Missione compiuta: ho finito il QuarTrail. Non so di preciso quanto ci ho messo (Runtastic diceva 2h50m), ma forse ci ho messo più tempo e più fatica per scrivere questo resoconto. Non so neanche se, con questo, sarò riuscito a rispondere alla fatidica domanda: “Ma chi glielo fa fare, a quelli, di fare i trail?”. Le mie motivazioni le avevo già esposte alla vigilia, sarebbe bello sapere anche quelle degli altri. Di sicuro, però, ho provato una grande soddisfazione, che mi fa quasi rimangiare l’idea iniziale che avevo avuto per il titolo di questo articolo e cioè, citando David Foster Wallace, “Una cosa divertente che non farò mai più”. Chissà. Ma andiamo per gradi.
Prima della prima
L’inizio vero e proprio del QuarTrail è stato, per me, il ritiro del pacco gara e del pettorale allo Zazy’s Gnam: un rituale che aspettavo per iniziare a respirare l’atmosfera e guardare, quasi come modelli, persone che avevano già fatto quest’operazione diverse volte. Magari non era vero, magari in coda con me c’era gente ugualmente alle prime armi, ma ai miei occhi tutti erano più rodati di me. Il forfait dell’ultimo momento del mio “compagno di corse” Stefano, con cui mi ero allenato fino all’ultimo, si porta dietro un’accentuazione dei timori e delle preoccupazioni: non solo non so cosa mi aspetta, non solo rischio di trovare la pioggia, ma devo anche correre da solo, dovendo così, quasi all’improvviso, sapermi autogestire per quanto riguarda la corsa e la compagnia. Anche la pubblicazione dell’articolo in cui preannunciavo ai lettori di AostaSera la mia avventura ha avuto un’ulteriore incidenza a livello psicologico: iniziavo a sentirmi qualche occhio in più addosso, con, all’orizzonte, lo spettro della figura barbina che avrei fatto se non avessi portato a termine la gara. Una cena leggera a base di spaghetti, come suggerito dal caro Matteo, che di corse e trail ne sa, per evitare di avere sorprese il giorno dopo. Le sorprese, però, ci sono state lo stesso: essere svegliato alle 5 del mattino da un mal di testa lancinante non credo rientri nelle condizioni ottimali per affrontare un trail. Poco male, ho altro a cui pensare e, dopo un caffè e delle fette biscottare con marmellata, si parte verso Quart, dove la navetta porta me e altre 7 persone fino al Castello. Sono seduto vicino ad Ivana, ed insieme scrutiamo le nuvole in cerca di capire se sarà per entrambi un esordio bagnato: anche lei è al primo trail, ed anche lei ha optato per il 14 km. Dopo aver depositato gli zaini ed esserci fatti registrare alla partenza, io e Ivana decidiamo di fare il primo pezzo assieme.
“Now I’m ready to start”
Parto alle 8.23. La prima volta avevo provato a fare la salita fino al Beato Emerico correndo, ma ho ceduto dopo pochi metri: ho imparato la lezione, quella parte si fa camminando. Ivana mi racconta che si è iscritta all’ultimo e che avrebbe anche voluto portare con sé il suo cane, ma gli ha risparmiato la fatica. Lungo il percorso, che alterna sentieri più esposti con tratti dentro il bosco, si incrociano e si salutano gruppi di persone che, per più o meno tempo, saranno i tuoi temporanei compagni di viaggio, anche senza doverci scambiare per forza delle parole: l’idea che esala dall’atmosfera che si respira è di essere tutti un grande gruppo, non per forza degli amici ma persone “solidali” che si sono lanciate nella stessa avventura. Un po’ come quando ci si imbarca su un aereo per andare all’estero, ma senza l’imbarazzo che spesso ti assale in quelle occasioni. Qualche centinaio di metri prima di giungere al Beato Emerico noto in lontananza, guardando indietro il gruppetto di persone, una figura che sale agile e svelta. Non so perché, ma ho come l’impressione di conoscerla; subito penso a qualche amica, ma poi la tenuta arancione ed il buff in testa, oltre all’andatura, restringono il campo. Quando mi passa a fianco realizzo che è proprio lei, Lisa Borzani, la vincitrice del Tor des Géants del 2016. L’avevo intervistata, in un momento di difficoltà per lei, a Champoluc. Se lo ricorda, così facciamo una chiacchierata (sì, posso dire di aver tenuto il passo della vincitrice del Tor per due o trecento metri!): mi racconta che si è trasferita definitivamente a La Magdeleine, quindi il Tor è per lei davvero la corsa di casa, e tesse le lodi del QuarTrail e dei sentieri della Valle d’Aosta, che ora potrà scoprire ancora meglio. Le chiedo se parteciperà al Tor des Chateaux, ma mi dice di no, che è una manifestazione troppo impegnativa e veloce, posta ad inizio stagione, ma che l’idea è senza dubbio stupenda. Arrivati al Beato Emerico la lascio andare, dandole appuntamento al Tor des Géants di quest’anno (in realtà la raggiungerò poi al ristoro di Trois Villes, dove mi dirà: “Però, viaggi per essere al tuo primo trail! Magari hai un futuro”. Faccio finta di prenderlo per un complimento e non per una cortesia).
