La campagna sanitaria contro la dermatite nodulare bovina negli alpeggi e nelle stalle valdostane sta per volgere al termine: l’ultimo bollettino ufficiale di venerdì scorso, 29 agosto, riportava che nelle prime tre settimane erano state vaccinate l’82% delle circa 35mila bovine presenti sul territorio regionale. Prima della giornata di ieri, mercoledì 3 settembre, mancavano però all’appello appena 600 animali, ovvero l’1,7% del campione da sottoporre a vaccinazione. Un risultato importante, che fa il paio con la recente via libera del Ministero della Salute a movimentare latte e prodotti a latte crudo (Fontina e toma) provenienti da allevamenti situati in zona di sorveglianza.
Tutto risolto dunque? Neanche per sogno. Perché in attesa delle inoculazioni degli ultimi capi di bestiame – spesso di proprietà di allevatori che sin dall’inizio di questa vicenda non hanno nascosto la loro contrarietà alla vaccinazione obbligatoria dei bovini – resta ancora l’incertezza relativa a quando (e come) potrà riprendere la normale attività degli allevatori. Che non è fatta solo della gestione primaria dei loro animali, ma anche di valorizzazione di questo “capitale”: una valorizzazione che ha necessariamente bisogno di poter spostare i bovini e di mostrargli agli addetti ai lavori.
Mercati, rassegne e combats potranno ripartire?

Il 9 agosto scorso sono stati somministrati i primi vaccini alla mandria di Davide Ramires di Quart, che gestisce un alpeggio al colle del Piccolo San Bernardo. Il siero contro la dermatite nodulare bovina diventa efficace dopo 28 giorni (ergo, sabato 6 settembre), o perlomeno dopo questo lasso di tempo è consentita la movimentazione degli animali. Servirà necessariamente questo “via libera” per ripartire con le manifestazioni zootecniche del settore: batailles de reines, ma anche rassegne zonali e mercati, elementi indispensabili per un settore che ha sofferto (e continua a soffrire) della paralisi di questa pandemia.
Le varie associazioni degli allevatori – Arev e Amis des Batailles de Reines in primis – sono al lavoro per andare a ridefinire i calendari delle iniziative autunnali, per permettere così di salvare almeno una parte degli eventi destinati ad allevatori e bovini. La possibile data della “ripartenza” è quella di domenica 28 settembre, ma al momento non trova riscontri ufficiali da nessuna parte: sarebbe significativo, in un certo senso, far ripartire i combats alla vigilia della festa di San Michele, la giornata tradizionalmente dedicata alla desarpa, ma ad oggi la sensazione è che nessuno voglia sbilanciarsi più di tanto, se non altro per evitare di dare false speranze a chi vive o a chi frequenta questo settore.
Il settore rischia la paralisi
L’unica cosa certa è che si farà di tutto per ripartire. Pensare di perdere l’autunno 2025 – dopo che già l’estate è andata a farsi benedire – fa venire i brividi agli allevatori, una categoria già segnata dalle difficoltà dell’ordinaria amministrazione e che non può permettersi un blocco di questo tipo.
Le motivazioni sono prettamente economiche, ma i risvolti sono anche e soprattutto sociali. Cerchiamo di capire perché, utilizzando quella vetrina dell’allevamento valdostano che sono le batailles de reines.
Un passatempo domenicale per molti, ma per l’allevatore bravo e fortunato che riesce a qualificare una bovina alla finale regionale o addirittura a conquistare un bosquet di concorso è anche l’occasione per migliorare il valore del proprio “capitale animale”. A livello di genealogia in primis, ma il medesimo discorso si può tradurre in denaro: cercheremo di farlo di seguito, utilizzando dati e cifre che sono state messe a punto con l’aiuto di diversi addetti ai lavori.
Oggi un vitello maschio (di circa 20 giorni) della razza pezzata castana valdostana – la razza delle reines, per intendersi – può valere sul mercato un centinaio di euro o poco più. Ma se la madre è una regina di concorso, però, il prezzo aumenta, e di parecchio: il medesimo vitello può essere venduto anche a 1.000 euro, ovvero a dieci volte il prezzo di mercato. Diverso anche il futuro del giovane animale: il primo è destinato ad essere allevato per le sue carni, il secondo diventerà invece un “riproduttore” che avrà il compito di generare principalmente figlie di alta qualità.
La vitella femmina con una mamma “di razza” invece quanto può valere? Secondo alcuni anche il doppio rispetto a un maschio, ovvero 2.000 euro. Ma la verità è che difficilmente un allevatore si separerebbe dal vitello femmina nato dopo un successo o un piazzamento di prestigio. Perché quel vitello potrebbe ripetere i gesti della madre, 4 o 5 anni dopo.
Quanto costa una reina?

