Montagna, volo e passione: Philippe Favre rivive nei ricordi al suo funerale

30 Marzo 2022

Solo chi sogna può volare”. E’ la frase scritta sull’epigrafe che annuncia la morte di Philippe Favre, la guida alpina 41enne deceduta la settimana scorsa in parapendio, precipitando al suolo sopra Sarre. Sono anche le parole che Bruno Bethaz, presidente della società delle guide di Valgrisenche, cui la vittima dell’incidente apparteneva, ha scelto di citare nel pomeriggio di oggi, mercoledì 30 marzo, ai tanti convenuti nella chiesa di Sant’Orso, ad Aosta, per l’“addio” al professionista della montagna.

Una scelta dettata dal fatto che “ora noi vogliamo pensare – ha aggiunto Béthaz – che possa fare i più bei voli sulle montagne del paradiso”. Un pensiero indotto anche dal “grande insegnamento che ci ha lasciato Philippe”, vale a dire “che la gente che va con una guida, ricorda l’ascensione, ricorda la sciata, ma soprattutto ricorda la bellezza della persona che ti ha accompagnato, che ti ha saputo ascoltare”. Philippe, ha concluso il Presidente – prima che il coro intonasse il “Signore delle cime” – era davvero una figura che da quel punto di vista lasciava una sensazione positiva.

Anche per questo, lo sgomento è palpabile tra le navate della chiesa, dall’altare sovrastato dalle guide in divisa di fustagno e dagli stendardi delle società di buona parte della Valle. Lo è sui volti degli amici dello scomparso, che si attorniano a Jean-Claude, fratello maggiore di Philippe, ma anche su quelli dei tanti protagonisti degli ultimi trent’anni di politica valdostana, quando si stringono al padre Renato, oggi Vicepresidente del Consiglio comunale, retto vicino alla bara di legno chiaro, sul sagrato della Chiesa, a pochi passi dalla moglie Odilla.

Il funerale di Philippe Favre.

Anche il parroco don Aldo Armellin, che ha celebrato la funzione, sa che quella domanda, quel “perché?” che ogni presente ad un funerale porta come un fardello sulle spalle, oggi pesa più di altre volte. Per tentare di rispondere, durante l’omelia, arriva a mettere in campo il ricordo in cui papa Francesco, visitato un ospedale pediatrico per bambini oncologici, si sente chiedere: “perché il Signore permette questo?”. Subito, il pontefice argentino non riesce a rispondere, poi le sue labbra si sciolgono: “sarà una di quelle cose che chiederò al Signore quando andrò nell’aldià”.

Allo stesso modo, secondo il sacerdote, “oggi, credo, possiamo aggiungere una domanda”. “Normalmente sono i figli ad accompagnare i genitori nella Casa del padre, – aggiunge – ma a volte sono i genitori a farlo. E sarà una di quelle cose che potremo chiedere al Signore”. Una domanda che, “attorno al nostro fratello Philippe, ci interpella” e “non c’è una risposta, se non quello che abbiamo sentito nel Vangelo: chiunque crede in me, vivrà in eterno”.

Il celebrante passa poi al ricordo del defunto, di cui “ho raccolto alcune cose, non esaustive”. In primo luogo, “l’amore per la montagna”. Non un sentimento casuale, perché “anche a Dio piacevano le montagne” e poi perché è fatto del “desiderio di salire, di scalare, di guardare orizzonti più grandi”, non solo “geografici, ma anche della vita”. Favre, però, non amava solo le cime, ma “anche volare”.

Il funerale di Philippe Favre.

Un desiderio innato, profondo, nell’uomo, che oggi si è fatto possibilità concreta. “Si potrebbe dire, – ha osservato don Armellin – meglio non rischiare”. Però, “quando c’è un fuoco che brucia dentro, una passione, non valgono tutte le nostre richieste”. D’altronde, “le nostre passioni più profonde, tante volte anche l’amore del rischio”, sono fatte per “raggiungere spazi diversi, per andare sempre oltre”. Quel “sempre oltre” che “ha portato il nostro fratello verso altro, verso l’altro con la a maiuscola, il Signore”.

Sulla montagna, quando si vola, come faceva Favre in quel giovedì in cui – stando alla prima ricostruzione – la sua vela si è improvvisamente chiusa, non lasciandogli modo di riprendere il controllo, “si prova anche la solitudine, il senso di rientrare in sé stessi”. “Ne abbiamo anche bisogno, in un mondo che ci frastorna” – ha chiuso il parroco Armellin – per poi condividere con la moltitudine che lo ascoltava una consapevolezza: “c’è un cammino per tutti, una montagna da scalare per tutti”.

Per chi annoverava Philippe Favre tra conoscenti, amici o colleghi sarà una salita irta e di grado problematico, almeno nell’immediato, ma il sorriso che si fa largo nella folta barba della giovane guida in una delle foto che più hanno circolato sui social dopo la sua scomparsa, con i capelli lunghi agitati dal vento e gli occhiali da ghiacciaio, rappresenterà la “traccia” più luminosa di ogni scalata. Perché, per chiudere con don Aldo, “abbiamo chiesto che il nostro fratello Philippe sia scritto nel libro della vita. Non della morte”.

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