Un omaggio a Carlo Chiti, a cent’anni dalla nascita

Il 19 dicembre prossimo Carlo Chiti avrebbe compiuto esattamente cent'anni. Dagli studi in Ingegneria aeronautica fino al suo destino: l'asfalto dei circuiti. Ma, soprattutto, Chiti convinse Ferrari a trasferire la propulsione in posizione posteriore in Formula 1.
Carlo Chiti
Gioie e Motori

Il 19 dicembre prossimo, Carlo Chiti compirebbe esattamente cento anni. Era infatti nato a Pistoia nel 1924. Chiti si laurea all’Università di Pisa in ingegneria aeronautica. Ma è l’asfalto dei circuiti il suo destino e sarà per sempre il suo terreno di elezione, fino alla morte a neanche settant’anni.

Infatti, la prima tappa della sua carriera è all’Alfa Romeo, dove approda nel 1952. Il suo talento non passa inosservato e Enzo Ferrari lo assume per occuparsi del programma di Formula Uno. Siamo nel 1957 e appena un anno dopo Mike Hawthorn è campione del mondo. Nel 1961, Phil Hill si aggiudica il titolo iridato con la “156 F1”, la prima monoposto a motore posteriore: i padri sono Chiti e un giovanissimo Mauro Forghieri.

Non era stato facile, si racconta, convincere Ferrari a trasferire la propulsione dalla tradizionale posizione anteriore: secondo il “Drake”, per tirare il carretto i buoi stavano davanti, non dietro. Proprio nel 1961, avviene la rottura con Enzo Ferrari. Si narra che i vertici della Scuderia, tra cui Romolo Tavoni, poi direttore dell’Autodromo Nazionale di Monza, l’immenso Giorgio Bizzarrini e lo stesso Chiti avessero osato lamentarsi di ingerenze della moglie di Ferrari in azienda.

Bene, i dirigenti vengono convocati dal capo e si aspettano una delle classiche sfuriate. Ferrari, invece, non dice una parola e conduce una riunione come tante altre. Congedatisi, Chiti e gli altri rimangono sconcertati, ma molto maggiore sarà lo sconcerto quando all’uscita dalla sede troveranno alcuni giovani tecnici che consegneranno loro le lettere di licenziamento. Ferrari non sopportava che la sua leadership venisse posta in discussione e, in ogni caso, la Scuderia veniva sempre prima di tutto, piloti e tecnici.

Chiti, Tavoni e Bizzarrini danno vita alla ATS, acronimo di “Automobili Turismo e Sport”, avventura sostenuta dal Conte Giovanni Volpi di Misurata, Patron della “Serenissima”. Nel 1966, Chiti torna all’Alfa con il prestigioso ruolo di Direttore Generale della “Autodelta”, il braccio operativo del Biscione nel mondo delle corse. La categoria è “Sport Prototipi”, a ruote coperte.

Nel Mondiale Marche l’Alfa ottiene parecchie vittorie con la “33/3”. Nel 1975, Willi Kauhsen iscrive le “33 TT 12” della sua scuderia privata al Mondiale e inizia a vincere, convincendo l’Alfa all’impegno ufficiale. Arriva l’alloro iridato, bissato due anni dopo con la “33 SC 12”.

L’esperienza in Formula Uno non è altrettanto brillante, anche a causa delle poche risorse destinate dall’IRI, allora proprietario della Casa. Con una chicca. Il successo nel Gran Premio di Svezia, sul circuito di Anderstorp, con Niki Lauda, al volante della Brabham a motore Alfa Romeo “BT46/B” che si giovava di un originale dispositivo, un ventilatore posteriore mutuato dalla Chaparral per implementare l’effetto – suolo. Il dispositivo è poi dichiarato non conforme ai regolamenti e quindi abbandonato. Chiti chiude con la “Motori Moderni”, che nel Circus equipaggia la Minardi, fino alla metà degli anni ottanta.

Una risposta

  1. Da appassionato e da ingegnere conosco bene la storia dei grandi ingegneri automobilistici italiani , in particolare gli anni 60 70 e 80 .
    Carlo Chiti e Giotto Bizzarrini diedero vita a ATS dopo aver bisticciato con Enzo Ferrari.
    Carlo Chiti conobbe il giovane laureando in ingegneria Aeronautica Gian Paolo Dallara e lo portò in Ferrari dove incontrò Mauro Forghieri, ma si separarono subito visto che Dallara fu incaricato di rivedere il 12 cilindri progettato da Bizzarrini (troppo corsaiolo) per la prima Lamborghini, ma questa è altra storia.
    Chiti progettò nel 1982/83 il motore v8 1500 cc biturbo per la Alfa Romeo F1.
    Purtroppo il frazionamento esagerato per un motore 1500 cc aumentava i consumi , gli attriti e l’affidabilità rispetto ai v6 Ferrari, Renault e Tag e questo errore decretò la sua fine. Resta comunque un grande esponente dell’ingegneria italiana.

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