365 giorni l’anno. Trecentosessantacinque giorni all’anno con loro, con le regine. L’amore che gli allevatori provano per le regine non si spiega, ma in arena si vede in ogni dettaglio e in ogni gesto: dalla mantella che viene messa sull’animale appena varcata la soglia che divide i box dal campo, alle carezze, ai baci sul muso dopo una sconfitta. Sì, perché la vittoria è ambita, ma la sconfitta sofferta è un vero atto d’amore. E l’allevatore lo sa.
Non ci sono parole di fronte al grande amore che gli allevatori provano per le loro Regine, che escano vincitrici o meno dall’arena, che si siano distinte come degli Tsunami o che siano state lievi come Piuma. Eh sì, perché il nome, nella grande tradizione dei combats, ha un peso e non è secondario.
Come si sceglie il nome di una Regina in divenire? Può essere una questione di “famiglia” o semplicemente una casualità, ma la fantasia non ha limiti nella scelta del destino degli animali protagonisti delle Batailles. Immaginate dunque un combat tra una Papillon e una Belva, o di sentire lo speaker annunciare che Shakira sta per fare il suo ingresso in arena.
La scelta dei nomi delle regine è un mondo parallelo a quello dei combats, un mondo in cui la fantasia si mescola con la superstizione e il lignaggio, un mondo che rende ancora più ricca di leggende una tradizione fondamentale per i valdostani: si pesca dal mondo della passerella.
Non quella della Croix-Noire, ma quella delle settimane della moda, da dove si pescano i vari Chanel, Moncler e J’ador (sì, senza la “e” finale, un vero sfregio!), ma anche la geografia non viene risparmiata e anzi è una delle categorie più esplorate, rappresentata da Nevada, Texas, Dallas, Cardiff, Baltimora e Cuba.
“Andiamo indietro nel lignaggio della Regina e scegliamo in base ai nomi che hanno portato fortuna alle vincitrici degli anni scorsi – spiega Alex Parleaz -, di solito funziona così, si cercano i nomi che hanno dato lustro alle regine imparentate con quella del momento e si trova il nome più adatto”.
Questo il modo infallibile per regalare di nuovo il bosquet alla stalla di turno, ma c’è chi si affida alla fortuna o ai sondaggi, come Thierry: “Quando è nato il vitello abbiamo chiesto su Facebook un parere sul nome e così è uscito Scottish. Se ha portato bene? Non so, non credo a queste cose, ma il nome è bello!”.
Da Scottish ad Allegra, da Pastis a Benjabi, tanti i nomi ormai diventati storici: per i nostalgici della musica techno in voga negli anni 2000 ci sono Par Hasard e Tatanka, ma anche Shakira e Samba per un tocco più sudamericano; mentre i romantici possono rifarsi con Amoureuse e le varie Bijoux (con o senza x finale). C’è chi si affida ai futuri allevatori e lascia che il nome venga scelto dai piccoli, come Piuma, che, nonostante i suoi quasi 600 kg, porta il suo nome con una invidiabile incoscienza.
La new entry Instagram prenderà piede? Oppure le varie Tormenta e Sirena avranno sempre la meglio? I nomi delle regine sono anche un chiaro segnale dei momenti storici che toccano il mondo, quello che sta fuori dalla Croix-Noire, ma che per il tempo di una battaglia si dimentica in favore di una Monella o di una Contessa, il tempo di una giornata.
Non importa il nome della regina, quello che conta è come combatte. Può un nome influenzare i combattimenti? Ovviamente no, ma fa crescere nel pubblico e nell’euforia generale una leggenda. Quest’anno la leggenda sta di casa in Valdigne, a Pré-Saint-Didier, e di nome fa Bandit. In un combattimento lampo, come un vero bandito, la regina ai piedi del Monte Bianco è arrivata e si è presa la sua vittoria. Se il destino non è nel nome allora Bandit è solo un caso. O forse no.