“Se nel 2011 a fronte di 54 persone su 100 in età ultrasessantacinquenne ve ne erano 46 in età tra 15 e 64, solo dopo dieci anni questo rapporto si è modificato in 59 contro 41”. Un invecchiamento “ulteriormente aggravato dalla riduzione della popolazione totale, osservatasi per la maggior parte delle aree territoriali e in special modo nell’area Alta montagna non turistica, dove la percentuale di residenti con più di 65 anni risulta essere tra le più alte (26,8%, seconda solo alla città di Aosta)”. Il che, porta dritto al tema dello spopolamento. In montagna, soprattutto laddove il turismo non fa da traino.
Questo è il quadro generale emerso dallo studio “Struttura e dinamica demografica della Valle d’Aosta” – che abbraccia un arco temporale che va dal 1° gennaio 2011 al 1° gennaio 2020 –, presentato oggi a palazzo regionale e coordinato dal professor Alessandro Rosina dell’Università Cattolica del Sacro cuore di Milano e del Capo dell’Osservatorio economico e sociale Dario Ceccarelli.
Quadro, a poco dire, in “chiaroscuro”. Il report segnala infatti che “se alla riduzione della popolazione si associa una maggiore presenza di persone con più di 65 anni la riflessione si estende anche al tema dell’isolamento sociale dei residenti, e in particolare di quelli più anziani e, quindi, anche potenzialmente più fragili nell’accesso ai servizi”.
Dal lato opposto non va meglio: “L’analisi dettagliata per classi di età dei minori residenti in Valle d’Aosta – si legge nello studio – ha poi evidenziato un progressivo impoverimento della popolazione giovanile. Nell’ultimo decennio si sono persi poco più di mille residenti di età inferiore ai 18 anni, con decrementi più consistenti nell’incidenza dei bambini in età prescolare”. Dato che, in tutte le Unités des communes “conferma che la regione è manifestamente investita dal fenomeno di degiovanimento”.
Contraendosi inoltre la popolazione in età lavorativa, il risultato è “una evidente conseguenza su un ricambio non sufficientemente equilibrato tra chi entra (i 20-49enni) e chi esce o si avvia ad uscire (50-64enni) dalle età in cui tipicamente si lavora”. I numeri del calo non lasciano spazio a dubbi: se “nel 2011 i residenti valdostani 30-49enni ammontavano a 39.696, nel 2020 la stessa classe di età conta invece 31.729 persone”.
Non solo, perché lo studio richiama anche “il consistente calo della popolazione femminile in età riproduttiva”. Riduzione generalizzata in tutta Italia “che non ha risparmiato la Valle d’Aosta dove nell’arco del decennio analizzato l’incidenza delle donne di età 15-49 anni sulla popolazione complessiva si è ridotta di ben 3 punti percentuali”. Un’evidenza – si legge – “che potrà generare in futuro un ulteriore calo della fecondità, semplicemente per il fatto che nel tempo la popolazione femminile in grado di procreare si è assottigliata”.
“Tutto questo – spiega il professor Rosina –, porta a questa ‘piramide delle età’, che ha sempre meno di questa forma. La parte in giallo è la popolazione in età lavorativa. Nel 2011 la parte centrale della fascia lavorativa era molto consistente e ben presidiata nonostante lo squilibrio. Se ci proiettiamo nel 2020 questa componente si sta spostando nella fascia più matura. E tra dieci anni sarà spostata ancora, fuori dalla fascia lavorativa. Nel mentre, la parte centrale, l’asse portante della crescita, sarà occupata da generazioni deboli da punto di vista demografico, e questa è una novità”.
Le immagini proiettate in conferenza stampa sintetizzano una situazione che fa riflettere. Le evidenze più significative sono:
- Malessere demografico: calo generalizzato della popolazione residente, decremento della natalità (sia per gli italiani, sia per gli stranieri), riduzione del tasso di fecondità, severo invecchiamento della popolazione e spopolamento di alcune zone montane;
- Accentuato squilibrio tra anziani e giovani, correlato sia al consistente incremento nel numero assoluto degli anziani sia ad una prolungata e costante riduzione della natalità;
- Progressivo “impoverimento” della popolazione giovanile;
- Contrazione della popolazione in età lavorativa;
- Consistente calo della popolazione femminile in età riproduttiva.
Il problema delle nascite, quindi delle scuole
Il problema della denatalità, nella nostra regione, è già sotto la lente di ingrandimento. L’impatto sull’anno scolastico in corso si è già sentito forte e chiaro, così come il grido di preoccupazione lanciato dall’Assessorato dell’Istruzione a stretto giro di posta.
Lo studio ci dice che dal 2011 al 2019, in Italia, le nascite nazionali erano attese erano pari a 521mila, però sono state circa 100mila in meno. Nello stesso periodo per la Valle la riduzione prevista si attestava tra i 1.220 ed i circa 1.100, mentre le nascite nel 2019, dati alla mano, sono state 841, quindi il 31% in meno. Una perdita di quasi un nato su 3.
Se le previsioni delineavano una riduzione molto più contenuta e leggermente peggiore per la nostra regione, i dati risultano invece molto peggiori. Per la Valle d’Aosta emerge una leggera ripresa nel 2014 – anno successivo al periodo di crisi 2008-13 – “che però si spegne subito dopo. I cinque anni precedenti lo scoppio della pandemia, pur in periodo di ‘normalità’, risultano particolarmente negativi: le nascite scendono sotto 1000 nel 2015 e poi si riducono progressivamente fino a meno di 850 nel 2019”.
