Da un lato la “corsa più dura del mondo”, dall’altro l’occasione di studiare – in quattro tappe della gara – la quantità delle microplastiche nelle nevi residue, con un risultato inquietante: su 8 litri analizzati sono state trovate, a seguito di rigorosa procedura analitica, 40 particelle di cui ben il 45% erano microplastiche, il 43% fibre di cellulosa, il 2% lana, mentre per il 10% non è stato possibile arrivare ad un’identificazione univoca.
Sono stati resi noti i primi risultati della ricerca effettuata, per la prima volta al mondo, sulle nevi residue delle nevicate dell’anno – i campionamenti sono stati effettuati in Valle in occasione del Tor des Géants 2019 – che testimoniano come il problema delle microplastiche sia sempre più pressante. O, per dirla con la Cooperativa Erica, che in collaborazione con lo European Research Institute e VdA Trailers ha curato il dossier “Nevica plastica”: “i ricercatori hanno stimato che ogni anno sulla regione cadrebbero 200 milioni di particelle di cui 80 milioni di microplastiche, in pratica ‘nevicano’ ogni anno 25 chili di plastica sulle montagne più alte d’Italia. Valore molto probabilmente sottostimato dal momento che le nevi, terminato l’inverno, con l’aumento delle temperature, fondono e riversano il loro contenuto nei ruscelli e nei torrenti che scendono a valle”.
Quattro i siti analizzati – tutti toccati dal Tor grazie all’idea del testimonial, l’“eco-runner” Roberto Cavallo –, e dalle caratteristiche diverse: il rifugio Deffeys (nel comune di La Thuile, ai piedi dell’omonimo ghiacciaio), il rifugio Miserin (nel parco del Monte Avic), il rifugio Cuney (il più in quota delle Alte Vie valdostane, ad oltre 2600 metri) ed il col du Malatrà che dai suoi quasi 3000 metri di altitudine separa la Val Ferret dalla Valle del Gran San Bernardo.
I campioni di neve sono stati poi analizzati dall’Arpa Valle d’Aosta in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano, sotto la direzione dei professori Marco Parolini e Roberto Ambrosini del Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Ateneo meneghino.
Viste al microscopio e in spettroscopia IR – per verificarne forma, dimensioni e composizione polimerica – il 39% delle microplastiche è rappresentato da fibre o fili, mentre il restante 61% sono frammenti di diversa forma. La dimensione varia da 50 micron a poco meno di 2 millimetri, con un valore medio di circa 300 micron. Il colore più rappresentato è il bianco (50%), seguito dal blu (28%) e dall’azzurro (11%), mentre le microplastiche di colore rosa o viola contribuiscono per una percentuale più esigua che, in entrambi i casi, si attesta al 5,5% in entrambi i casi.
Il polimero più rappresentato è risultato il polietilene (39%), seguito dal PET (17%), dal HDPE (17%) e dal poliestere (11%), mentre un contributo inferiore è dato dal LDPE (6%), dal polipropilene (5%) e dal poliuretano (5%), per la prima volta individuato dai ricercatori dell’ateneo milanese.
“Questi risultati dimostrano come anche negli ecosistemi di alta montagna, considerati dall’immaginario collettivo come incontaminati, siano presenti le microplastiche, che vi arrivano attraverso il trasporto atmosferico o si originano in loco dalla degradazione dei rifiuti plastici ivi abbandonati e/o dalla usura dei capi tecnici o della attrezzatura di montagna – ha spiegato Marco Parolini, professore associato e ricercatore di Ecologia al Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università degli Studi di Milano –. È per questo estremamente importante non abbandonare alcun rifiuto plastico in questi ecosistemi al fine di prevenire la formazione di microplastiche e preservarne la loro identità”.