Non un formaggio, ma un progetto caseario dalle idee molto chiare: l’ARPAV, ha presentato ad Aosta i produttori che stanno crescendo nel segno di questo coraggioso formaggio e con l’aiuto di Slow Food che, come un vero e proprio consulente, sta tracciando una nuova via per il mondo caseario valdostano e per l’idea di una montagna vissuta, non solo osservata. A presentare gli ultimi passi del progetto Bernard Clos (presidente di ARPAV) e Adolfo Dujany (presidente di Slow Food VdA).
In Valle d’Aosta, dove le montagne superano con naturalezza i duemila metri e il lavoro dell’uomo si intreccia con la resistenza della natura, nasce l’Estrema d’Alpeggio, un formaggio che non è soltanto un prodotto gastronomico, ma la testimonianza vivente di una scelta radicale: restare in quota, continuare un mestiere che, altrove, si sta lentamente perdendo.
Negli ultimi anni, questo progetto ha raggiunto un importante riconoscimento: l’ingresso nel Presidio Slow Food “Prati Stabili e Pascoli”, un traguardo che certifica la qualità, la sostenibilità e l’importanza culturale di un formaggio unico nel suo genere. Il presidio in questione è dedicato a quei formaggi prodotti in aree di montagna dove il pascolo non è solo un metodo di alimentazione, ma un patrimonio culturale e ambientale da difendere.
L’Estrema d’Alpeggio nasce infatti negli alpeggi situati tra i 2.000 e i 2.700 metri di altitudine, dove la vita agricola e l’organizzazione delle risorse sono aspetti d più difficile gestione: la logistica è complicata, il pascolo è vasto ma selvaggio. Eppure, è proprio questa “estrema” difficoltà a dare al formaggio il suo carattere: il latte proviene da una sola mungitura, è rigorosamente crudo, ed è di animali assolutamente di razze autoctone (pezzata rossa, pezzata nera, castana), che si alimentano esclusivamente di erba d’alta quota. Nessuna miscela, nessuna integrazione artificiale, ma pascoli naturali che determinano il profilo aromatico del latte.
La produzione del nuovo presidio Slow Food valdostano è volutamente limitata: ogni forma è la sintesi di un luogo preciso e di una giornata precisa, perché ogni alpeggio è identificabile sulla forma. Il risultato è un formaggio grasso semicotto, stagionato almeno 120 giorni e i produttori scelti sono Julien Praz (Alpe Plontaz di Valgrisenche), Marco Marinod (Alpe Vertosan di Avise), Donato Petitjacques (Alpe Plan Vauon di Bionaz) e Denis ed Eliseo Duclos (Alpeggio Praz d’Arc di Saint-Rhémy-en-Bosses). Inoltre, Donato Martinod, dell’alpeggio Lo Fra di Vertosan (Avise), ha presentato una forma che ancora non è stata marchiata perché non ha ancora raggiunto i mesi esatti di stagionatura, ma è prossima all’ingresso nel progetto.
L’idea alla base dell’Estrema d’Alpeggio è semplice ma potente: ridare dignità economica a chi vive e lavora in alta montagna. Negli ultimi decenni, le produzioni d’alpe venivano spesso pagate meno del loro reale costo di produzione, scoraggiando giovani casari e abbandonando pascoli che necessitano di cura costante, Estrema si pone come obiettivo anche un prezzo giusto per i produttori, che rispecchi lo sforzo lavorativo. È così che l’ Estrema d’Alpeggio non solo garantisce un prodotto eccellente, ma difende un mestiere antico, delicato e indispensabile per la salvaguardia dell’ambiente alpino.
Il recente ingresso dell’Estrema d’Alpeggio nel Presidio Slow Food “Prati Stabili e Pascoli”, dopo diversi sopralluoghi da parte di esperti e responsabili dell’associazione, rappresenta una tappa fondamentale: Slow Food riconosce infatti quei prodotti in cui la qualità organolettica si intreccia con la tutela dell’ecosistema e delle comunità locali. E oggi l’Estrema d’Alpeggio segna il suo volersi porre come un simbolo di resistenza culturale, un atto di fiducia verso la montagna e un esempio virtuoso di come qualità, etica e ambiente possano convivere e di come sia possibile continuare a produrre formaggi buoni, rispettosi dell’ambiente, giusti nel prezzo e rispettando i pascoli che definiscono l’identità delle Alpi valdostane.
