Il cielo d’inverno
Fin dai tempi più antichi, l’umanità ha affrontato problematiche che ancora oggi non hanno ancora trovato una soluzione definitiva. Quante riflessioni sono state compiute, quante speculazioni sono state azzardate, quanti tomi sono stati scritti per tentare di trovare la risposta a domande fondamentali come: Meglio il mare o la montagna? Il cane o il gatto? Il gelato ai gusti di crema o ai gusti di frutta? Pizza o sushi? Soprattutto, meglio osservare il cielo in inverno oppure in estate?
Come negli altri casi, anche su quest’ultimo quesito il dibattito è tuttora aperto, con i sostenitori dell’una e dell’altra tesi pronti a darsi battaglia. Ben consci che non saremo certo noi a risolvere l’annosa questione, ci limitiamo ad elencare i principali fattori da prendere in considerazione, specificando che ci riferiamo alle stagioni dell’emisfero boreale della Terra.
Per esempio, in inverno il Sole tramonta prima e sorge dopo rispetto all’estate: la notte è più lunga e nelle sue ore centrali il buio è più profondo, quindi la luce degli astri risalta di più e meglio rispetto allo scuro del cielo. Si tratta innegabilmente di un punto a favore del cielo d’inverno, ma i sostenitori del cielo d’estate ribattono che è solo nella bella stagione che possiamo ammirare la Via Lattea in tutto il suo splendore, il cui arco va indicativamente dalla costellazione di Cassiopea fino alla regione del centro galattico tra quelle dello Scorpione e del Sagittario, mentre in inverno vediamo la zona più periferica e debole della ‘città di stelle’ in cui abitiamo.
Aggiungiamo inoltre un fattore climatico. Per guardare il cielo, di norma, si sta all’aperto. In inverno fa più freddo rispetto all’estate, quando magari siamo in ferie e possiamo permetterci di stare svegli fino a tardi. Non che sia garantito, per esempio ai quasi 1.700 m di quota di Lignan, dove si trovano l’Osservatorio Astronomico e il Planetario, anche a luglio e agosto è consigliato avere a portata di mano il classico maglioncino, perché la sera non sarà freddo, ma freschetto sì!
Salomonicamente, riteniamo che in ogni stagione – anche quelle di mezzo che non abbiamo citato, primavera e autunno – il cielo regali sempre un bellissimo spettacolo, a occhio nudo oppure al telescopio. Ringraziamo la redazione di AostaSera.it che ha confermato anche per il 2021 questa rubrica, permettendoci di dare alcuni suggerimenti per scoprire le meraviglie del cielo, in attesa che le condizioni consentano di tornare ad accogliere il pubblico a Saint-Barthélemy in piena sicurezza per tutte e tutti, visitatori e operatori.
Il nostro collega Davide Cenadelli vota senza alcun dubbio per il cielo d’inverno, con motivazioni più che fondate. È nel cuore dell’inverno, dove più o meno ci troviamo adesso
(approssimativamente a metà strada tra il solstizio di dicembre e l’equinozio di marzo), che
possiamo vedere bene, comodamente in prima serata, più stelle brillanti che in qualsiasi altro periodo dell’anno. Elenchiamole in ordine: in primo luogo Sirio, nella costellazione del Cane Maggiore, la stella più brillante del cielo notturno (ne abbiamo scritto qui ) ; poi Capella nell’Auriga, la sesta in questa speciale classifica; segue Rigel in Orione, la settima; Procione nel Cane Minore, l’ottava; Betelgeuse ancora in Orione, la decima (ne abbiamo scritto qui un anno fa) infine Aldebaran nel Toro, la quattordicesima. Abbiamo citato solo quelle che gli antichi, millenni fa, chiamavano di prima grandezza, e oggi classifichiamo di magnitudine apparente inferiore a 1, con la moderna terminologia.
Anche le costellazioni che contengono questi gioielli stellari sono tra le più note, sia per il proprio immaginifico disegno, sia per la storia e la tradizione a loro legate. Si tratta di costellazioni antichissime, come Orione e il Toro, già usate dai Sumeri che vi vedevano l’eroe Gilgamesh che combatte il Toro celeste. Forse il confronto rappresentava la contrapposizione tra la natura selvaggia e la civiltà che tentava di domarla.
Secondo i Greci, invece, Orione era un gigantesco cacciatore dell’Isola di Chio, il più grande e il più bello tra gli uomini, che va a caccia coi suoi cani, rappresentati nelle costellazioni del Cane Maggiore, dove sfolgora Sirio, e del Cane Minore, dove fa bella mostra di sé Procione. Orione e i suoi cani cacciano la Lepre, che scriviamo con la maiuscola perché anch’essa è rappresentata da una costellazione di deboli stelline, non a caso situata sotto gli immaginari piedi del forzuto bellimbusto, mentre il Cane Maggiore la punta.
Un giorno, durante una battuta di caccia, Orione si imbatté nelle Pleiadi, sette sorelle bellissime, di cui non poté fare a meno di innamorarsi. La sua passione, però, non era corrisposta, forse perché il cacciatore era troppo rozzo per le eleganti Pleiadi, forse perché non era chiaro come si sarebbe sviluppata una storia d’amore che si annunciava complessa, anche numericamente. Comunque sia, gli dèi dell’Olimpo – notoriamente dediti ad impicciarsi degli affari terrestri, altrimenti che divinità sarebbero? – decisero di intervenire. Per farle sfuggire all’indesiderato corteggiamento di Orione, gli dèi trasformarono le Pleiadi in sette colombe che volarono in cielo, dove divennero stelle.
