Si fa presto a dire povertà. Ma cosa determina se una famiglia è povera? Come si calcola la povertà? E soprattutto esistono tipologie differenti di povertà al punto da dover declinare il sostantivo al plurale? Questi gli interrogativi a cui la Fondazione comunitaria della Valle d’Aosta ha cercato di dare risposte durante il convegno “Poveri Noi – Dialogo sulle povertà il Valle d’Aosta” che si è svolto al Salone del Vescovado lunedì 21 ottobre scorso.
La povertà, in Valle d’Aosta come in Italia, ha tante facce e tanti significati diversi. E a seconda dei dati e degli indicatori presi in considerazione il fenomeno può assumere contorni e dimensioni almeno parzialmente differenti. Lo ha spiegato nei dettagli Dario Ceccarelli, responsabile dell’Osservatorio economico e sociale della Regione Valle d’Aosta che dopo i saluti di Pietro Passerin d’Entrèves ha dato il via al dialogo moderato da Gianni Nuti.
Dalla sua relazione emerge quindi come le famiglie considerate relativamente povere –ovvero che, nel 2018, per 2 componenti hanno una spesa mensile per consumi inferiore ai 1.095,09 euro – siano il 5,6% in Valle d’Aosta, contro il 15% dell’Italia, il 9,3% e l’8,6% dei vicini Piemonte e Lombardia (dati Istat). Meglio della Valle d’Aosta solo il dato di Bolzano fermo al 2,7%. Il che starebbe a significare che in Valle d’Aosta, nonostante la lunga coda della crisi economica, le condizioni di vita siano in generali migliori.
Se si tiene conto della percezione – dato più soggettivo – della povertà invece il quadro in generale si aggrava. Perché salgono al 7,3% le famiglie che dichiarano una grave deprivazione materiale. Sono quei nuclei che, a titolo di esempio, non possono sostenere spese impreviste di 800 euro, non si permettono una settimana di ferie all’anno lontano da casa o un pasto a base di carne o pesce ogni due giorni o non riescono a riscaldare adeguatamente l’abitazione (Piemonte 9%, Lombardia 6,4%)
Se il povero un tempo coincideva di fatto con la persona senza lavoro, la crisi economica che ha colpito duramente la Valle d’Aosta ha mutato il quadro. “Qui come in Italia ora la povertà non si associa più alla mancanza di lavoro, ma entrano nella categoria anche coloro che un lavoro, magari precario o saltuario e malpagato ce l’hanno”. E il dato dei part time maschili è in questo senso significativo: “dall’inizio della crisi in Valle sono triplicati” ha spiegato il responsabile dell’Osservatorio.
Non sorprende quindi il dato che vede al 13,8% le famiglie valdostane a rischio povertà – “non sono al momento povere ma sono in condizioni di fragilità tale che potrebbero diventarlo”. Un dato in linea con le altre regioni del Nord Ovest, leggermente migliore del dato nazionale.
Se cambiano ancora gli indicatori, cambia anche il posizionamento della Valle d’Aosta nell’ipotetica classifica dei paesi più ricchi e benestanti: il reddito procapite – 20.901 euro annui – è più basso di quello della Liguria, della Lombardia e di Bolzano e appena più alto del Piemonte, le famiglie che non riescono a risparmiare sono il 78,5% (più della stessa media italiana ferma al 70,01%). E ancora il 26,2% dei nuclei valuta la sua situazione peggiorata rispetto a quella dell’anno prima e il 34,8% ritiene le proprie risorse degli ultimi 12 mesi scarse o insufficienti.
Ma quando si parla di povertà non si parla solo di mancanza di risorse materiali. E’ sempre più diffusa anche una povertà di tipo educativo dove la deprivazione riguarda il diritto, in particolare dei minori, ad apprendere, formarsi, sviluppare capacità e competenze e coltivare le proprie aspirazioni e talenti. E’ un fenomeno complesso, spesso intrinsecamente legato alla povertà materiale, che è stato affrontato, seppur in termini generici e senza riferimenti alla Valle d’Aosta, da Marina Fey, Sovrintendente agli Studi della Valle d’Aosta.
A chiudere il dialogo, con esempi e testimonianze concreti ed efficaci, Andrea Gatto, Direttore della Caritas Diocesana di Aosta, un ente che i poveri nei suoi diversi servizi li incontra quotidianamente. “L’incontro è stato proficuo e produttivo” – ha concluso Gianni Nuti, segretario generale della Fondazione comunitaria – “ora starà a noi fare sintesi e provare ad elaborare delle proposte concrete di azione su un tema su cui abbiamo scelto come Fondazione di concentrare energie e risorse”.