Dall’omertà all’onestà: educhiamo i giovani a rompere il silenzio

Noi dobbiamo educare i nostri figli a rompere il silenzio, perché l’unico silenzio utile nella vita è quello destinato all’ascolto dell’altro, o all’ascolto di sé.
Silenzio, omertà
Basta un po’ di educazione

E’ da un po’ che non scrivo, lo so. Avevo l’agenda piena, e per avere anche dei momenti in famiglia (sennò predico bene e razzolo male) ho dovuto lasciar sospesa la rubrica per qualche settimana. In più, sono così frastornata dai tristi fatti di attualità, che avevo bisogno di sospendere i pensieri e di focalizzare.
Oggi però riparto, e lo faccio addentrandomi in un terreno rischioso. Forse perderò qualche manciata di seguaci, ma che vi devo dire? L’urgenza di scrivere quello che penso prevale sempre sul bisogno di essere apprezzati. Oggi voglio parlarvi di omertà, uno dei mali che affligge la nostra cultura, dai banchi di scuola degli studenti fino ai contesti lavorativi.

L’altra sera ho visto il film “Sulla mia pelle”, sugli ultimi giorni di vita di Stefano Cucchi. Doloroso e necessario. L’ho visto insieme al figlio adolescente, un’esperienza doppiamente significativa, per me, come spero per lui; le riflessioni che ne sono seguite mi hanno fatto pensare a lungo. Non mi interessa qui dividere le opinioni, non mi interessano gli schieramenti che tanto hanno inquinato questa vicenda in questi lunghi e tristi 9 anni. Mi interessa condividere con voi l’unico antidoto perché di vergognosi ‘casi Cucchi’ non ce ne siano più: l’unico antidoto, ancora una volta, è l’educazione.

Quando incontro genitori e docenti e parlo di bullismo, molti si stupiscono quando sostengo che la cosa che più alimenta il perpetuarsi del bullismo non è il fatto che esistano ragazzi prepotenti o violenti, non è il fatto che ci siano ragazzi fragili e vittime, ma è il fatto che ci siano gli astanti. Gli spettatori; quelli che vedono, sentono, sanno e non fanno nulla. In nome dell’omertà che autotutela. Se ci pensate, l’omertà è anche quella a cui vengono educate le giovani generazioni nei paesi ‘comandati’ dalla mafia perché, si sa, quella è più utile delle armi. L’omertà è quella che si vede ancora troppo spesso in tanti contesti, quando c’è il cartellino timbrato da un collega, ma che vuoi dirgli, mica vorrai fare il delatore? Quando c’è l’insegnante dell’aula accanto che urla, insulta o fa discriminazioni verso alcuni alunni ma che puoi fare, mica puoi denunciare una collega? Quando c’è un operatore che maltratta gli anziani in casa di riposo, impreca loro contro tutto il giorno, ma vabbè, cerchiamo almeno di non lasciarlo solo in turno, perché mica vorremo denunciarlo alla responsabile?

E invece, direi proprio di sì. Magari si cominciasse a rompere qualche centimetro dei muri di omertà che ancora stratificano la nostra società, dalla scuola al lavoro!
Noi dobbiamo educare i nostri figli a rompere il silenzio, perché l’unico silenzio utile nella vita è quello destinato all’ascolto dell’altro, o all’ascolto di sé. Quando invece il silenzio è quello subito, quello mosso dalla paura, dal timore di perdere la nostra tranquillità (un’illusione di tranquillità!), quando il silenzio è quello vigliacco del “io mi faccio i fatti miei”, allora dobbiamo ammetterlo che stiamo fallendo. Clamorosamente.

Nel film su Cucchi li vedi passare uno ad uno quelli che, per timore o per quieto vivere, fanno silenzio: i carabinieri del turno della mattina dopo, che sanno che quei lividi la sera prima non c’erano, ma non fanno niente. I medici che sanno che quei lividi non possono essere dovuti ad una caduta dalle scale, ma non obiettano nulla. Gli agenti in carcere che se lo sentono proprio dire cosa sia successo, ma non vanno a fondo. Gli infermieri che assistono un paziente chiaramente in fin di vita, e lo sanno, ma non si ribellano. L’omertà è la cosa che fa più male dentro le trame di quel film, che poi purtroppo è vita reale.
Perché per ogni centimetro di omertà che riusciamo a combattere, per ogni centimetro di onestà che riusciamo a conquistare, ci sono vite che si salvano. Come Stefano Cucchi è morto in una coltre di omertà, ci sono tanti ragazzi nelle scuole che soffrono perché sono sistematicamente offesi, derisi, umiliati, aggrediti, perseguitati, nel silenzio di tutti. E a volte muoiono. E quando anche non si tolgono la vita, muoiono dentro. Lentamente.

C’è un deficit di empatia nella società di oggi; facciamo tutti più fatica a metterci nei panni dell’altro. Perché dare attenzione all’altro implica fatica, perché per sentire come sta l’altro io mi devo decentrare, e quel cambio di prospettiva è un gesto intenzionale.Non posso più guardare solo i miei bisogni, se sono decentrato diventano prioritari e urgenti anche quelli dell’altro. Se almeno una delle persone che ha incrociato lo sguardo di Cucchi avesse avuto più empatia e meno pregiudizio, più onestà e meno omertà, forse Stefano oggi sarebbe vivo. Forse.

Se ci impegniamo ad educare di più i bambini e i ragazzi a praticare l’empatia, nelle scuole e in famiglia, avremo in futuro degli adulti migliori. Se ci impegniamo ad educare le nuove generazioni a coltivare l’onestà, quella vera, non solo quella del “proprio dovere” ma quella che risponde ad un’etica della responsabilità, avremo in futuro dei cittadini migliori. Se a bambini e ragazzi insegniamo che non vanno protetti quelli che sbagliano, ma vanno richiamati a rispondere delle loro azioni, stiamo donando loro un germe che li proteggerà a vita. Che permetterà loro, da adulti, di impedire il perpetuarsi di ingiustizie. Se insegniamo loro a non seguire solo il proprio tornaconto personale, avremo forse una società migliore, più trasparente, forse un po’ meno corrotta.
Nel mondo ci saranno sempre persone che commettono azioni scorrette. L’unico modo per arginarle, e quindi paradossalmente anche per aiutarle, è rompere il silenzio.
L’omertà è un brutto veleno nelle relazioni, ma un antidoto c’è.

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