188 giorni in mare su una barca a vela, quasi 34.000 miglia navigate, centinaia di pasti liofilizzati mangiati, pochissime ore dormite. Roger Junet ha portato a termine il suo giro del mondo in barca a vela con il ritorno a Lorient, da dove era partito, insieme a Joe Harris, l’11 giugno 2022, a cui va aggiunto lo spostamento da Portland a metà maggio. La Gryphon Solo II ha concluso la Globe40 alle 7.53 di domenica 19 marzo con il terzo posto di tappa e il quarto assoluto di questa straordinaria ed impegnativa avventura.
Un’ultima tappa, da Grenada, caratterizzata da momenti di calma piatta – letteralmente – alternati a burrasche spaventose. “Poco prima dell’arrivo, pensavo alle cose che mi mancavano: doccia calda, birre, buon cibo, un letto che non cerca di buttarti giù ogni volta, dormire più di 3 ore alla volta, stare con le persone che amo e scrivere il mio libro di memorie sul Globe40 così i miei ricordi non andranno perduti per sempre”, racconta Roger. “Iniziavo a temere che la Terra fosse piatta”.
“15 barche si sono iscritte a questa regata, 7 di noi hanno iniziato l’anno scorso a Lorient e 4 barche sono arrivate. Quei 15 team avevano in comune lo stesso sogno di navigare intorno al mondo, ma gli ostacoli sono stati tanti e purtroppo molti concorrenti non sono stati in grado di superarli”, continua il 38enne di Sarre.
Sul suo rapporto con Joe – detto anche Giuseppe – Junet conferma che è stato ottimale: “Joe e io abbiamo formato una grande squadra. Sono orgoglioso di noi, non abbiamo lasciato che le piccole cose si intromettessero; hanno sempre prevalso il rispetto reciproco, la gentilezza e un grande senso dell’umorismo. Batti il cinque Giuseppe! Abbiamo navigato insieme 188 giorni e 188 notti in un ambiente molto piccolo con standard primitivi. Sono grato per l’onnipotente Gryphon Solo II che è stata così brava con noi. La barca era ben preparata e ci siamo presi molta cura di lei e lei si è presa cura della sua squadra. Nei momenti di difficoltà io e Joe ci siamo guardati l’un l’altro chiedendoci come facesse la barca a non rompersi a metà. È stata fantastica”.
Nei prossimi giorni Roger Junet sarà ad Aosta per godersi la famiglia, le montagne, gli amici, il riposo, la polenta. La mocetta, quella, non è mai mancata, tanto che ne ha regalate 10 alla direzione di gara. “Abbiamo creato un bel legame con gli altri concorrenti e con la direzione della gara, siamo stati una famiglia per 10 mesi. Mi mancheranno così come molte delle bellezze che offre l’oceano: le albe, i tramonti, gli albatros, gli arcobaleni. Le stelle sono così uniche quando sei in mezzo all’oceano navigando in zone così remote. Probabilmente siamo stati gli unici ad aver navigato in quella specifica località lasciando solo una scia che dura pochi secondi. Credo che avrò un po’ di malinconia”.
La settima fatica di Roger Junet
La fatica si fa sentire, i mesi sulla barca a vela sono ormai 10 e le miglia percorse più di 40.000. Ne mancano “solo” 3.500, poi la Globe40 di Roger Junet e Joe Harris volgerà al termine. “Non vedo l’ora, il solo pensiero dell’arrivo mi dà un senso di euforia e allegria”, racconta. “Siamo davvero sfiniti, fisicamente e mentalmente”.
