Non so come la vediate voi, ma io sono stanca. Stanca dei ‘Leoni da tastiera’, stanca di chi spara sentenze, nel web e fuori dal web. Se poi a farlo sono i genitori contro gli altri genitori, sono sincera, rimango allibita.
Sarà perché il nostro primo figlio da piccolo era un piccolo Attila, e troppe volte mi sono sentita ‘guardata male’, giudicata severamente da altri genitori. Nei parchi giochi era quello irruente (dove c’era lui, puntualmente un bambino cadeva da una giostrina), a scuola era un bambino eccessivamente vivace, le trasgressioni alle regole erano il suo pane quotidiano, e in adolescenza era un inguaribile provocatore; insomma, io, madre e per giunta pedagogista, mi sono sentita spesso giudicata!
Lo so, forse questo outing non ve lo aspettavate, anche se so che quando ne parlo con altri genitori, questo fa star loro bene. “ah, ma allora capitava anche a te…”. Perché fare il genitore, lo sappiamo, è il mestiere più difficile del mondo. Qualcosa ti sfugge sempre. In più, se non vuoi crescere i tuoi figli sotto una campana di vetro, attivando quell’iper-protezionismo disfunzionale, sarai sempre soggetto a correre qualche rischio. Lo ha detto bene Alberto Pellai, in una lettera scritta ai genitori del piccolo Diego, tragicamente morto in un incidente sul bob. “Chi ha bambini piccoli sa, però, che il destino avverso è sempre lì, nascosto dietro l’angolo. I bambini sono molto imprevedibili, fanno, a volte, l’esatto contrario di ciò che ti aspetti da loro. Chi non ha vissuto l’esperienza di vedere il proprio bambino che ti sfugge di mano e si mette ad attraversare una strada, senza controllare se e in quale direzione stanno circolando le auto? Chi non ha visto il proprio bambino arrampicarsi su altezze impossibili e rischiare di cadere giù? E chi non ha dovuto fermare l’auto più volte, perché i figli, durante un viaggio, si erano slegati le cinture di sicurezza senza dircelo e magari ce ne siamo accorti solo dopo un centinaio di chilometri?”.
Pellai voleva confortare quella mamma e quel papà che hanno subito le accuse di alcuni genitori che, nelle vesti di ‘leoni da tastiera’, erano pronti a giudicarli. “Ve la siete cercata”, “quel bambino non doveva essere su quel bob a quella velocità”, “se non si è in grado di proteggere i propri figli succedono queste cose…” .
Neppure di fronte alla morte di un figlio ci si ferma? I social sono uno strumento che porta ad essere giudicanti, si sa. Ma non tutto è attribuibile al mezzo. Il rischio è proprio quello di perdere umanità, verso il prossimo, verso altri genitori che ‘sono come noi’; solo che ci fa paura pensarlo, e allora forse, scaramanticamente, commentiamo e critichiamo, quasi a prendere le distanze da quelle vicende terribili, convinti che a noi non capiterebbero mai.
Invece no, io non prendo le distanze; perché io vorrei abbracciarli tutti quei genitori, vorrei far sentire loro il mio Ubuntu: ne parlo qui, nel mio blog, se la parola vi incuriosisce.