Conoscenza: questa la parola chiave della serata di ieri e del tema stesso che ne ha fatto da protagonista. Il comitato Eutanasia Legale Valle d’Aosta ha infatti organizzato un incontro di informazione e confronto che si è potuto avvalere di esperti nel settore sanitario, come il medico Matteo Pedrazzoli e l’infermiere Damiano Di Nunzio, specializzati in cure palliative, e di una figura di spicco nel dibattito sull’eutanasia in Italia. Marco Cappato, già esponente dei Radicali e attuale Tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, ha infatti condiviso momenti e riflessioni sul suo personale coinvolgimento nella battaglia per i diritti umani e sull’iter che ha condotto alla raccolta firme per il referendum sull’eutanasia. La campagna ha avuto risultati da record, con oltre un milione di firme raccolte in più di 1000 comuni italiani e con la Valle d’Aosta classificata al primo posto tra le province per percentuale di firmatari.
Dopo la dichiarazione del 22 dicembre da parte del Presidente del Consiglio Draghi, che ha assicurato che il Governo non si costituirà contro l’ammissibilità del referendum, l’ultimo vaglio sarà quello del 15 febbraio da parte della Corte Costituzionale, che fisserà la data di convocazione dei cittadini in primavera. Come ha ricordato l’avvocata Valeria Fadda, moderatrice della serata, il dibattito sull’eutanasia è stato particolarmente acceso ultimamente anche dal caso emblematico di Mario, nome di fantasia per il malato tetraplegico marchigiano che, con una lettera ai principali quotidiani italiani, ha cercato di sbloccare l’ordine del Tribunale di Ancona per accedere legalmente al primo suicidio medicalmente assistito in Italia. Pur essendogli stati riconosciuti i quattro requisiti per l’accesso, Mario, come ha spiegato Fadda, “lotta da 16 mesi per arrivare alla morte, in un’attesa che è una tortura e in una battaglia che sta combattendo per tutti”.
La sentenza n° 242 del 2019 della Corte Costituzionale che ha aperto a Mario, in linea teorica, l’accesso al suicidio assistito è la stessa che ha permesso l’assoluzione di Cappato due anni fa. L’attivista si era infatti autodenunciato per aver accompagnato il tetraplegico Fabio Antonioni, noto a tutti come dj Fabo, in una clinica svizzera per il suicido assistito. Secondo Cappato, battaglie come quella di dj Fabo, di Piergiorgio Welby e di Beppino Englaro sono “atti di disobbedienza civile” in quanto avvenuti pubblicamente, assumendosene la responsabilità e senza nascondersi, come fanno invece decine di persone ogni anno. Cappato, tramite l’Associazione Luca Coscioni, ha aiutato oltre 1400 persone ad andare in Svizzera, tra cui centinaia di malati che probabilmente non avrebbero ottenuto l’eutanasia neanche in Olanda, perché in realtà in condizioni curabili, ma soltanto depressi e abbandonati a loro stessi. Il referendum “non è quindi per far morire la gente, come la battaglia per il divorzio non era per far divorziare e la legalizzazione della cannabis non vuole spingere a fumare”. Si tratta invece di promuovere una condizione di legalità e conoscenza, per scongiurare il ricorso all’eutanasia clandestina o al costoso suicidio assistito all’estero nel migliore dei casi, o al suicidio vero e proprio intrapreso ancora oggi da molti malati. “L’eutanasia è soltanto l’inizio della ricerca di nuove soluzioni”, dichiara Cappato, “perché quelle 1400 persone non avrebbero dovuto cercare Marco Cappato, ma lo Stato, il sistema sanitario, il medico, lo psichiatra”.
Il referendum sull’abrogazione del reato di omicidio del consenziente vuole porre fine alla discriminazione tra tipi di malati e promuovere l’eutanasia attiva nelle forme consentite dalla legge. Il suo deposito arriva a 15 anni dalla lettera di Piergiorgio Welby al Presidente Giorgio Napolitano, a 8 anni dal deposito della legge di iniziativa popolare e a 3 anni dal primo invito della Corte costituzionale al Parlamento per una legge sul suicidio assistito. Anni in cui si è reso sempre più evidente un distacco tra una politica procrastinatrice e un’opinione pubblica sempre più sensibilizzata: “C’è un problema se un tema così popolare e per cui hanno firmato così tanti cittadini è così impopolare nei talk show e nei giochi di potere dei partiti politici, dove non è stata pronunciata quasi nessuna parola in merito”. Secondo Cappato, la democrazia si sta trasformando grazie a nuove forme di iniziativa popolare, che prevedono lo sforzo dal basso dei cittadini, in cerca di risposte lontano dalla “dittatura del consenso a breve termine”. Ecco perché il referendum non è significativo solo per l’eutanasia legale, ma perché stimola il disseppellimento di quegli strumenti di partecipazione popolare che conteranno sempre di più in futuro, secondo lo slogan per cui “solo l’attivazione della democrazia provoca la riforma della democrazia”.
A chiudere la serata, gli interventi di due persone coinvolte da vicino nel momento delicato del fine vita hanno illuminato sui problemi di comunicazione e sulla paura che circondano la morte, rendendola ancora oggi un tabù. Matteo Pedrazzoli, medico dell’Asl di Ivrea con master in terapia del dolore e cure palliative, ha lamentato la mancanza di una apposita specialità all’interno del corso di studi di Medicina, nonché di personale e di strutture apposite per le cure del fine vita. Questa importante fase della vita della persona, che in passato era affidata alla religione, deve tornare alla medicina, che se ne deve fare tanto più carico in quanto, potenziando le cure palliative e garantendone a tutti l’accesso, è possibile ridurre il ricorso al suicidio assistito. Anche l’infermiere Damiano Di Nunzio possiede un master in terapia del dolore e in cure palliative, strumento in cui crede perché permette di accompagnare dolcemente alla morte non solo la persona, ma anche la famiglia che si riunisce nel momento della malattia. La mancanza di comunicazione sulla morte – testimoniata anche dalla scarsa conoscenza di strumenti come le DAT (Dichiarazioni Anticipate di Testamento) – crea situazioni in cui “tutti sanno tutto ma nessuno dice niente”, come dichiara Pedrazzoli, “perché la famiglia vuole proteggere il malato e viceversa”. Solo la sincerità può migliorare la qualità del processo decisionale. Solo la comunicazione, l’informazione e la conoscenza possono aiutare tutti a essere davvero liberi di scegliere, secondo quella “religione della libertà” auspicata da Luca Coscioni, fondatore dell’omonima associazione.