L’ottava e ultima tappa della gara partirà da Grenada, nei Caraibi, il 24 febbraio, per arrivare a Lorient dopo almeno una ventina di giorni: “Avrò un po’ di tempo per riposare, mia sorella Monique e mia mamma Elly mi raggiungeranno tra un paio di giorni per una vacanza insieme”. La volata finale non sarà poi rilassante: “All’inizio sarà una tappa molto bella per poi diventare molto dura e impegnativa verso la fine, il nord dell’Oceano Atlantico d’inverno è sempre tosto e le acque sono gelide”, continua Roger. Dopo la vittoria di tappa di Whiskey Jack i giochi per il quarto posto sono riaperti: “Tutto si giocherà nell’ultima tappa e per la gioia di Joe cercherò di spingere la barca come un dannato”, scherza il valdostano.
A Grenada i due a bordo della Gryphon Solo II ci sono arrivati da Recife, in Brasile, dopo una tappa “sprint” di 9 giorni 4 ore 43 minuti, al quarto posto: “È stata una tappa diversa dalle altre, a fare la differenza sono le barche e la nostra è di una generazione più vecchia rispetto alle altre. Abbiamo cercato di agire un po’ diversamente andando a cercare più vento al nord e un angolo migliore, ma purtroppo la nostra la strategia non ha pagato come la tappa scorsa. Siamo stati i primi nella flotta ad attraversare l’equatore e abbiamo fatto un brindisi a Nettuno per averci dato il benvenuto nuovamente nell’emisfero nord”.
Si possono seguire le gesta di Roger e Joe, oltre che sul sito della Globe40, anche sulle pagine Facebook e Instagram del valdostano.
Roger Junet trova il podio nella tappa “brasiliana” della Globe40
Roger Junet e Joe Harris sulla loro Gryphon Solo II hanno trovato il loro primo podio nella Globe40, la gara di barca a vela attorno al mondo. La sesta e terzultima tappa ha portato i cinque equipaggi “superstiti” da Ushuaia, nella Terra del Fuoco, a Recife, in Brasile. Una tappa ricca di soddisfazioni, non solo dal punto di vista sportivo ma anche per lo spettacolo offerto dalla natura, tra ghiacciai, balene, delfini e pinguini attorno all’imbarcazione. Anche se c’è una nota dolente: è finita la mocetta.
Un’ottima partenza per Roger e Joe, con il passaggio a ovest delle Isole Falkland in seconda posizione e la ricerca di una tempesta a nord da sfruttare per essere lanciati e staccare gli inseguitori, Sec Haya e Amhas. L’imprevisto, però, era dietro l’angolo: “Una notte l’autopilota ha corretto troppo una sbandata e ci ha fatto strambare con 36 nodi di vento”, racconta il valdostano. “La barca era sdraiata su un fianco, con tutti i pesi dalla parte sbagliata, io ero appeso con i piedi che penzolavano. Le onde colpivano la carena peggiorando la situazione. Piano piano siamo usciti da questa situazione e per miracolo non abbiamo rotto niente, queste strambate accidentali sono capaci di disalberare una barca. Da lì gli olandesi di Sec Hayai ci hanno passati, anzi quasi centrati perché eravamo a pochi metri da loro”.
Il grande colpo di scena della competizione è stato però il ritiro dalla tappa del team giapponese Milai, già vincitore di tre tappe: dopo aver centrato un container semi-sommerso, la chiglia si è piegata causando moltissimi danni strutturali, con l’acqua che penetrava. L’unica soluzione è stata quella di tacconare i danni e rientrare in Argentina per le riparazioni ed essere nuovamente pronti per la penultima fatica da Recife a Grenada, nei Caraibi.
Un incidente che fa riflettere Roger Junet: “Fa strano ma i pericoli più grossi sono proprio vicino alla terra, non in mezzo all’oceano: traffico, reti da pesca, oggetti galleggianti, pirati… È molto triste quello che stiamo facendo al nostro pianeta, gli oceani riflettono come ci comportiamo, c’è un sacco di immondizia, ci sono centinaia di pescherecci che distruggono l’ecosistema marino. I danni che stiamo facendo stanno diventando irreversibili”.