Torno – scusandomi – da Ivana, salvo poi abbandonarla di nuovo perché inizia una parte di un paio di chilometri in piano, che vorrei fare di corsa. Smetto di correre nella salita che precede l’arrivo a Trois Villes, che immaginavo ripida ma meno lunga, ed è il primo pezzo impegnativo. “Ma sì”, penso, “una volta arrivato al punto di ristoro sono praticamente ad un terzo del percorso e dovrei aver finito le salite”. Sbagliato, perché Runtastic segna, dopo circa un’ora e dieci, poco più di 4 km, e anche sulle salite ho preso una cantonata, come scoprirò in seguito. Prima del ristoro incrocio Romuald, che fa i video e che è uno dei primi che devo ringraziare per avermi fatto partecipare. A Trois Villes mi fermo poco, giusto il tempo di un bicchiere di acqua coi sali minerali, un pezzetto di crostata ed un messaggio di rassicurazione nella chat di AostaSera. Fa troppo freddo e c’è troppo vento per fermarsi ulteriormente, ma queste condizioni climatiche mi fanno venire in mente, un po’ a caso, un verso di Stand by me degli Oasis: “Don’t you know the cold and wind and rain don’t know, they only seem to come and go away”. Il freddo, il vento e la pioggia non sanno che, per il mio primo trail, avrei preferito temperature più miti. Beh, se non altro non piove. Sbagliato anche qui, come scoprirò dopo.
Da qui in poi c’è la parte più pianeggiante, che affronto quasi tutta correndo. In discesa mi faccio sorpassare da Elisa, che, in corsa, mi consiglia di tenere le braccia più morbide e di usarle anche per l’equilibrio. Lei fa già gare, e mi dice che è qui con una classe del Liceo Artistico di Aosta, in cui insegna educazione fisica e con cui ha affrontato questo progetto. Quando entro nel bosco trovo il terreno molto umido e scivoloso, quindi mi contengo un po’, anche perché ho delle normali scarpe da corsa, non da trail. Qui, però, arriva quello che più si avvicina ad una mezza crisi: la salita nel bosco. È più lunga e ripida (per i miei standard) di quanto mi aspettassi. Mi fermo un paio di volte per bere e ingerire un gel a base di caffeina, sperando mi dia la giusta spinta. Il problema sono le gambe o, meglio, i muscoli che non ho. Intorno a me non passa nessuno, ho quasi la sensazione di aver sbagliato strada. Ad un certo punto, in lontananza, sento delle grida di incitamento, così capisco che, bene o male, sto andando nella giusta direzione. Le urla mi rinfrancano e supero la salita, ma ne pago lo scotto e sento un accenno di crampi al polpaccio destro. Non posso farmi vedere così dagli “incitatori”, così mi metto a correre ed arrivo a Morgonaz alle 10.27, secondo punto di ristoro ma sicuramente il più “caldo”. Mi fermo un po’ di più per cercare di placare gli accenni di crampi, ma riprendono ad entrambi i polpacci quando riparto correndo verso la discesa finale. Mi fermo ancora un attimo, e questa volta funziona. “Ora è tutto in discesa, letteralmente e metaforicamente”. Certo, come no: inizia a piovere. La poderale non crea problemi, ma i prati ed i sentieri sì, ed un paio di volte rischio di scivolare nel fango, ma, come per i crampi, la sfango anche questa volta. Poco prima del Castello di Quart incrocio François della “concorrenza” con sua moglie Viviana, che sono venuti a fare il 6 km, e, ovviamente, ci diamo appuntamento alla buvette.
È fatta
Vado in scioltezza, sotto la pioggia, sorrido da solo sentendo a breve distanza la musica reggaeton (o come si chiama, non sono un esperto) che ha caratterizzato la giornata: sono circa le 11.15 e ci siamo, sono arrivato! Non ho quella sensazione di chi fa l’impresa e si butta a terra baciando il terreno, eh, ma la soddisfazione e la fierezza di aver portato a termine la mia “missione” sicuramente sì. Sono sceso a compromessi con il mio fisico, l’ho ascoltato e sono stato capace di autogestirlo. Anche grazie a questo, sono riuscito a raggiungere il mio obiettivo. Che sia questo confronto con se stessi – fisico e mentale – uno dei motivi principali che spinge le persone a fare i trail? La proporzione tra sforzo e soddisfazione è tutta in favore di quest’ultima. Non in secondo piano (lo dico en passant ma spero si evinca anche dal mio racconto fin qui) ci sono l’atmosfera di camaraderie e la bellezza del paesaggio.
Sorrido, cerco qualcuno con cui condividere questa gioia ma non conosco nessuno, allora lo faccio telematicamente, anche se la connessione internet del cellulare fa più fatica di me. Non ho neanche voglia di fare stretching o sedermi. Vado al bar a reintegrare i sali minerali con due birre (mi sono meritato sia di berle che di parlarne, direi).
Faccio qualche domanda a Claudio Hérin, l’ottimo artefice – insieme al suo team – di tutto questo. Sono stati circa 380 i partenti, tra cui anche il mitico Bruno Brunod. Mi rivela che l’anno prossimo ai percorsi di quest’anno si aggiungerà l’XL, un percorso competitivo di 68 km con 5.000 m D+ che varrà due punti ITRA, e che probabilmente la data slitterà di un paio di settimane.
Arriva anche Matteo, amareggiato perché voleva fare il percorso L ma ha dovuto ripiegare sull’M per via della neve (!) che hanno trovato. Ci diamo appuntamento per il pranzo (buonissimo, sarà stata la fame per lo sforzo) e intanto vado a fare la doccia, anche se l’attesa per la navetta è un po’ troppo lunga.
Prossima fermata?
Adesso giocare a pallone mi manca troppo. La voglia di sperimentare qualcosa di nuovo, però, resta viva, quindi devo studiarmi qualche nuovo progetto per il futuro. Un’idea potrebbe essere la MezzAosta (o anche solo la 10 km), a condizione di convincere qualcun altro di AostaSera a farla con me.