Come dice il detto “noi siamo quello che pensiamo” … nulla di più reale.
Ad ogni pensiero corrisponde un correlato fisiologico, infatti quando il nostro cervello genera un pensiero, contemporaneamente libera nel corpo una reazione biochimica che, attraverso il sangue, circola all’interno di noi, va a colpire i vari organi e muscoli per prepararci ad affrontare quella determinata “cosa” che abbiamo pensato. Nessuno sfugge da questa realtà, non c’è via di scampo… o almeno apparentemente. Comprendere come funzioniamo, capire il perché a volte ci sentiamo tristi, arrabbiati, vulnerabili, anche se non è accaduto qualcosa di particolare, può diventare un primo passo per conoscerci meglio e districarci nel labirinto delle emozioni spiacevoli intense.
Le neuroscienze al riguardo hanno dato un enorme contributo alla comprensione della correlazione mente-corpo. Oggi vi parlerò di questo e impareremo qualcosa di più sul funzionamento dell’essere umano.
Lo sappiamo tutti: se sono a casa, ma penso alla discussione fatta al lavoro per un’ingiustizia subita, mi sentirò arrabbiato, quindi molto probabilmente sarò più irritabile, stanco e meno tollerante, con una tendenza ad avere una voce più “secca”, l’espressione del viso più tesa e movimenti più bruschi; idem se mi ritrovo a pensare ad una cosa triste accaduta anche da diverso tempo, infatti tenderò ad essere perso nei miei pensieri, con un velo negli occhi, accompagnati da movimenti stereotipati privi di energia.
Il cervello pensa, è normale, è uno dei suoi compiti, e si tratta di un compito necessario ed indispensabile, guai se non lo facesse. Il pensare ci permette di prepararci ad affrontare le situazioni della quotidianità, ma allora perché a volte vorremmo spegnere il cervello e non pensare più?
Come psicoterapeuta, una delle richieste maggiori che mi fanno le persone è proprio questa! Peccato che è un obiettivo impossibile da raggiungere, non possiamo non pensare, ma possiamo apprendere a pensare in modo diverso. Per far questo è necessario la consapevolezza, la costanza e la voglia di metterci in discussione. Ma sono tutti ingredienti che abbiamo già dentro di noi.
Innanzitutto capiamo un concetto basilare: ci sentiamo nel modo in cui pensiamo e pensiamo nel modo in cui ci sentiamo. Mi spiego meglio, se io penso di essere inadeguato, che gli altri sono più capaci di me, nel mio corpo inizieranno a circolare sostanze chimiche, liberate dal cervello, che mi faranno sentire “in ansia” (tensione muscolare, respiro corto, cuore accelerato…) e di conseguenza inizierò a sentirmi a disagio ogni qualvolta mi rapporterò con gli altri, ma non finisce qui, perché ogni qualvolta io mi sentirò a disagio formulerò pensieri di critica nei miei confronti, entrando in un circolo vizioso senza fine.
Pensiamo ora ad un altro processo, prendendo come esempio il famigerato senso di colpa, se sono cresciuto in un contesto all’interno del quale era frequente il sentirsi responsabile e colpevole, io avrò formulato per anni pensieri colpevolizzanti. Il mio cervello avrà liberato nel mio corpo, per una molteplicità di volte, sostanze chimiche relative a questo stato d’animo. Questo è accaduto per così tante volte che il mio corpo si è oramai abituato a sentirsi in questo modo. È come se il mio corpo ora è progettato a sentirsi colpevole, basta poco e ci sentiamo così. In questi casi non è neppure necessario un pensiero, ma è sufficiente una sensazione appresa e ripetuta nel tempo e che per qualsiasi motivo riaffiora.
Detto questo sembra ovvio che se pensiamo in modo sereno e fiducioso, nel mio corpo si liberano sostanze che mi fanno sentire bene, felice e in armonia con me stesso e con gli altri.
Quindi per stare bene sarebbe sufficiente pensare in modo “positivo”, ma ahimè non è così, pensare positivo non funziona… se io penso una cosa ma ne sento un’altra non ci sarà mai cambiamento, la sensazione prevale sul pensiero razionale.
Le persone che hanno una bassa autostima fanno molto fatica a dirsi “mi voglio bene”, semplicemente perché non lo sentono, non ci credono, per anni si sono sentiti inferiori e ora il sentirsi inferiore è diventato automatico. Per poter cambiare il modo di pensare di sé stessi e degli altri, è necessario far lavorare insieme mente e corpo. Il lavoro terapeutico si muove in questa direzione, accompagnando ed insegnando a smantellare i processi mentali che si sono cronicizzati nel tempo.
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Nicoletta Savoye
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