Dispersione scolastica, “analisi traballante, con copia e incolla di frasi fatte”
Mercoledì 21 maggio è stato pubblicato un articolo su AostaSera.it perfettamente in linea con il generale tono denigratorio che, in questi anni, è stato utilizzato a proposito del mondo della scuola e degli insegnanti. Ciò che sorprende però, questa volta, è la fonte dalla quale provengono le notizie riportate nel pezzo proposto ai lettori. Non si tratterebbe quindi delle solite chiacchiere da bar utilizzate per riempire qualche spazio vuoto da qualche giornalista poco attento, ma di idee diffuse dalla stessa Giunta regionale attraverso il Piano d’interventi per il miglioramento e il potenziamento delle politiche scolastiche.
Secondo questo documento, l’alta dispersione scolastica in Valle d’Aosta è dovuta ad una scuola troppo selettiva. A nostro avviso una simile conclusione è quantomeno avventata. Il confronto tra due regioni come la Valle d’Aosta e il Trentino Alto Adige, seppure entrambe alpine e autonome, non regge. In Valle d’Aosta non esiste sviluppo locale: se qui 50 anni di autonomia hanno creato una situazione di sterile assistenzialismo, in Trentino invece hanno portato allo sviluppo di filiere produttive legate al territorio che ancora oggi danno i loro frutti. Questo è stato possibile solo grazie alla presenza di scuole professionalizzanti ed efficienti. La Valle d’Aosta, regione che punta su turismo e valorizzazione dei prodotti locali, di fatto limita fortemente l’accesso alle scuole che formano i ragazzi in tali ambiti: test di ingresso molto selettivi e rette scolastiche costituiscono uno scoglio insormontabile per molti dei ragazzi che potenzialmente ne sarebbero attratti. Questa situazione appare paradossale se si pensa che I.A.R. e I.P.R.A. sono istituzioni controllate dalla Regione.
Se la funzione pedagogica della ripetenza è dibattuta, è però vero che questa, nel bene e nel male, si è da sempre collocata all’interno del sistema scolastico italiano come centrale; è decisamente scorretto addebitare le cause di un problema complesso come quello della dispersione scolastica a un singolo fattore, che determinerebbe tutti gli altri “elementi di sofferenza” indicati dal documento della SREV. La scuola italiana attraversa certamente un periodo di crisi, ma si tratta di crisi di sistema, non di semplice cattiva condotta di chi, come dirigenti e docenti, è chiamato a muoversi al suo interno.
Inoltre la cosa che stupisce prima e preoccupa appena dopo è che le suddette analisi non abbiano minimamente preso le mosse da considerazioni pedagogiche e formative, ma esclusivamente statistiche ed economiche… e ce lo dicono apertamente: “a rischio sono i fondi dell’Unione Europea”, sicuramente importanti, ma quantomeno da affiancare alla preoccupazione che i ragazzi escano dalle scuole preparati. Ci sembra d’altronde che le finalità delle istituzioni in ambito scolastico abbiano ormai un orientamento ben preciso e molto lontano da quello che ci si aspetterebbe: invece di occuparsi dell’elaborazione di programmi a lungo termine che portino allo sviluppo di una scuola di qualità, che punti all’approfondimento disciplinare e alla rielaborazione critica dei contenuti, la politica si fa portavoce delle esigenze più becere dell’economia per rispondere alle richieste di un mercato del lavoro sempre più deregolamentato.
Qui non si mette neanche in discussione il fatto che non si debbano fare previsioni su scenari futuri, anche se poco allettanti, e prepararsi ad un contesto difficile; e nemmeno ci si compiace di vedere ragazzi di 16 anni ancora alle medie – nessuno lo vuole – ma si pretende che l’organo amministrativo preposto sia guidato da un faro, quello della crescita umana, intellettuale ed etica dei ragazzi.
Fa rabbrividire allora la conclusione dell’articolo citato, “…alla fine dei conti, un anno supplementare di formazione comporta dei costi, non solo per l’allievo e la sua famiglia, ma anche per la società, se si considerano gli oneri derivanti dal ritardo dell’entrata dell’allievo nel mercato del lavoro.” Come a dire: non importa cosa esce dalle scuole d’Italia come da quelle della Valle, l’essenziale è però che qualcosa continui ad uscire, così da non creare intralci all’ordinario flusso delle cose economiche.
Insomma, da parte di un organo così importante della Regione ci aspettavamo qualcosa di più, non un’analisi traballante fondata su numeri incomparabili, non un copia e incolla di tutte le frasi fatte che circolano sui documenti europei da quasi vent’anni, ma soprattutto ci aspettavamo qualche idea nuova, capace di coalizzare tutte le figure interessate nel processo formativo di ragazzi e ragazze, per uscire dal pantano di dati sterili, numeri, statistiche in cui far rientrare qualcosa di cui si ha sempre più l’impressione di aver perso il controllo.
Lettera firmata da una decina d’insegnanti della Scuola secondaria di primo grado