Mai come in questo periodo legato alla pandemia, ognuno di noi, chi in un modo chi in un altro, vive un disagio particolare, che in psicologia prende il nome di dolore emotivo. Questo nasce da un evento stressante e, se non ce ne accorgiamo, ci condiziona inevitabilmente.
Quando abbiamo mal di testa o mal di pancia sappiamo che ci troviamo di fronte ad un dolore fisico, e non abbiamo grosse difficoltà ad accettarlo o problemi nel chiedere aiuto, non ci sentiamo responsabili, perché è arrivato fuori dalla nostra volontà. Tutto cambia se invece ci troviamo di fronte ad un dolore emozionale. Innanzitutto facciamo fatica a dargli un nome, si percepisce un malessere diffuso, ci rendiamo conto che siamo tristi o agitati, che facciamo fatica a dormire e a mangiare, a volte ci vergogniamo a dire che stiamo male, tendiamo a lamentarci e la lamentela attiva una grossa lotta interiore, perché a livello cerebrale ci mantiene sul malessere e non ci porta all’azione, di conseguenza ci allontana dalla possibilità di trovare soluzioni alle difficoltà, mantenendoci nello stato di stress …
Il dolore fisico lo accettiamo, quello emotivo no, a volte pensiamo che passerà da solo, e questo può succedere e avviene in particolar modo nelle persone resilienti; altre volte ci sentiamo accusati dagli altri “ti manca la volontà, se solo tu avessi voglia ne usciresti, pensa chi sta peggio, tanto finirà…” questa è solo una piccola lista. Non decidiamo noi delle emozioni che viviamo, queste arrivano tanto quanto arriva il dolore corporeo.
Il loro vissuto personale è però molto differente, ma ciò nonostante non dobbiamo dimenticarci che ci troviamo di fronte allo stesso oggetto, perché entrambi attivano gli stessi processi neuronali, quando si vive una sofferenza della mente accadono delle cose nel nostro cervello, ci sono delle specifiche aree cerebrali che si attivano.
Di fronte ad un male emotivo siamo molto più reattivi e vulnerabili, può succedere che all’interno di una relazione, che può essere al lavoro o in famiglia, rispondiamo in malo modo, come se avessimo un pilota automatico. Siamo più aggressivi oppure tendiamo a subire, diciamo cose che non avremmo voluto.
Una prima modalità per fare fronte a questo tipo di dolore è quello di diventare consapevoli di ciò che accade dentro di sé in un preciso momento, che è quello che esiste tra lo stimolo (ciò che è accaduto) e la risposta. Tra questi due momenti esiste un intervallo, fatto di pensieri, emozioni, sensazioni fisiologiche.
Una seconda modalità di fronteggiamento è spostare il focus dal pensiero ansiogeno, depressivo o ossessivo su uno stimolo specifico, come per esempio il respiro. Nel momento in cui ascolto il mio respiro non posso pensare, e questo perché la mia mente è centrata su questo specifico compito cognitivo. Nel momento in cui sposto il focus interrompo per un attimo il ruminio, cioè il pensare senza arresa.
Il lavoro che viene fatto in psicoterapia è proprio quello di insegnare alla persona a riconoscere lo stato d’animo che sta vivendo proprio in quel dato momento, a sentirlo nel proprio corpo e ad apprendere cosa accade in termini di pensieri, credenze e sintomi. Solo attraverso questi passaggi la persona è pronta al passo successivo e a lavorare sulla gestione emotiva.
A livello educativo è presente la tendenza ad insegnare ai bambini a vivere le emozioni spiacevoli come sbagliate ed inopportune. Di fronte alla sofferenza mentale, se non si riesce a definirla e a toccarla con mano si proverà paura, paura che sua volta non verrà riconosciuta con il suo vero nome, ma verrà solo percepita come un “sto male”.
La paura da un punto di vista cerebrale farà scappare. Da un punto di vista comportamentale farà mettere in atto azioni non costruttive, come il lamentarsi, la tendenza alla critica e al giudizio, il mantenere delle abitudini sbagliate, che a loro volta genereranno altre emozioni dolorose.
Il titolo del mio articolo è senza alcun ombra di dubbio provocatorio, molti avrebbero preferito un titolo che evocasse soluzioni magiche per affrontare questo aspetto della vita di ognuno di noi. In realtà esiste un modo per difenderci dal dolore emotivo ed è quello di accettarlo per quello che è: un segnale specifico che parte dal nostro cervello che ci avvisa che ci troviamo di fronte ad un problema di perdita, di paura, di qualsiasi natura esso sia: relazione terminata, minaccia alla propria autostima, solitudine, paura del giudizio, vincoli dettati dagli stati ansiosi, chiusura dovuta al tono dell’umore basso o come in questo periodo timore di venir contagiati dal Covid-19, modificazioni delle proprie abitudini legate alle diverse restrizioni imposte dalla pandemia, stato depressivo insorto inseguito alla crisi economica.
Il cervello si allarma quando questo bisogno viene meno, e lo fa attivando emozioni spiacevoli, con l’unico scopo di porre attenzione, di focalizzarci sul problema di perdita che abbiamo per ripristinare l’equilibrio iniziale.
Il dolore fisico è un segnale che ci permette di occuparci del nostro corpo, il dolore emotivo è un segnale che ci permette di occuparci della nostra mente. Entrambi possono essere affrontati ed entrambi hanno bisogno di essere presi in considerazione per raggiungere un benessere psicofisico. Quindi non ci resta che ascoltarci…
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Nicoletta Savoye