“Lì lo stupro è un tradimento”: la testimonianza del valdostano Mattia Pelà dalle missioni con Medici senza frontiere

Mattia Pelà è stato in Congo, Ucraina e Sudan. "Se vuoi stare lì, capisci che devi alzare la tua soglia del rischio, ti adatti. Quella diventa la tua normalità", racconta.
Mattia Pelà
Società

Il  Kasai Central è una delle 26 province della Repubblica democratica del Congo. “In questa regione, la donna è vista come poco più di un oggetto e ci è capitato di dover sensibilizzare i militari sul concetto di consenso. Lo stupro, che non è un rapporto consensuale, lì viene considerato un tradimento e la donna viene mandata via di casa”. A raccontarlo è Mattia Pelà, ingegnere gestionale di Aosta, ricordando la sua prima missione con Medici senza frontiere. Oggi, domenica 19 ottobre, l’organizzazione umanitaria è davanti alla Porta Praetoria, ad Aosta, con le scatole di “Biscotti senza frontiere” per raccogliere donazioni a favore del Fondo emergenze che garantisce un intervento medico umanitario rapido e indipendente in contesti di emergenza, conflitto e calamità naturali.

Pelà è arrivato in Congo nel 2022 e ci è rimasto otto mesi. “Supportavamo l’ospedale di Kananga nella presa in carico di violenze sessuali – racconta -. La prima cosa che abbiamo fatto è costruire tre pozzi d’acqua perché la maggior parte delle violenze avveniva quando le donne dovevano allontanarsi per prendere l’acqua. Abbiamo fatto venire una ditta a fare delle rilevazioni e poi le cisterne d’acqua dalla capitale Kinshasa. In Congo, non ci sono neanche le strade ed è capitato più di una volta di doverle costruire sul momento per far arrivare i rifornimenti”.

Realtà e storie lontane che s’intrecciano con un desiderio “un po’ egoistico – dice l’ingegnere -: volevo partire per vedere con i miei occhi che cosa stesse succedendo nel mondo. Mi sono reso conto che le cose che stavo facendo per lavoro potevano essere coerenti con i profili di personale non sanitario ricercati dalle varie organizzazioni umanitarie. Ho provato a mandare il curriculum, sono entrato nel processo di reclutamento di Medici senza frontiere e mi hanno preso”.

In Congo non esistono le strade
In Congo non esistono le strade

Pelà torna in Africa tra il 2024 e il 2025. Questa volta va in Sudan, paese in guerra per le forti instabilità tra il governo e le forze ribelli. Ma il progetto umanitario s’interrompe a metà. “A Khartum avevamo un ospedale intero da gestire che abbiamo poi dovuto chiudere perché ci è successo di tutto“, spiega. Quattro episodi violenti in tre settimane: un’intrusione armata di un gruppo di ribelli che ha giustiziato un paziente con dieci colpi di mitragliatore, due stragi di civili ad opera del governo vicino all’ospedale e un’aggresione a un infermiere.”È stata un’escalation, abbiamo deciso di chiudere tutto e andarcene. È stata una tragedia perché vedevamo sui 200 pazienti al giorno tutti i giorni. Non siamo riusciti a svolgere la nostra funzione perché il contesto non lo permetteva e le autorità locali non ci hanno fornito una protezione adeguata. È stato un fallimento per tutti”.

Prima del Sudan, l’Ucraina. Sei mesi, tra il 2023 e il 2024, vissuti a pochi chilometri dal fronte. Per l’ingegnere, la prima “missione d’emergenza” in una zona di conflitto. “Il mio arrivo in Ucraina è stato paradossale – ricorda -. Arrivato in Polonia ho attraversato la frontiera a piedi e mi sono ritrovato in un paese in guerra. A Leopoli ho visto i palazzi sventrati ma la gente era per strada, andava al lavoro, i bar e i ristoranti erano aperti. La quotidianità va avanti ed è più forte delle guerra. Poi quando senti la prima esplosione ti rendi conto che tutto può succedere da un momento all’altro. Se vuoi stare lì, capisci che devi alzare la tua soglia del rischio, ti adatti. Dopo un po’ di tempo quando senti un allarme antiaereo quasi non reagisci più perché sai che non tutti gli allarmi indicano che stanno per bombardare il posto in cui ti trovi. Quella diventa la tua normalità e alla fine riesci anche a dormire di notte”.

Da Leopoli a Mykolaïv, poi Odessa, Cherson, Kiev, tanti villaggi. A Pelà è capitato di finire in mezzo ai bombardamenti, di vedersi alzare sulla testa dei jet da combattimento. “In media, tra morti e feriti c’erano mille persone al giorno – dice -. Io mi occupavo della parte logistica di un progetto che supportava due ospedali a Cherson con chirurgia di emergenza. Siamo riusciti a reclutare un bravo chirurgo che riusciva a ricostruire le mani. Gestivamo anche tre cliniche mobili che giravano sei villaggi al giorno per assistere chi ne aveva bisogno, per il 60% anziani. In quei villaggi il sistema sanitario è saltato e non c’è più una farmacia”. Come Medici senza frontiere, “abbiamo anche installato una macchina a raggi X su un camioncino per fare uno screening in una zona a rischio epidemia di tubercolosi”.

Alle missioni umanitarie, Pelà ha sempre alternato il suo lavoro da ingegnere in diverse aziende, anche fuori Valle. Dal suo rientro dal Sudan, nel marzo 2025, non ci sono nuove partenze all’orizzonte. “Di solito partivo d’inverno ma al momento sto ristrutturando casa e non ho in programma nuove missioni che comunque mi hanno rivoluzionato la visione della vita e del mondo“, dice. Il suo desiderio, ora, è anche un altro. “Mi piacerebbe mettere a disposizione ciò che ho imparato in giro per il mondo per migliorare il sistema sanitario regionale che è messo molto male. Peggio di noi c’è solo la Calabria”.

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