“La ricaduta dei dati illustrati oggi, l’impatto su questo crollo tra 2011 si vede adesso – ha detto l’assessore all’istruzione Luciano Caveri –. Bisogna lavorare anche sulla ‘fuga dei cervelli’. Molti giovani, anche grazie anche ad esperienze importanti, hanno poi scelto di andare via dalla Valle. Non possiamo essere così provinciali da pensare di ‘incatenarli’ qui, ma dobbiamo dare loro la possibilità di riuscire a farli tornare con tutti gli strumenti e le possibilità a loro disposizione”.
La sfida dell’inversione di tendenza
La ricerca non ha l’obiettivo – peraltro arduo – di fornire soluzioni semplici a problemi complessi, ma una valutazione oltre i “freddi numeri” s’impone. Nelle conclusioni si legge anzitutto che “l’Italia è uno dei paesi in Europa in cui la fecondità da più lungo tempo si trova su valori particolarmente bassi. Da oltre 35 anni il numero medio di figli per donna è sotto 1,5, quindi molto sotto la soglia di 2 che consente un adeguato rinnovo generazionale. La Valle d’Aosta ha anticipato il crollo delle nascite rispetto al resto del Paese. Il numero medio di figli per donna è sceso sotto 2 a metà anni Settanta del secolo scorso e sotto 1,5 prima della fine di tale decennio”.
È quindi “da più di 40 anni che si trova in accentuata crisi demografica. La regione è scesa poi al punto più basso, attorno 1 figlio per donna, nella prima metà degli anni Novanta”, per arrivare sopra la media nazionale nella prima decade del nuovo secolo.
Oltre ad una “urgente inversione di tendenza della natalità e un rafforzamento anche nel breve e medio periodo della popolazione in età attiva” serve “favorire condizioni sociali e ambientali correlate ad una buona salute – come ad esempio la riduzione delle diseguaglianze socio-economiche, il potenziamento delle reti sociali di vicinanza e supporto, la creazione di spazi abitativi che facilitino l’interazione tra le generazioni, l’offerta di servizi culturali, impianti sportivi, spazi, tariffe agevolate per svolgere costantemente attività fisica a tutte le età”.
Elementi che possono “aiutare i cittadini ad invecchiare bene, fornendo un proprio contributo positivo a vari livelli della società, e riducendo anche i costi per i servizi sanitari”.
Per l’andamento delle nascite gli esempi sono dietro l’angolo, e sono la stabilità del tasso di fecondità in Francia e l’inversione della curva in Germania. In quest’ultimo caso, a giocare un ruolo decisivo sono stati a piegare i dati “è stato possibile grazie ad una combinazione tra politiche familiari (sia in termini economici che di investimento sui servizi, in particolare potenziando non solo copertura, ma anche qualità, flessibilità e riduzione dei costi di accesso a quelli per l’infanzia), sia attraverso una capacità attrattiva”.
Ovvero, per la Valle, “combinare capacità di attrazione in coerenza con la vocazione del proprio territorio e investimento sulla qualità dei servizi che promuovono la realizzazione dei progetti di vita assieme a quelli lavorativi”, discorso che si lega anche alle possibilità del Pnrr e del Family act, affinché sia favorito l’effetto “leva” sul territorio.
E la pandemia?
La pandemia non ha avuto impatto peggiorativo rispetto alla media nazionale – spiega ancora Rosina –. C’è stata una riduzione delle nascite simile a quella che si vede dai dati italiani, ma se combiniamo tutto il percorso precedente la Valle d’Aosta si trova il 63,5% delle nascite che c’erano nel 2011. Una riduzione di più di una nascita su tre, in Italia sono una su quattro. Qualche interrogativo su come agire si pone, o le conseguenze rischiano di essere durature e rilevanti”.
La Valle d’Aosta di questo inizio 2022
Se lo studio ferma le lancette dell’orologio a due anni fa, il trend non si è invertito nella zona più contemporanea non coperta dalla ricerca. A spiegarlo è lo stesso Ceccarelli: “I dati di inizio 2022 confermano queste tendenze. La popolazione valdostana è scesa per l’ottavo anno consecutivo, siamo poco più di 123mila 800 persone, un valore simile a quello di 16 anni fa, nel 2006. Abbiamo ancora un livello di nascite leggermente in calo, sono circa 750 nascite, ma vicino all’anno precedente, e una coda di decessi ancora un po’ elevata, anche causa Covid. Forse c’è un piccolo dato positivo sul saldo migratorio che non compensa il resto. Non è un problema di uscite, il fatto è che arrivano meno persone. E c’è la conferma della contrazione della popolazione sotto 14 anni e di quella femminile in età feconda”.
La parola alla politica
Per stessa ammissione dell’Amministrazione regionale, questo studio – ma in generale i dati – serve per tracciare la linea politica. Ovvero, quella di chi prende le decisioni. “Se abbiamo un calo nascite domani avremo quello della popolazione scolastica e poi ancora di quella lavorativa – ha detto il presidente della Regione Erik Lavévaz –. Quindi, dove possibile, è necessario mitigare questi effetti anche per il territorio, per evitare il suo spopolamento”.
“Oggi abbiamo meno di 800 nati – gli fa eco Luigi Bertschy, assessore allo Sviluppo economico e al Lavoro –. Con questi numeri non riusciremmo neanche a dare una risposta al turnover nel sistema occupazionale. Per questo è necessario attrarre nuove professionalità che aiutino lo sviluppo economico, facendo un investimento ancora più importante sui giovani ma anche su chi dovrà venire qui a lavorare”.
Una risposta
Come fa una regione a essere attrattiva se i posti di responsabilità sono occupati da persone mediocri. I risultati sono quelli bene evidenziati dall’articolo.