Dopo essersi rimessi in pista, Roger e Joe decidono di prendere una rotta un po’ azzardata, buttandosi ad est in modo da avere un angolo migliore durante la risalita a nord sull’Atlantico. “All’inizio perdevamo un sacco di miglia su Sec Hayai, più o meno 200, Amhas ci ha seguito ma hanno una barca molto più nuova e veloce della nostra, così ci hanno superati e abbiamo tagliato il traguardo secondi”. Purtroppo, però, la giuria ha deciso di infliggere alla Gryphon Solo II una penalizzazione di 8 e 15 minuti per aver sostituito uno spinnaker danneggiato nella tappa precedente da Capo Horn a Ushuaia, facendoli scendere al terzo posto a meno di due ore da Sec Hayai (qui la classifica). “Siamo comunque molto soddisfatti e contenti”, dice Roger, anche se resta un po’ di apprensione per aver urtato un oggetto col timone e c’è la necessità di capire l’entità dei danni.
Il 5 febbraio la partenza da Recife a Grenada, una tappa che dovrebbe durare circa 12 giorni.
Roger Junet ha doppiato il temuto Capo Horn: “Ringraziamo madre natura”
Raffiche di vento fino a 100 km orari, onde grosse, freddo polare, danni al radar, all’autopilota e a due importanti vele, ma alla fine ce l’hanno fatta: il 18 dicembre 2022 Roger Junet, Joe Harris e la barca Gryphon Solo II (e l’immancabile mocetta…) hanno doppiato il temutissimo Capo Horn. “Sono contentissimo, è stata davvero dura: abbiamo preso botte da orbi, l’oceano è feroce e sembra di essere a bordo di un giocattolo che può rompersi da un momento all’altro. Ancora non so come la barca sia riuscita a non distruggersi”, racconta il valdostano.
Un viaggio “alla fine del mondo”, da Tahiti a Ushuaia, in Patagonia, compiuto in barca a vela in 22 giorni, 7 ore, 13 minuti e 57 secondi, che ha portato i due al quarto posto della Globe40. “Quando abbiamo visto l’isola di Capo Horn, con la sua imponente montagna, ad appena 600 miglia dall’Antartide, abbiamo festeggiato e riflettuto: dobbiamo ringraziare madre natura per averci fatto passare nella parte più difficile e pericolosa parte dei nostri oceani, dove molti velisti e navigatori hanno perso la vita in passato”, continua Roger Junet.
Dopo aver doppiato Capo Horn, la Gryphon Solo II ha risalito il Canale di Beagle per 15 ore, tra montagne e ghiacciai, “sembrava di navigare in Valle d’Aosta da Pont-Saint-Martin a Courmayeur”. Dopo l’arrivo, Roger ha lasciato due vele a riparare a Buenos Aires ed è tornato a casa a Portland per festeggiare il Natale ed il Nuovo Anno con la fidanzata e gli amici. Il 3 gennaio tornerà in Argentina per prepararsi alla prossima tappa: l’8 gennaio si riparte verso Recife, in Brasile, per un viaggio di circa 18 giorni. “Siamo molto contenti di essere tornati nell’Oceano Atlantico, finalmente riusciremo a puntare la prua in direzione della Francia, dove finiremo la Globe40 a fine marzo”.
Roger Junet pronto ad arrivare “alla fine del mondo”
Partirà domenica 27 novembre da Tahiti la quinta tappa della Globe 40. Per Roger Junet, in equipaggio con Joe Harris sulla Gryphon Solo II, si tratta della “tappa più dura, anche se non la più lunga: è un po’ come il nostro Everest”.
Le imbarcazioni, infatti, doppieranno Capo Horn per approdare a Ushuaia in Argentina, capitale della Terra del Fuoco, “alla fine del mondo”. “È una tappa molto temuta, pochissime regate passano da Capo Horn. Ci aspettiamo un clima estremo, moltissimo vento nell’Oceano Pacifico del Sud, sfiorando gli iceberg e andando molto vicino all’Antartide”, spiega il valdostano. “La nostra strategia è sopravvivere e non distruggere la barca, da lì in poi sarà tutto più in discesa”.
