Gli anni ’90 sono lontani, e oggi lo sembrano forse ancora di più. Ma i tempi nei quali lo spauracchio – o forse “il male del secolo” – era l’HIV, il virus dell’immunodeficienza umana, l’infezione che se non trattata provoca l’Aids, sono purtroppo più vicini di quanto sembri.
La questione di fondo, con l’Usl a spingere forte sulla necessità di informarsi, è il fatto che se ne parli meno e che il problema sembri, anch’esso, storia antica.
Così non è: “Purtroppo si ha ancora la percezione che l’HIV sia una patologia che colpisce una categoria di rischio ma non lo è, è anzi legata a comportamenti e rapporti sessuali a rischio, quelli cioè senza utilizzare precauzioni”.
A colpire sono i dati: “In Valle d’Aosta abbiamo più o meno lo stesso numero di casi annuo – spiega Silvia Magnani, infettivologa e dirigente medico del reparto Malattie infettive – ma questo è un anno particolarmente triste per noi perché il dato aumenta. Non solo, è stato un anno molto triste perché un paziente, che era già ricoverato, nonostante le cure è deceduto a poco tempo dalla diagnosi”.
Sono stati infatti 10 i casi di infezione da HIV nel 2019 in Regione, che cubano una proporzione di 8 casi ogni 100.0000 residenti, rispetto ad un dato nazionale che si ferma a 6 su 100.000. O, per dirla con Magnani: “l’incidenza di infezioni da Hiv in Valle è superiore al normale”.
Il problema del “sommerso”
Al di là del rischio effettivo dato dai rapporti sessuali non protetti il problema è un altro: “C’è un sommerso di casi non diagnosticati – prosegue Magnani -, e si stima che in Italia un sieropositivo su sette non sappia di esserlo”.
Problema nel problema, dal momento che l’infezione da HIV: “Non ha sintomi – spiega ancora la dottoressa -, per quello diagnostichiamo chi ha un’infezione piuttosto avanzata. Serve sensibilizzare la popolazione a fare il test, oggi ci sono anche test rapidi salivari disponibili in farmacia che vanno però poi confermati in ospedale con un test HIV gratuito, che si può prenotare nell’ambulatorio Malattie infettive in maniera anonima chiamando lo 0165 543390. Il test in farmacia è sicuro sulla negatività, sulla positività serve invece la conferma”.
Una percezione sbagliata
Mentre in Valle non ci sono nuovi casi di infezione per chi usa gli stupefacenti via endovenosa, grazie anche al lavoro informativo del Ser.D, la media italiana rimane invece attorno al 15%.
Il problema delle “categorie di rischio” crolla quando i numeri dicono chiaramente che i rapporti sessuali non protetti sono la causa principale di trasmissione del virus, e incidono per l’84%, il 46% del dato è riferito a eterosessuali ed il 38% agli omosessuali. Dato che in Valle pareggia perfettamente tra uomini e donne – entrambi al 50% – come tra stranieri e italiani.
A rischio è, come ricorda l’Usl, la visione che si ha, ed è preoccupante: “Abbiamo fatto delle domande ai ragazzi di terza, quarta e quinta superiore – prosegue Magnani – e per il 60% di loro il rapporto sessuale non protetto porta con sé il rischio gravidanza, la prima preoccupazione. Il che porta a cercare degli anticoncezionali che però non fermano l’infezione”.
Che fine ha fatto il vaccino?
Il vaccino contro l’HIV, invece, è ancora in divenire: “Se ne parla ogni anno – prosegue Magnani – ora si è nella fase tre di sperimentazione. Ci siamo quasi ma in realtà serve a chi non ha la patologia. Sarà importante averlo ma il problema resta quello della percezione del rischio: chi non usa il preservativo non va neanche a farsi vaccinare perché non ci pensa. Per il resto c’è solo il test dell’HIV, perché si possono fare anche esami molto approfonditi e non trovare nulla di alterato a meno che non si sia in fase avanzata”.
L’importanza dell’informazione
Il tema caldo è uno e uno soltanto: divulgare le informazioni corrette, spingere a fare il test nel caso di rapporti a rischio.
Un punto della situazione la fa Angelo Pescarmona, Commissario dell’Usl: “Trent’anni fa pensavamo di aver approcciato e risolto questo problema ma non è così. La percezione che si ha della malattia, nonostante anni e lustri di messa in guardia, è ancora quella di una cosa che capita agli altri. Non riusciamo ad essere abbastanza convincenti e a debellarla, e questo è un interrogativo che pongo a me stesso, ai professionisti e ai giornalisti, perché è importante divulgare la giusta percezione”.