Cronaca di un’Olimpiade: il racconto di Andrea Chiericato a Pechino
Quando ci incontriamo non ha la faccia di chi ha dovuto smaltire, appena due giorni prima, 7 ore di fuso orario al termine di due settimane che definire “intense” è un eufemismo. “Ho dormito praticamente per tutto il volo di ritorno, lunedì sono andato a letto credo alle otto di sera e ora sono fresco come una rosa”. Andrea Chiericato è stato l’unico giornalista valdostano alle Olimpiadi di Pechino, che ha vissuto dall’inizio alla fine come Direttore responsabile di Race Ski Magazine, punto di riferimento per lo sci alpino, nonché come firma de La Stampa Aosta. Senza trascurare, anche dall’altra parte del mondo, il lavoro di ufficio stampa.
Instancabile, appena atterrato a Malpensa nella mattinata di lunedì 21 febbraio, dopo aver viaggiato per circa 10 ore sullo stesso volo che ha riportato in Italia, tra le altre, Arianna Fontana, Federica Brignone ed il vessillo olimpico ed aver seguito la conferenza stampa in aeroporto, si è catapultato a La Salle per la festa alla valdostana.
Un’esperienza, quella cinese, che Andrea Chiericato definisce più volte come “dura e complicata”. Non solo per i ritmi e la mole di lavoro, con la giornata che iniziava alle 6 del mattino con la colazione a base di caffè e tampone, per poi concludersi anche alle 2 di notte. “L’organizzazione è stata davvero complessa”, racconta il 33enne valdostano. “Il grosso problema erano i trasporti, spesso era quasi più il tempo che impiegavamo ad organizzare i viaggi interni che quello di lavoro. Non si poteva uscire dal closed loop: questo voleva dire che all’interno della bolla olimpica si poteva fare abbastanza di tutto, ma non se ne poteva uscire perché c’erano recinzioni e cancelli. Per fare un esempio: la fermata dell’autobus che portava a Yanqing, dove si svolgevano gli eventi dello sci alpino, era a 50 metri dalla mia stanza. Per arrivarci dovevo fare 500 metri a piedi nella bolla e prendere la navetta che, dopo 300 metri, ci lasciava alla fermata del pullman. Da lì c’erano altre due ore di viaggio”.
Da questo punto di vista, l’altro grande problema erano le coincidenze che non c’erano, le poche corse e ad orari sbagliati, ed i mezzi spesso privi di riscaldamento e di connessione a internet. “La nostra idea iniziale era quella di prendere un albergo in centro a Pechino, vicino a Piazza Tienanmen ed al press center principale”, prosegue Chiericato. “Le cose si sono complicate a settembre, con il primo playbook che imponeva di risiedere solo in alcune strutture all’interno della bolla. Da Pechino, con i treni super rapidi, in 20-40 minuti saresti arrivato alle sedi di gara. In questo modo invece la preoccupazione principale, una volta finite le competizioni, non era scrivere gli articoli ma trovare il modo di rientrare a casa. Parlando anche con altri colleghi più esperti, questa era la prima Olimpiade in cui dovevi fare una scelta sugli eventi da seguire, in genere potevi farne anche due o tre al giorno”.
Aggiungici il freddo (“di freddo in vita mia ne ho preso e ne prenderò, ma mai così”), le tribolazioni prima di partire, l’ansia di risultare positivo, l’atmosfera un po’ inquietante all’arrivo e le difficoltà di comunicazione con i cinesi, e la definizione “dura e complicata” è più che comprensibile. La vita sociale era impossibile, anche se “a noi che eravamo a Zhangjiakou è andata tutto sommato bene, perché nella bolla c’erano ristoranti, market ed altro. Sembrava quasi più un villaggio”.
Una volta preso il giro, le cose si sono semplificate un po’, ed il giornalista valdostano ha stretto rapporti con altri colleghi, nonché con atleti azzurri. “La prima settimana è stata intensa anche dal punto di vista sportivo, con tante possibilità di medaglie: eri sempre in ballo, sempre in tiro, e le vittorie davano una carica adrenalinica che anche se dormivi quattro ore stavi bene. Paradossalmente, ero più stanco dopo il giorno libero che mi sono preso per girare per Pechino che nella prima settimana di lavoro”. Il momento che Andrea Chiericato non dimenticherà è la medaglia d’argento di Sofia Goggia: “Da pelle d’oca, non ho mai visto uno staff intero piangere per una medaglia”.
Nonostante le difficoltà, nonostante la durezza, è stata sicuramente un’esperienza da ricordare: “L’Olimpiade è l’Olimpiade, tanta roba”, conclude Chiericato. “Purtroppo non c’è stato molto il colore ed il calore dal punto di vista del pubblico, che non ha tanto la cultura dei grandi eventi negli sport invernali, anche se si stanno sviluppando molto creando decine di stazioni sciistiche. Il tifo è mancato, se penso a cosa potrebbe essere un’Olimpiade a Milano-Cortina, fuori dalla pandemia e con il pubblico delle grandi classiche, non vedo l’ora”.