L’Alfa Romeo “Milano” è finalmente realtà. Ne avevamo anticipato l’arrivo qualche tempo fa su queste colonne. Si trattava invero di un secondo anticipo, dopo la presentazione della concept car “Brennero”, nome poi abbandonato per un significativo ritorno alle origini, attraverso la denominazione “Milano”, che riporta espressamente alla città dove la “Anonima Lombarda Fabbrica Automobili” vide la luce nel 1910.
Un ritorno alle origini che ha immediatamente generato una polemica astiosa tra la Casa e il Governo italiano. Pomo della discordia, il luogo della produzione, a Tichy in Polonia. Il Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha obiettato che una vettura con un nome così evocativo non può essere prodotta in Polonia, anche in virtù della fonte normativa volta alla protezione di ciò che va sotto la dicitura di “Italian Sounding”, dell’italianità.
Pronta la replica di Alfa, per il tramite del CEO Jean-Philippe Imparato: se la “Milano” fosse realizzata in Italia, costerebbe diecimila euro in più, precisando che comunque il progetto e l’ingegnerizzazione sono avvenute nel nostro Paese. Se è in gioco, come pare, la difesa dell’industria italiana, il punto, a nostro parere, è un altro. E chiama in causa entrambe le parti.
Da ciò che emerge dall’attualità quotidiana, la fusione che ha generato Stellantis tre anni fa sta portando l’asse decisionale più verso Oltralpe, e se sarà effettivamente così occorrerà farci i conti, sia per la perdita di peso di un settore che ha contribuito notevolmente alla rinascita dell’industria italiana, anche in termini di prestigio e di affermazione all’estero, sia per le eventuali ricadute sul piano occupazionale e in questo senso già si avvertono preoccupazioni e malumori.
D’altra parte, l’affermazione che abbiamo appena ricordato dell’azienda in ordine al surplus di prezzo nel caso di produzione in Italia interroga la politica e le parti sociali rispetto ad un tema da tempo in discussione ma non ancora risolto: il costo del lavoro, elevato, in presenza però di salari bassi se paragonati a quelli di altri Paesi europei. Un apparente ossimoro, una contraddizione che tuttavia costituisce la realtà di oggi e del recente passato.
Senza dimenticare che si è lontani dalla realizzazione di una fiscalità europea, che preveda regole di base condivise. Argomenti che, per carità, portano lontano, ma che rappresentano i veri nodi gordiani, che non devono nascondersi e perdersi in difese di bandiera di parte.
Sulla “Milano” l’Alfa Romeo scommette parecchio, l’impressione è che dai suoi dati di vendita dipenda la strategia dell’immediato futuro, volta al lancio di nuovi modelli come nuovi coupé e spider. La Milano non si discosta dai contenuti che avevamo anticipato. Rimane un SUV compatto (lunghezza 1.2 metri, larghezza 1.8, altezza 1.5), dalle linee sportive, con l’andamento a cuneo nelle fiancate, concavi il giusto, e la calandra anteriore originale, il biscione visconteo incastonato nello scudetto Alfa, i proiettori a LED sottili che vanno ad allargarsi per un disegno a U verso l’esterno.
I comandi sono racchiusi negli iconici cerchi del marchio. Le motorizzazioni sono due. La prima è ibrida, di derivazione sinergica Peugeot, per 136 cavalli. La seconda elettrica, alimentata da una batteria da 54 kWh per potenze pari a 154 e 240 cavalli, con 410 chilometri dichiarati di autonomia. Prezzi da euro 29.900 per la versione ibrida e da euro 39.500 per quella elettrica.