La temuta tappa fa crescere la tensione negli equipaggi, anche se il clima tra i concorrenti è buono. La Gryphon Solo II è arrivata a Tahiti da Auckland in 13 giorni, 17 ore, 38 minuti e 54 secondi, al quarto posto. “Siamo passati dalla fredda Nuova Zelanda alla caldissima e stupenda Polinesia Francese, dove ci hanno accolti con danze locali e collane di fiori. La marina francese ci ha accolti mandando un jet per congratularsi e chiedendoci se andasse tutto bene”, racconta ancora Roger.
Il quale ammette di aver patito un po’ di stanchezza dopo 60 giorni senza riposo: “Ho aggiustato tutto quello che dovevo aggiustare sulla Gryphon Solo II e sono sparito a Moorea per dieci giorni con il telefono staccato”.
Roger Junet ha completato metà del giro del mondo in barca a vela
Mezzo giro del mondo è praticamente andato. Giovedì 20 ottobre Roger Junet ha raggiunto, insieme a Joe Harris a bordo della Gryphon Solo II, Auckland (Nuova Zelanda) da Mauritius, un viaggio lungo circa 15.000 chilometri concluso in 37 giorni. La terza tappa della Globe40 si è conclusa con l’emozionante accoglienza nel porto d’arrivo del Team New Zealand dell’America’s Cup: “Ci hanno dato il benvenuto sfiorandoci con la loro barca e chiedendoci come fosse andata la tappa”, racconta il valdostano, che ha anche corso il rischio di vedersi sequestrata dalla dogana l’ultima mocetta: “Per fortuna l’hanno dichiarata legale, così riuscirò a portarla intorno a Capo Horn!”. Il 28 ottobre, infatti, la quarta tappa porterà gli intrepidi velisti fino a Tahiti, nella Polinesia Francese.
Una partenza letteralmente a razzo da Mauritius dove, dopo circa 1000 miglia alla ricerca dei venti migliori, la Gryphon Solo II ha toccato i 25.2 nodi (47 km/h), il record per la barca da 12 metri, con venti a 80 km/h e onde alte 14 metri. “Abbiamo spinto molto per tenere la terza posizione fino a quando non abbiamo rotto una drizza, la corda che tiene issato il nostro spinnaker per le alte velocità”, racconta Roger. “La vela quindi è finita in acqua, attorcigliandosi intorno alla chiglia e una pala del timone. Dopo tanta fatica siamo riusciti a recuperare la vela danneggiata con qualche strappo notevole. L’acqua era così fredda che non riuscivo più a muovere le dita, solo dopo qualche ora sono riuscito nuovamente a tenere in mano un cucchiaio”.
L’incidente è però costato caro, costringendo i due velisti a cercare un’area di alta pressione senza vento. Il primo giorno ne hanno approfittato per riposarsi un po’ e per mettere ad asciugare gli abiti, il secondo per fare un po’ di riparazioni: “Sono andato due volte in cima all’albero (20 metri) per rimandare la nuova drizza dentro l’albero, operazione difficile che il nostro team di supporto negli Stati Uniti temeva fosse quasi impossibile”, continua il valdostano. “Dopo tanti tentativi è stato un successo, Joe ha pescato la drizza alla base dell’albero e saltava di gioia. Essere in cima all’albero con le vele issate è pericoloso, la barca ti vuole scuotere via ad ogni piccola onda”.
Una volta arrivati nel sud dell’Australia Roger e Joe erano ultimi, riuscendo poi a recuperare una posizione chiudendo al quarto posto. Il vento non è stato favorevole, cosicché tutta la flotta è arrivata in ritardo sulla tabella di marcia: “Rimanendo in mare molto più del previsto siamo rimasti senza zucchero, cioccolata calda, salame, formaggio e cioccolato. Un vero disastro nautico!”.