Tra i suiveurs delle batailles, soprattutto dopo la finale Regionale, uno dei passatempi più in voga è il dare un prezzo alle regine stesse, o perlomeno chiacchierare (o spettegolare, usate il termine che preferite) sulle offerte economiche ricevute dai proprietari delle tre reines regionali.
Piccolo salto indietro nel tempo: nel 2014 si vociferava che Enrico Grivel avesse rifiutato un’offerta di 45mila euro per Bijoux, che si era appena laureata reina in prima categoria. Che sia vero o meno non è dato saperlo, sta di fatto che Bijoux ha continuato a combattere per Grivel. Altri allevatori invece hanno scelto la cessione delle proprie protette, verosimilmente a fronte di offerte economiche importanti. Se per una reina regionale si può arrivare spendere quasi cinquantamila euro, è verosimile che per regine arrivate nei quarti alla Croix-Noire qualcuno possa arrivare a mettere sul piatto alcune decine di migliaia di euro. Attenzione, però: il risultato singolo, l’exploit di una stagione, da solo non basta. Chi piazza queste offerte importanti di solito presta attenzione anche e soprattutto all’albero genealogico della bovina, anche nell’ottica di un investimento a lungo termine. Che, in parole povere, vuol dire: compro una regina per le sue capacità, ma anche perché può generare – in futuro – vitelle di alta, altissima qualità.
Allargando l’orizzonte, e quindi aggiungendo alle batailles anche le rassegne zootecniche dell’Arev e i mercati zonali, una considerazione è necessaria. La fine della stagione degli alpeggi ormai imminente è anche l’occasione, per gli allevatori, di fare scelte sul loro bestiame. In vista dell’inverno c’è da riempire la stalla, magari decidendo di sacrificare qualche bovina adulta per far spazio a manze più giovani, perseguendo il fine di migliorare la qualità del proprio bestiame. Per farlo, però, c’è bisogno di toccare con mano le alternative, le possibilità di acquisto. In estrema sintesi, cosa propone il mercato.
Batailles e rassegne sono anche questo, ovvero occasioni di confronto tra allevatori. Occasione per ritrovarsi, scambiarsi opinioni, magari concludere un affare. Senza queste occasioni di confronto, le possibilità di scambio si riducono drasticamente. Gli allevamenti si fermano, non si muovono: e fermarsi, in questo mondo, vuol dire non progredire.
L’indotto delle batailles

“Se si fermano le batailles, si ferma tutto”: un mantra ripetuto da tanti allevatori al tempo del Covid e più che mai attuale in questa estate così particolare per il mondo zootecnico. Senza le batailles, le occasioni di confronto per il mondo agricolo latitano. E i risvolti negativi non sono limitati ai soli allevatori. Intorno alle eliminatorie dei combats gravitano tante altre professionalità che sono rimaste appiedate in questa estate di pandemia bovina: basti pensare ai servizi di ristoro, ma anche a quelli della logistica (transennatura, impianti audio), senza dimenticare di chi si occupa di sicurezza e dalla produzione delle immagini.
E poi ci sono i Comuni che ospitano i combats: località che investono sull’evento, spesso con un contributo finanziario ma soprattutto prestando forza lavoro (volontari per la viabilità, volontari per le Pro Loco), con lo scopo di far conoscere e vivere il proprio territorio.
Di fatto le batailles de reines – al netto delle storie dei suoi protagonisti che cerchiamo di raccontare ogni domenica, pandemia permettendo – sono un business: una ventina di eventi l’anno, una media di duemila partecipanti ad ogni evento (tra paganti ed addetti ai lavori). Tanta gente che partecipa, per i motivi più disparati, e tanta gente che lavora per accogliere. In Valle d’Aosta non c’è un altro circuito che si avvicina, neanche lontanamente, a numeri simili.