Fiat 130, la sfortunata ammiraglia della Casa torinese
Ha ballato per quasi un decennio, non pochissimo, peraltro, ma non ha marchiato la sua epoca. Anzi, è stata presto dimenticata, gravata da critiche quasi unanimi, a nostro avviso non sempre fondate. La Fiat 130 costituiva, per il marchio torinese, il tentativo di superare la vulgata – reale – di produttore di vetture di media-bassa gamma.
Non per la qualità, ma per la proposta di modelli sul mercato, pensiamo alla 500, alla 600, alla 1100 e a tante altre, che motorizzarono l’Italia dopo lo scempio della guerra. La 130 voleva essere l’ammiraglia in grado di competere con le grandi Case europee e mondiali. La strada, per la verità, iniziava già in salita, non era facile superare una nomea per le medio-piccole che per i commentatori appariva in un certo senso genetica.
Qualche inciampo fece sì che il sogno finisse presto e un lento addio ne certificasse la fine. Il progetto era del 1963, ma la macchina fu messa in produzione sei anni dopo, con presentazione al Salone di Ginevra. A nostro parere, la 130 era tutt’altro che male riuscita.
Il design richiamava il concetto di ammiraglia, senza dubbio, con dimensioni assolutamente coerenti: lunghezza di 4,75 metri, larghezza di 1.80, altezza di 1,48. E, per imponenza, non aveva nulla da invidiare ad esempio a Mercedes Benz o BMW, anzi, la solennità – invero un po’ paludata – che allora accompagnava vetture top di gamma a tre volumi veniva smussata da un approccio più informale, per i tempi. Sono notazioni personali, ma invito a considerare obiettivamente la 130, depurandola da preconcetti consolidati.
Gli interni erano realizzati con materiali di ottima fattura, quali pelle, velluto, legno pregiato. Alcuni dispositivi oggi scontati non lo erano negli anni settanta del secolo scorso: la vettura disponeva di servosterzo, aria condizionata e cambio automatico a tre rapporti.
Veniamo alle note dolenti. Il motore, a trazione posteriore, effettivamente, non era così performante, un V6 2,9 litri che erogava 140 cavalli, per una velocità massima di 185 chilometri orari. Un successivo intervento sul propulsore portò ad un incremento a 160 cavalli, una potenza che rimaneva tuttavia piuttosto lontana dalla concorrenza.
Motore che, inoltre, era eccessivamente assetato, peraltro in un periodo storico contrassegnato dalla crisi petrolifera e dal conseguente aumento sostanzioso del costo dei carburanti. La Fiat propose anche una versione coupé, con motore da 3,2 litri, poi utilizzato anche dalla berlina, ma l’aumento della cavalleria fu modesto, appena 5 cavalli. E così, la 130 terminò la sua avventura, penalizzata nel ricordo al di là dei propri difetti.