Esattamente cinquantacinque anni or sono, Ignazio Giunti debuttava in Formula Uno sul circuito di Spa-Francorchamps, a buon diritto considerata l’Università del Motorsport. Il 7 giugno 1970 il pilota romano agguanta il quarto posto al volante della Ferrari 312B.
Il Drake Enzo Ferrari ci aveva ancora una volta visto giusto e lo conferma per altri tre appuntamenti e lo scrittura per il Mondiale Marche 1971: occorre precisare che, in allora, le corse riservate alle vetture sport vantavano dignità uguale e forse anche superiore alla massima categoria delle monoposto. È il volo che Ignazio Giunti sembra spiccare verso una folgorante carriera.
Che era iniziata, come nella migliore tradizione, contro il volere dei genitori: prima con le gare in salita, per passare immediatamente alla pista, potendo contare, lui romano, sulla prossimità del tracciato di Vallelunga. Nel 1964 Giunti è già vice campione dell’Italiano Turismo e miete allori su allori a Campagnano, fino a guadagnarsi il titolo di “Reuccio di Vallelunga”.
Nel 1966 Alfa Romeo ne nota il talento indiscusso e lo ingaggia per l’Europeo Turismo e per il primo amore, le cronoscalate. Passa un biennio ed ecco Ignazio al volante delle Sport Prototipi. A Le Mans, nella classica “24 Ore” strabilia portandosi in testa e concludendo quarto assoluto e primo di classe.
È l’Autodelta di Carlo Chiti, forte di piloti del calibro di Andrea De Adamich, Spartaco Dini, l’immenso collaudatore e conduttore Teodoro Zeccoli. E di Nanni Galli, con il quale Giunti condivide l’abitacolo della “33-3”, cogliendo la piazza d’onore nell’Europeo Turismo.
Come abbiamo anticipato, Ferrari lo accoglie nella Scuderia e nel 1970 arriva, a bordo della discussa “512S”, la vittoria alla “12 Ore di Sebring”, condita dal secondo posto alla “1000 KM di Monza” e dal terzo alla “Targa Florio” e alla “6 Ore di Watkins Glen”.
Il volo di Ignazio si spezza il 10 gennaio 1971. A Buenos Aires si corre la “1000 Km”. Jean-Pierre Beltoise sente ammutolirsi la sua Matra e comprende subito che è terminato il carburante. Decide di spingere la vettura a mano. Beltoise manovra in curva e in quel momento si avvera l’incontro con un destino crudele.
Arrivano Giunti con la nuova Ferrari “312PB” e Parkes con la vecchia “512S”: il primo è in testa con margine, il secondo doppiato. Mentre Parkes evita per un pelo lo scontro, Giunti impatta in pieno la Matra e viene catapultato in un folle rimbalzo per 150 metri.
Arturo Merzario, che condivideva la “312PB” con il romano, si getta nel fuoco della macchina incendiata, come farà anni dopo con Niki Lauda. Ma, nel caso di Giunti, le ustioni saranno fatali. Beltoise viene pesantemente censurato, ma si trattava di una prassi comune, in assenza di segnalazione dei commissari di gara. Si chiude così, a neppure trent’anni, la parabola di un campione. Vallelunga lo onora doverosamente con una statua ad imperitura memoria.