Un cambio di paradigma e di prospettiva per le persone con disabilità: dall’assistenza tout court alla progettazione di percorsi, dall’offerta di servizi, alla costruzione di progetti personalizzati di vita indipendente.
Ci prova “Io Vado” iniziativa sperimentale nata da un tavolo di coprogettazione tra la Regione Valle d’Aosta, UVMDi, l’unità di valutazione multidimensionale Disabilità, tre cooperative sociali – L’Esprit à l’Envers, Indaco e C’era L’Acca – e il Codivda, il coordinamento valdostano che riunisce buona parte delle associazioni di volontariato valdostane che si occupano di disabilità. Il finanziamento arriva invece dal Ministero del lavoro e politiche sociali.
In concreto il progetto “Io Vado” prevede l’affiancamento di 20 giovani con disabilità nella costruzione del loro personale progetto di vita indipendente. Che per qualcuno significa andare in palestra da solo, per altri si traduce in un tirocinio di lavoro o in un’esperienze di vita fuori casa e in autonomia.
I partecipanti, persone con disabilità fisica e intellettiva, hanno scelto di iscriversi al progetto. “Le domande erano molto più numerose, abbiamo dovuto fare una selezione. E’ fondamentale, per la buona riuscita del progetto, una forte motivazione, la voglia di mettersi in gioco come famiglia e come persona” spiega Anna Di Pede, coordinatrice del progetto.
“L’idea alla base non è tanto quella di offrire un servizio ma di progettare insieme un percorso di vita indipendente a partire dai bisogni individuati e dai desideri espressi” spiega Stefano Joly, educatore referente del progetto insieme a Serena Castegnaro. “La persona disabile esprime la volontà di andare a vivere da sola? Bene capiamo insieme come è possibile raggiungere questo obiettivo, quali ausili servono, quali aiuti mettere in campo, come utilizzare la rete territoriale e in che tempi si può raggiungere questo risultato”.
“L’accezione vita indipendente qui è da intendere non tanto come vita autonoma fuori di casa, per alcuni disabili gravi questa è un’opzione non percorribile, ma piuttosto traducendo l’espressione inglese indipendent living che significa vivo la mia vita indipendentemente dalla mia disabilità” sottolinea ancora Joly.
E quindi i due educatori, Stefano e Serena, hanno progettato passo dopo passo, singolarmente, insieme ai partecipanti e alle loro famiglie, i percorsi di autonomia e successivamente hanno iniziato a dare gambe ad alcune esperienze e sperimentazioni. Mirko ha così svolto un tirocinio in una panetteria, Jean ha capito di aver bisogno di un’assistente personale, Marco e Luca hanno provato a vivere da soli in un appartamento messo a disposizione dal progetto. E così molti altri.
Poi con il lockdown il progetto si è fermato per ripartire solo nell’autunno del 2020. Il che equivale, per alcune situazioni, a dover riprendere tutto da capo, rimettere insieme i servizi, riallacciare i rapporti. “A volte si fa fatica a capire che si tratta di processi lunghi di lavoro, fatti di analisi dei bisogni prima, di individuazione di soluzioni poi e di autonomie da conquistare”.
Anche perché non si può non tenere in forte considerazione la dimensione dei diritti. “Dobbiamo partire dal presupposto che la persona con disabilità ha gli stessi diritti di noi tutti, è un suo diritto come il mio di lavorare e di contribuire alla società: è ovvio che la strada per arrivare a soddisfare questo suo diritto è molto diversa dalla mia”. Sulla necessità di colmare questo gap di percorso si inseriscono anche le progettualità come “Io Vado”. A questo punto, per quanto sperimentali, è davvero impensabile immaginarne una scadenza.