Il Gran Premio d’Italia andato in scena il 5 settembre 1971 è entrato nella storia per due motivi. Il primo, il lay out, per l’ultima volta senza le chicanes che sarebbero state introdotte negli anni a venire – rettilineo principale, Roggia, Ascari – per conclamate esigenze di sicurezza. E, in effetti, il vincitore Peter Gethin, su BRM P160, completò i cinquantacinque giri dell’Autodromo Nazionale alla velocità media di 242,615 chilometri orari, mentre l’anno successivo Emerson Fittipaldi toccò i 211,312 km/h. Secondo motivo, l’arrivo al fotofinish: i primi cinque furono raccolti in poco più di sei decimi.
Il 1971 era iniziato bene per la Ferrari, a segno con Mario Andretti al Gran Premio di Argentina: “Piedone” con la “312B” aveva preceduto Jackie Stewart di 20”900 e il compagno di squadra Clay Regazzoni di 31”400. Ma poi, un monologo dello scozzese, già iridato due anni prima con la Matra, che aveva seguito Ken Tyrrell: “Il Boscaiolo” si era infatti messo in proprio creando una scuderia che si stava accingendo a scrivere la storia della Formula Uno. Cinque vittorie per Stewart, sulla “003” in sei Gran Premi, Spagna, Monaco, Francia, Gran Bretagna, Germania, con l’eccezione dell’Olanda, quando Jacky Ickx si impone a Zandvoort dando alla Ferrari il secondo successo.
Il Mondiale giunge a Monza a giochi praticamente fatti. E allora, spazio ai team outsider. In qualifica, primeggia Chris Amon – a nostro parere uno dei pochi non campioni del mondo che avrebbero meritato il titolo iridato – che piazza la sua Matra MS120B davanti alla Ferrari di Ickx e alla BRM P160 dello svizzero Joseph “Jo” Siffert. Regazzoni, su Ferrari, balza al comando, rilevato poi da Ronnie Peterson, (March 711), che sarà al termine della stagione vice campione del mondo, seppure quasi doppiato da Stewart.
La gara è un carosello di emozioni, sorpassi e capovolgimenti. La Ferrari vede il ritiro di Ickx e Regazzoni, sorte che tocca anche a Stewart e a Siffert. Per Amon è l’occasione: l’eterno e immeritato secondo si trova in testa a poche tornate dalla fine. E invece, ancora un colpo di sfortuna: nel tentativo di fissare la visiera, il neozelandese la strappa e deve ovviamente rallentare. L’ultimo giro assomiglia alle gare dell’allora velocità di ciclismo su pista. Hailwood (Surtees TS9), Peterson, Cévert (Tyrrell 002) e Gethin cercano la posizione migliore per affondare la volata.
Gethin beffa tutti e vince per un centesimo su Peterson, il distacco minore nella storia della massima formula. Cévert e Hailwood finiscono nell’ordine, rispettivamente a novanta e centoottanta centesimi. Completa la festa Howden Ganley (BRM P160) a 0”610. Amon deve accontentarsi della sesta piazza e della pole, mentre Henri Pescarolo, su March 711, sigla il giro veloce in gara, in 1’23”800 alla media di 247,016 chilometri orari.