Una corsa verso “l’ultima vetta, quella più alta”, senza guardarsi indietro, senza fermarsi, andando il più veloce possibile – come sempre, d’altra parte – perché “quando sarai arrivato in cima smetteremo finalmente di piangerti, fratellino”. A salutare Jean Pellissier ci sono le parole delle sorelle Laura e Daniela e del gemello Paul, ci sono tutti i famigliari, ci sono gli amici che hanno ricordato “Johnny Petardo”, il suo sorriso dolce e la sua voglia di fare festa, ci sono i conoscenti, c’è il mondo dello sport valdostano (e non solo) al completo – atleti, giornalisti, organizzatori, guide alpine –, persone che con il fuoriclasse hanno condiviso qualche salita sulla neve, un pezzo di sentiero o di strada (non solo metaforicamente), chi ha comprato da lui un paio di scarpe o chi ha partecipato ad una sua gara. Tante persone, talmente tante che la chiesa parrocchiale di Saint-Vincent non riesce ad ospitarle tutte, e metà restano nella piazzetta ad ascoltare le parole di saluto, ad evocare un ricordo, o a pensare in silenzio.
A cercare “una risposta che dia un senso a questa giornata”, come ha detto don Lorenzo Sacchi. “Un mistero che va al di là di quello che le parole possono provare a spiegare, l’interrogativo sul senso della vita, della morte, del nostro cammino su questa terra”. Un cammino durante il quale c’è una vetta da non perdere di vista e da raggiungere assicurati ad una corda, con un allenatore che ci dà sostegno e del quale spesso ci si dimentica. “Non tutto è sempre discesa, ci sono sempre delle fatiche più dure di quelle che abbiamo affrontato e rischiamo di cadere nella disperazione”, ha continuato don Sacchi. “Possiamo trovarci fisicamente soli in qualche momento di difficoltà, ma quei momenti non sono la verità della nostra vita. Non deve vincere il pensiero che la disperazione debba avere la meglio, bisogna tenere accesa la fiamma del senso del nostro vivere”.
Una vita, quella di Jean Pellissier, vissuta sempre “a tutta”, prima della “fuga consapevole”, come ha ricordato il gemello Paul, “più vecchio di qualche minuto”. Il ricordo dei primi giri in bici da Aosta a Saint-Vincent, “eterni, come eterno è stato oggi venire qui”, gli sci pronti lasciati in fondo al letto che significavano – senza chiederlo – “andiamo a sciare”, le poche parole dell’uno ed il “parlare troppo” dell’altro, la bontà e l’altruismo di “un fuoriclasse non solo nello sport ma nella vita di tutti i giorni”.