minervini, qualche motivo per essere ottimisti c’è. “Anche qui in Valle d’Aosta – ha spiegato – la collaborazione sia con la Regione che con i privati cittadini è migliorata. Abbiamo inserito altri detenuti fuori al lavoro, abbiamo migliorato anche le condizioni di vita all’interno: non mi sento per non essere presuntuoso di dire che tante cose sono migliorate. Il nostro modello è stato recepito anche a livello nazionale, e quindi di questo siamo contenti perché abbiamo fatto un po’ da apripista”.
Che esista qualche sprazzo di luce, lo conferma anche Caveri. “E’ fondamentale che alcune sezioni celle restino aperte durante il giorno, "decomprimendo" la nevrosi da prigionia e vi sono 14 detenuti, pochi apparentemente ma tanti rispetto alla media nazionale, che svolgono diversi lavori". Altri sono impegnati in corsi di formazione professionale, come ha ricordato Raimondo Donzel, "perchè c’è la volontà di attivare meccanismi di recupero vero, di motivare questi detenuti a dei lavori che consentano un reinserimento concreto".
“E’ l’unico modo – conclude Minervini riprendendo il concetto – decomprimere per poter vivere meglio in istituto, detenuti e personale di Polizia che vi lavora a contatto. Su questa strada bisogna proseguire, però è chiaro che se arriverà qualche aiutino o finanziamento, e non solo tagli, forse riusciremo a fare anche qualcosa di meglio”.