Come si denuncia una violenza verbale subita? Cosa vuol dire sentirsi vulnerabili e in pericolo dovunque si vada? Purtroppo moltissime donne conoscono intimamente la risposta a queste domande. La violenza sulle donne è un fenomeno estremamente diffuso nel nostro paese con centinaia di donne uccise all’anno, spesso dal compagno o da un membro della famiglia. Di questi episodi si scrive, si parla, ne vengono diffuse testimonianze video e fotografie delle vittime. Ma questo tipo di discriminazione e violenza rivolta alle donne è solo la punta dell’iceberg nel nostro paese: un gigantesco blocco di pregiudizi, tabù e discriminazioni che toccano diversi tipi di minoranze.
Un esempio di questo grande sommerso di violenze verbali e fisiche, implicitamente o esplicitamente rivolte a minoranze, sono le discriminazioni omofobe. In Italia, infatti, non ci sono dati istituzionali che individuino le motivazioni di discriminazioni o violenze legate all’orientamento sessuale o all’identità di genere. Questo vuoto normativo, oltre a impedire di descrivere accuratamente la prevalenza del fenomeno e le caratteristiche di chi lo subisce, crea anche una “zona di silenzio” in cui è molto difficile muoversi e che finisce per proteggere solamente chi commette violenze, fisiche o verbali che siano.
Negli scorsi giorni un ragazzo omosessuale valdostano di 25 anni, Leonardo Sinopoli, è stato cacciato dallo spogliatoio di una palestra con insulti omofobi e uso gratuito di violenza verbale da parte di un altro ragazzo. Ma questo non è l’aspetto più interessante dell’episodio: il fatto è che Leonardo ha deciso di parlare pubblicamente dell’avvenimento cercando appoggio nella comunità Queer valdostana. “Ho deciso di raccontare l’aggressione perché voglio che questa persona capisca che non si può permettere di avere atteggiamenti violenti in luogo pubblico. Mi è capitato molte volte di essere preso in giro e anche aggredito per il mio orientamento sessuale e questa è la prima volta in cui ho avuto il potere di esorcizzarlo e non è stato un trauma” spiega Leonardo.
“Io però sono un privilegiato perché ho una rete di supporto intorno a me su cui so di poter contare sempre, a partire dalla mia famiglia, i miei amici e anche l’Arcigay a cui sono tesserato da anni. Menomale che è capitato a me questa volta, ma se fosse stata una persona più fragile sarebbe stato un trauma. Voglio cogliere l’occasione di raccontare questo episodio anche per spiegare alle famiglie quanto è importante creare un ambiente sicuro in cui si può parlare di queste cose. È così che si evitano le reazioni estreme, è così che si possono proteggere le persone della nostra comunità” continua Leonardo.
La reazione di Arcigay – Queer VdA all’episodio di omofobia
Al di là dell’esperienza personale del singolo, però, l’episodio non rappresenta un’eccezione in Valle d’Aosta. Come conferma il Presidente di Arcigay – Queer VdA Giulio Gasperini, infatti, “noi avevamo già creato un google form per raccogliere i dati e le testimonianze degli atti di discriminazione e omofobia che le persone della comunità subiscono”. Si tratta di un progetto lanciato anni fa e ancora in via di sviluppo che per l’occasione è stato rilanciato dall’associazione.
“Quando Leonardo ci ha contattati a proposito di questo episodio di omofobia – avvenuto tra l’altro in una delle palestre convenzionate con Arcigay – la prima cosa che abbiamo fatto è stata sentire anche i responsabili della struttura che hanno subito preso posizione contro la persona violenta e abbiamo scritto un post di denuncia. Poi abbiamo pensato che era proprio per questo tipo di situazione che avevamo creato il form e lo abbiamo ricondiviso sui nostri canali, ripetendo che c’è sempre la possibilità di rivolgersi direttamente a noi”. L’obiettivo a lungo termine di questo tentativo di raccolta dati è dimostrare la prevalenza delle discriminazioni e degli atti di omofobia, inquadrare quali sono le categorie più a rischio, sensibilizzare le persone sugli effetti di questi atteggiamenti sia su chi li assume che su chi li subisce.
Il form funziona anche come punto di contatto, del tutto anonimo, tra le vittime e l’associazione Arcigay che si pone come un ambiente sicuro pronto ad accogliere le testimonianze e ad aiutare chi si trova più in difficoltà. Quando si subisce un trauma è fondamentale prima di tutto poterne parlare, aprirsi, cercare di separare l’insulto o la violenza dalla persona. Per questo motivo avere una comunità alle spalle pronta ad ascoltare diventa importantissimo. Come spiegato da Leonardo, infatti, “ci sono persone che non hanno gli strumenti per gestire queste situazioni, e il primo passo da fare per aiutarle è proprio parlare, condividere le proprie esperienze, fornire dei sistemi di supporto e di denuncia”.
Il form di Arcigay per denunciare episodi di omofobia
Il form lanciato da Arcigay per raccogliere dati sugli episodi di omofobia consiste in una ventina di domande, per la maggior parte accompagnate da un box facoltativo dove raccontare la propria esperienza più nel dettaglio. I dati vengono raccolti seguendo un criterio cronologico, viene poi chiesto il tipo di discriminazioni subite (violenza fisica o verbale). “Si tratta di uno strumento semplice, ancora in via di miglioramento, a cui abbiamo aggiunto una sezione in cui si chiede a chi compila, come si identifica e qual è la sua presentazione di genere per capire quali sono le categorie più a rischio” spiega Gasperini.