Tra tempeste ed emozioni, Roger Junet è arrivato alle Mauritius
Dalla Croce del Nord a quella del Sud, dall’estate all’inverno, cambiando emisfero, attraversando l’equatore e tutte le condizioni metereologiche ma anche psicofisiche, dal sonno e stanchezza durante il viaggio alla gioia all’arrivo. Quello di Roger Junet non è solo un viaggio intorno al mondo, ma un vero e proprio viaggio della e nella vita, tra tempeste ed emozioni, tra calma piatta e pezzi di mocetta.
Da Capo Verde a Mauritius, in 39 giorni, 21 ore, 37 minuti e 48 secondi si è chiusa per la Gryphon Solo II del valdostano e di Joe Harris la seconda tappa della Globe40, con un quinto posto e la voglia di non mollare ma di continuare a vivere questa incredibile esperienza.
“Abbiamo visto tutti i tipi di clima”, racconta Roger Junet, “dal caldo torrido di Capo Verde alle giornate più autunnali con il sole tiepido e giallognolo una volta passato l’equatore, fino a giornate cortissime e fredde come l’inverno in Valle d’Aosta quando eravamo al Capo di Buona Speranza”. Che un tempo si chiamava Capo delle Tempeste, non a caso. E di tempeste l’equipaggio ne ha incontrate parecchie. “Nessuna gara passa dal Capo di Buona Speranza d’inverno, quello che rende il passaggio maggiormente difficile è la corrente di Angulhas, che viaggia a 5 nodi e quando il vento soffia contrario al flusso della corrente crea onde verticali letali che possono anche affondare le navi mercantili. Gli oceani del Sud d’inverno sono proprio inospitali, gli umani non sono affatto benvenuti”.
Per evitarla, la strategia di Roger e Joe era di andare più a sud, ma non avevano fatto i conti con la bassa pressione: dopo diverse discussioni con il meteorologo della Globe40, l’equipaggio accetta di dirigersi più a nord. Una sorta di “fuga per la sopravvivenza” che si è ripetuta vicino alle coste del Sudafrica: “Un’altra violenta bassa pressione ci stava per investire, questa volta proprio dove c’era la corrente di Angulhas, così di notte ci siamo infilati nel piccolo porto di Mossel Bay. Nel mezzo della notte, però, alcune corde si sono impigliate nell’elica del motore di Gryphon Solo II, così con le vele ammainate e con il motore disabilitato siamo andati a sbattere contro un molo di cemento”.
Dopo aver lavorato fino al mattino, i due decidono di godersi una meritata colazione nel bar di un albergo, vestiti da “viaggio”, cioè con stivali e strati di vestiti gialli fluorescenti. “Una coppia seduta al tavolo vicino ci ha chiesto come stesse andando la gara. Abbiamo risposto che se eravamo lì non stava andando molto bene. Poi abbiamo realizzato che ci conoscevano e seguivano la gara, è stato molto divertente. Abbiamo comprato un po’ di scorte e siamo ripartiti con le pance piene, senza aver dormito un minuto”.
Durante il viaggio ci sono stati anche gli inconvenienti tecnici, dal desalinizzatore per creare acqua dolce che non funzionava alla connessione satellitare saltata. In più, il cambio di rotta in Sudafrica è costato ai due 48 ore di ritardo sulla tabella di marcia, “un tempo infinito in questa gara”. A ripagare Roger e Joe, però, è stato l’arrivo alle Mauritius: “Le barche della Globe40 ci sono venute incontro con i nostri amici e la famiglia di Joe. È stato un momento stupendo arrivare ed essere accolti da tutta l’organizzazione e dalla gente locale, una grande festa dopo 16.000 km di navigazione”.
