Oggi il figlio 14enne ha l’esame orale di terza media. Stamattina stavo per scrivere uno dei miei post ironici sul fatto che oggi sarebbe stata la giornata più lunga dell’anno. Io sveglia dalle 6,30 per alternare il mio lavoro al pc con momenti in cui lo interrogo (ultimi colpi di coda per ‘attaccare’ alla memoria qualcosa in più), provando a gestire la mia rabbia quando mette insieme frasi che non stanno in piedi, quando se ne esce con il suo inglese maccheronico, cercando di non inalberarmi quando vedo che studia, ma non in modo approfondito come farei io, quando vedo che espone, ma non articolando il discorso come farei io. Insomma, il solito post da ‘madre con aspettative’.
Poi uno scambio di messaggi con una cara amica che ha un figlio coetaneo al nostro è stata una doccia fredda. Io a preoccuparmi delle cavolatine (pronuncia meglio quella frase in inglese, su! rileggi ancora quel documento!) e loro che da mesi lottano contro la sua grave malattia, e lui piccolo grande eroe ha pure fatto gli esami di terza media, dilaniato dal male e dalla terapia, che ha dovuto ripetere proprio in questi giorni. Bastarda la vita, eh?
E allora ti fermi, piangi, ridimensioni tutto e pensi che forse è proprio ora di rimettere in ordine le priorità (quanto siamo piccoli noi essere umani, che abbiamo bisogno di toccare da vicino il dolore degli altri per cambiare la nostra prospettiva).
E così decido di scriverti una lettera, figlio mio, e la scrivo a te come a tutti quei ragazzi che con la scuola non hanno sempre avuto un gran rapporto di amicizia, che magari faticano ad essere costanti e a trovare un metodo di studio, che non sono tanto autodisciplinati, che non trovano stimolanti le regole della grammatica italiana (se a qualcuno piacciono, lo ricoveriamo subito!), che quando devono studiare 30 pagine di arte ricordando a memoria data e ubicazione delle opere si annoiano (e puoi dargli torto?), che insomma nella logica da studio mnemonico “testa-banco-libro” ancora tanto presente nella nostra scuola ci stanno un tantino stretti.
Vorrei dirvi che mi spiace se noi adulti non sappiamo sempre guardarvi al di là di un voto preso, di una competenza non raggiunta, di un modello di alunno perfetto, di figlio perfetto. Siamo fatti così, noi adulti: diamo per scontate le cose buone, come se le qualità positive fossero il ‘minimo dovuto’, e siamo sempre lì a enfatizzare i difetti, i limiti, le mancanze.
Vi chiedo scusa, ragazzi, se la scuola si ferma sempre a guardare quello che manca in voi, e non quello che c’è; se ancora vi proponiamo un modello di ‘alunno ideale’, quello a cui tutti si dovrebbero adeguare. Pian piano qualcosa sta cambiando, ma ancora poco.
Vi chiedo scusa se noi adulti, genitori o insegnanti, non sempre sappiamo educӗre, tirar fuori, far emergere il vostro potenziale, e vi chiediamo di raccogliere i nostri insegnamenti, che trasmettiamo a ripetizione, a volte in modo appropriato, a volte come dischi incantati.
Siamo fatti così, noi grandi. A volte ci affezioniamo alle nostre parole, ai nostri pensieri, alle nostre convinzioni. E vi ascoltiamo poco. Se vi ascoltassimo di più forse sapremmo meglio come aiutarvi.
Mi dispiace, figlio mio, perché forse anche io, la ‘mamma-pedagogista’, non ti ho sempre ascoltato come avrei dovuto, in questi tre anni di scuola media; ed ora vorrei cambiarti in queste ultime ore che ti avvicinano al tuo esame. E perché, poi? Per un voto in più su quel tabellone? Per un esame fatto ‘proprio bene’? Davvero questo farà la differenza nel tuo percorso di vita? No, non lo farà, perché tu non sei solo ‘l’alunno’; tu sei uno che nel campo da rugby placca quelli che sono grossi il doppio e combatte nel fango fino alla fine, tu sei uno che quest’inverno ha costruito da solo la cuccia per il cane, tu sei uno che, quando c’è stato bisogno, ha saputo aggiustare un tubo in giardino o montare da solo la tavoletta nuova del water (lo so, è poco poetico, ma sapete quanto è stato utile?), tu sei uno che sa cucinare piatti sfiziosi, tu sei quello che a Natale cerca i regali personalizzati per ognuno di noi.
Sei uno di cuore, anche se in questa tua fase di vita da neo-adolescente a volte mi fai arrabbiare come una iena. Ma quella è un’altra storia, va bene così, fa parte del gioco.
Ricordati, figlio mio, e ricordatevi, ragazzi che tra i banchi ci state un po’ scomodi, che la scuola è importante eccome! Ma non è tutto. E in questi giorni di esame, chi di terza media, chi della maturità, non vi state giocando il futuro. E’ solo una tappa della vostra vita.
Non etichettatevi, vi prego. Purtroppo, ci pensiamo già noi adulti.
Come ha detto egregiamente lo scrittore Enrico Galiano, nel suo post di auguri ai maturandi: “Non sarà mai un esame a dirti se sei maturo. E non sarà mai un tema a dirti se sai scrivere. Al mio tema di maturità ho preso quattro e mezzo, per dire. E non sarà mai un professore che non ti conosce, a dirti se sei pronto o meno per il mondo di fuori. Nemmeno quelli che ti conoscono. Forse, non puoi nemmeno tu. Infine, non sarà mai un voto a misurare il tuo valore. Ti dico queste cose per ricordare a te e anche a me stesso che un voto è solo un numero, non un’etichetta da attaccarsi addosso per la vita. Tu non sei il voto che prenderai: qualsiasi esso sarà, tu sarai molto di più”.
E così oggi ti accompagnerò, accetterò di stare sulla soglia della scuola, perché dentro non mi vuoi e lo capisco, e ti lascerò fare l’esame come lo sai fare tu.
Tanto, comunque, nella vita tu sei e sarai molto di più; voi siete e sarete molto di più.