Questo documento è stato creato per raccogliere dati, aprire una conversazione sulle discriminazioni omofobe e sfatare il mito della Valle d’Aosta come isola felice dove “queste cose non succedono”. “Non è così – racconta Alice Sartore, vicepresidente dell’associazione Arcigay QueerVdA – e l’episodio che ha coinvolto Leonardo è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Così abbiamo deciso di cercare di documentare e dimostrare che questo problema esiste anche da noi con dei dati statistici, seri. Al momento non abbiamo ancora un numero di testimonianze sufficiente per trarre delle conclusioni, ma speriamo che questo strumento venga diffuso sempre di più”.
Al momento il form ha raccolto poche decine di testimonianze distribuite negli ultimi vent’anni. La maggior parte delle persone ha segnalato di aver subito aggressioni verbali e bullismo. Gli insulti documentati non lasciano spazio a dubbi sul carattere delle discriminazioni: “lesbica di merda”, “ricchione di merda, brucia” oppure ancora le prese in giro e il bullismo a scuola. Un altro esempio di aggressione verbale che ritorna nelle segnalazioni riguarda le coppie lesbiche che, oltre agli insulti omofobi, si sono sentite urlare da un gruppo di ragazzi di baciarsi e “fare cose” davanti a loro. A partire dalla pubblicazione del post di denuncia di Arcigay e il rilancio del form, le risposte sono aumentate e così le segnalazioni dirette all’associazione attraverso i social.
L’appello di Arcigay – Queer VdA
“Non importa chi subisca una violenza, l’importante è che ci siano degli strumenti per gestire questi episodi. L’importante è riconoscere la discriminazione come tale e costruire attorno a sé una rete di supporto. A tutti l* ragazz* più giovan*: scriveteci in DM, tesseratevi se potete, mettetevi in contatto con qualcuno che vi capisca e vi supporti”.
Ma come si definiscono questo tipo di discriminazioni? Come essere sicuri di segnalare un episodio rilevante? “Se sei in dubbio e continui a pensarci, se è qualcosa che ti ha creato disagio e che non sai come gestire significa che è qualcosa di brutto. Significa che vale la pena parlarne e discuterne, poi nel caso in cui non sia una discriminazione basata sull’orientamento sessuale e identità di genere, semplicemente non ne terremo conto nel nostra raccolta dati, ma non per questo non vale la pena parlarne, anzi” conclude Alice.
Il contesto
Proprio in queste ultime settimane la regione Lazio e la regione Lombardia hanno revocato il patrocinio alle due più grandi parate dell’Onda Pride: il Milano pride e il Roma Pride. “Una scelta politica che evidenzia il clima nel nostro Paese per quanto riguarda la questione dei diritti civili delle persone LGBTQ+” dichiara Sartore. Questo sviluppo si aggiunge alla sentenza della corte di cassazione del dicembre 2022 che nega la trascrizione in Italia dell’atto di nascita o di adozione dei bambini di coppie omogenitoriali. In questo modo si impedisce il riconoscimento legale di famiglie arcobaleno già esistenti.
Ma questi sono solo sintomi di un atteggiamento più ampio riguardo il tabù dell’omosessualità in Italia, dato da un vuoto di informazione ed educazione, quella tendenza al perbenismo che relega erroneamente l’orientamento sessuale e l’identità di genere a “scelte personali che vanno tenute nella sfera privata”.
“In Italia manca il reato di discriminazione e questo è il grande vuoto normativo che abbiamo che non permette di avere statistiche ufficiali, utili ad affrontare il problema, ma soprattutto a creare strategie per prevenirlo. La legge Zan inseriva esplicitamente la discriminazione per orientamento sessuale e identità di genere che avrebbe reso denunciabili e quindi tracciabili le aggressioni omofobe. Non che essendoci una legge il sommerso sarebbe arrivato tutto alla luce, ma sicuramente ci sarebbe stata una rappresentazione della realtà più aderente al vero, in questo modo invece non è possibile e tutti i dati che abbiamo a disposizione, anche a livello nazionale, sono raccolti da associazioni locali” aggiunge Gasperini.
Insomma, per far fronte a questi problemi della comunità, la soluzione già individuata dalle associazioni locali è una: fare informazione. “Ci sarebbe bisogno di fare educazione e quindi si torna al tema delle scuole. Parlare con l* ragazz* e fare sensibilizzazione e informazione sul tema dell’omofobia e delle discriminazioni, cercando di dare loro i giusti strumenti per conoscere anche questa realtà. Ma questo è il primo livello: servirebbe dalle istituzioni la volontà di affrontare l’argomento delle discriminazioni che toccano una fetta rilevante della popolazione”.
Se da un lato le persone che fanno parte della comunità LGBTQ+ hanno bisogno di una rete di sicurezza, di costruire un sistema di supporto e proteggere i propri diritti, c’è anche una necessità universale di cominciare a prendere questi episodi sul serio. La comunicazione e la raccolta dati sono strumenti molto potenti per sfatare i luoghi comuni, affrontare i tabù e portare alla luce del sole gli episodi di violenza, in modo che piano piano diventi impossibile girarsi dall’altra parte.
2 risposte
Siamo allo Stato di Delazione. Denunciate! Denunciate! Lo Stato Fascista faceva così, lo Stato Sovietico faceva così. Vedo tantissimo entusiasmo dei media nel supportare l’oppressione. Il livello è quello che è…
Ormai si vedono discriminazioni dappertutto, anche dove, oggettivamente, non esistono. È un fenomeno di costume che qualcuno sa molto bene come cavalcare.