Roger ha sempre la Valle d’Aosta nel cuore. E nello stomaco: “Avevo ancora una mocetta che incominciava ad essere un po’ “stanca”, così l’ho appesa fuori dalla barca e l’ho lasciata ad essiccare bene con l’acqua salata e qualche raggio di sole. Un nuovo metodo… Mi manca la Valle, quando finirà la gara ho proprio voglia di passare del tempo a casa, andare in montagna e ingrassare di polenta concia, fumin, caffè, grappa, magari in una bella tavolata al sole con gli amici”.
Ora il tempo di fare qualche riparazione alla barca e l’11 settembre si riparte per Auckland, in Nuova Zelanda. Si potranno seguire le gesta di Roger e Joe, oltre che sul live tracking della barca, anche sulle pagine Facebook e Instagram del valdostano.
Globe40, Roger Junet chiude al quinto posto la prima tappa
Tanto pathos, con attacchi di orche, collisioni, guasti all’autopilota e chi più ne ha più ne metta. La prima tappa della Globe40, circa 2.000 miglia da Tangeri, in Marocco, a Sao Vicente, a Capo Verde, non è stato di certo noiosa. Roger Junet, il valdostano a bordo della Gryphon Solo II insieme a Joe Harris, ha chiuso al quinto posto in 8 giorni 11 ore 14 minuti 18 secondi, in una classifica corta che vede quattro equipaggi racchiusi in 3 ore (qui la classifica), dove a guidare sono i giapponesi di Milai, arrivati domenica in 7g2h24m20s.
Proprio loro sono stati i protagonisti di una delle prime vicissitudini di questa incredibile gara quando, a poche miglia dallo Stretto di Gibilterra durante il prologo, sono stati attaccati da un’orca che ha rotto il loro timone.
“In Marocco, prima di partire, abbiamo avuto l’opportunità di lavorare molto sulla barca e metterla a punto. Per la prima volta ho avuto un giorno di riposo, che spero di prendermi anche mentre siamo qui a Capo Verde”, racconta Roger Junet. Una partenza molto caotica, con un percorso tra le boe nella baia ai fini dello spettacolo che è costato caro a The Globe en Solidaire di Eric Grosclaude, costretto al ritiro dopo una collisione con Whiskey Jack (Mélodie Schaffer e Gary Jacques).
“Durante le prime ore il nostro autopilota ha iniziato a mandare messaggi di errore”, prosegue il valdostano. “La barca andava fuori controllo e quindi avevamo strambate e virate accidentali, molto pericolose e violente. Per fortuna non abbiamo subito danni ma abbiamo perso molto tempo, ritrovandoci un po’ depressi in ultima posizione”. Roger e Joe decidono quindi di timonare a mano per più di due giorni, un’operazione che richiede il massimo della concentrazione, con turni al timone di due ore al massimo senza poter andare in bagno o bere e microsonni di un’ora e mezza. “La fatica avanza, a timonare di notte vedi doppio e inizi a dare un po’ di matto”, scherza Roger Junet.
Il vento è ottimo e la Gryphon Solo II inizia a spingere tanto, recuperando due posizioni nei dintorni di Madeira. Lì, però, il vento scarseggia e bisogna cercare una rotta più complicata. Un incidente con lo spinnaker di 185 metri quadrati ed una folata di vento hanno quasi capovolto la barca, con l’albero parallelo al mare e Roger obbligato a mollare il timone ed appendersi con due mani per non cadere.
“Speravamo di arrivare sul podio ma siamo davvero molto vicini e non abbiamo subito danni, quindi ci consoliamo così. Una grande performance per la barca giapponese Milai che ha vinto e per il team olandese Sec Haya con il secondo posto, davvero molto bravi”.
L’atmosfera a Capo Verde è bellissima, c’è competizione ma anche spirito di gruppo tra gli equipaggi. La prossima tappa, fino a Mauritius (7.000 miglia), partirà il 17 luglio. “Sarà una delle più dure”, conclude Roger, “con il passaggio dal Capo di Buona Speranza, con tutte le condizioni: assenza di vento lungo l’Equatore, basse pressioni nei mari del sud, corrente fortissima in Mozambico, persino pericolosa per il traffico pesante. Stiamo analizzando molto la meteo”.
Per Roger Junet un prologo agrodolce nella Globe 40
Un ritiro in un prologo che non vale per la classifica ma solo per lo “spettacolo” non è una disfatta, se si pensa che c’è ancora un intero giro del mondo da affrontare per i prossimi nove mesi. Roger Junet e Joe Harris hanno scelto la via della prudenza all’inizio della loro Globe40, abbandonando la Lorient-Tangeri davanti alle coste del Portogallo per farsi trovare pronti in vista della vera gara velistica, con la prima tappa da 1.500 miglia da Tangeri, in Marocco, a Sao Vincente (Capo Verde), in programma dal 26 giugno.
L’inizio è stato molto positivo, con i due velisti della Gryphon Solo II già in assetto da gara: “In questo prologo si potevano avere più di due persone sulla barca: io e Joe eravamo gli unici in doppia, mentre altri team avevano l’equipaggio completo o erano in tre, e questo fa già una grandissima differenza”, racconta dal Portogallo il giovane sarrolein. “Abbiamo avuto un’ottima partenza, poi abbiamo perso alcune posizioni tra le boe da doppiare per dare un po’ di spettacolo nella baia di Lorient. Una volta offshore nel Golfo di Biscaglia c’era molto vento e mare mosso, e siamo riusciti a superare due barche”.
Da qui l’inizio delle tribolazioni. Dapprima un contatto sfiorato con un peschereccio, inizialmente confuso con l’imbarcazione Stormtech in procinto di un sorpasso: “Quando ho controllato il radar ho scoperto che era un peschereccio Mar Mares che veniva proprio contro di noi. Alla radio, con un fantastico mix di spagnolo, italiano, francese e inglese, abbiamo chiesto loro di virare a destra per non scontrarci, ma hanno risposto negativamente. Noi non abbiano avuto il tempo di strambare con tutte le vele su e tutti i pesi a sinistra. Siamo arrivati molto pericolosamente a pochi metri dalla loro prua, e lì hanno deciso di cambiare la rotta a destra”.
Il vento era potente, ed alcuni pezzi hanno iniziato a cedere, tra cui l’allacciamento di una vela “che abbiamo dovuto ammainare anziché arrotolare su se stessa, ed in due è un’operazione abbastanza pericolosa”, poi un altro pezzo rigido di una vela piccola. “Proprio un peccato, eravamo terzi e stavamo andando bene”.
Ma i guai non finiscono qui, perché il meteo da Finisterre in poi non prometteva vento per tre giorni. Roger e Joe decidono quindi di dirigersi 100 miglia a ovest in cerca di vento, ma il traffico navale, tra petroliere e container, era un po’ sconfortante e preoccupante. “Amhas, l’equipaggio statunitense, ci ha chiamato per comunicarci il loro ritiro. Non avevamo nessuna voglia di stare per 48 ore in mezzo al mare a schivare navi giganti, così abbiamo abbandonato anche noi e ci siamo diretti nel bellissimo porto di Cascais, vicino a Lisbona, per fare rifornimento di gasolio, birra e una bella cena. È stata una decisione amara, non è mai bello abbandonare una gara, ma abbiamo lavori da fare in Marocco per cercare l’equilibrio prima della vera partenza e vogliamo essere lì il prima possibile”. Per ora ottime sensazioni le hanno date i giapponesi di Milai e gli olandesi di Sec Hayai (qui è possibile seguire le classifiche in tempo reale, qui il GPS della Gryphon Solo II e qui la pagina Instagram di Roger Junet).
L’amarezza del ritiro, però, è stata ben stemperata dai momenti di convivialità tra Roger e Joe: “Quando non c’era vento facevamo ogni giorno happy hour con birra, mocetta e tome”. Il tempo, in qualche modo, bisogna pur farlo passare, anche in mezzo al mare.