Orione ritornò allora all’arte venatoria, in cui eccelleva, mentre era assai scarso sul versante diplomatico. Un giorno, infatti, si vantò di essere capace di uccidere qualsiasi animale. Allora Gea, la dea della Terra, si indignò e decise di punire il cacciatore sbruffone – abbiamo già detto che gli dèi greci non si fanno mai gli affari loro? Gea mandò uno scorpione contro Orione. Abituato ad affrontare belve ben più feroci e imponenti, il cacciatore decise di schiacciare quel piccolo esserino. Dimostrò così di essere grande e grosso, ma non particolarmente acuto d’intelletto. Uccise infatti lo scorpione, ma questi riuscì a pungerlo, uccidendolo a sua volta.
Si tratta di una delle tante versioni che esistono del mito di Orione, che coinvolgono anche altri personaggi, come Artemide, la dea della caccia, ma la storia non è molto differente. Alla fine entrambi i contendenti vengono ammessi dagli dèi tra le costellazioni, che ebbero però l’avvertenza di disporre i due personaggi, dati i trascorsi non amichevoli, in posizioni opposte in cielo, mantenendoli uno a distanza di sicurezza dall’altro. Orione infatti domina il cielo invernale, mentre lo Scorpione, ora con la maiuscola perché intendiamo la costellazione, si trova in quello estivo, basso sull’orizzonte alle latitudini tipiche dell’Italia. C’è chi dice che anche nella contrapposizione tra Orione e Scorpione possiamo individuare una metafora del confronto tra natura e cultura, ma non escludiamo che possa rappresentare anche la rivalità tra gli appassionati osservatori del cielo invernale e quelli del cielo estivo… Gli antropologi culturali e gli storici dell’astronomia non si arrabbino, stiamo scherzando!
Vale la pena sottolineare un’ulteriore raffinatezza. Sulla volta celeste, dalla parte opposta della costellazione di Orione in effetti non c’è quella dello Scorpione, bensì quella di Ofiuco: lo Scorpione è un po’ spostato a sud rispetto a quest’ultimo. Un errore del mito? Affatto! Se le due costellazioni fossero esattamente opposte, l’una sorgerebbe mentre l’altra tramonta e ci sarebbe un momento, seppur breve e fugace, in cui si vedrebbero tra loro. Quindi il cacciatore e l’aracnide potrebbero ricominciare a duellare, portando lo scompiglio in cielo: una situazione tutt’altro che gradita ai Greci che non apprezzavano il caos, come rivela anche la parola “cosmo”, che deriva da un termine greco antico che significa “ordine”. Grazie al fatto che lo Scorpione è un po’ più a sud, alle latitudini del Mediterraneo una delle due costellazioni comincia a sorgere solo dopo che l’altra è già tramontana: i due avversari non si vedono mai, nemmeno di striscio. Dalle medie latitudini australi, invece, Orione e lo Scorpione sono per breve tempo entrambi visibili, ma i Greci, pur ottimi navigatori, non sembra che siano mai arrivati a vedere il cielo da quelle parti. Aggiungiamo che gli astronauti a bordo della Stazione Spaziale Internazionale possono vedere insieme Orione e lo Scorpione, ma non risulta che i Greci siano andati nello spazio…
Tramutato in stelle, Orione si ritrovò accanto alle Pleiadi, precedentemente trasformate in astri. Essendo poste a nord ovest della costellazione di Orione, a causa della rotazione terrestre da ovest verso est, con il conseguente moto apparente del cielo da est verso ovest, le Pleiadi sembrano scappare da Orione, che quindi è costretto ad inseguirle anche in cielo. A difendere le sette sorelle troviamo il Toro, la cui sagoma si para in mezzo tra le Pleiadi e Orione. Allo stesso modo, il Cane Maggiore sembra braccare la Lepre, posta in cielo più a ovest, senza prenderla mai.
Scopriamo così che leggende ricche di fascino, ma che potrebbero sembrarci letteralmente campate per aria, compiono invece un lavoro fondamentale: tramandano una conoscenza pratica.
Individuando le posizioni delle costellazioni in cielo, infatti, si può misurare lo scorrere del tempo e determinare la propria posizione sulla superficie terrestre. Quello che noi oggi facciamo con lo smartphone collegato in rete per l’ora esatta e dotato di GPS per la geolocalizzazione, i nostri progenitori per millenni e millenni l’hanno fatto con il cielo. Inoltre, raccontando queste storie di generazione in generazione, affidandosi a una tradizione sostanzialmente orale, ecco che, attraverso il mito, nozioni di carattere astronomico erano accessibili a chiunque, non solo a chi sapeva leggere e scrivere. Si tratta di una notazione strategica di assoluta importanza, dato che per quasi tutta la storia dell’umanità solo un’esigua, ristrettissima minoranza di persone ha potuto studiare e alfabetizzarsi.
Insomma, queste storie assolvevano al compito necessario di trasmettere informazioni basilari per la sopravvivenza del singolo e della comunità. Abbiamo raccontato quelle della tradizione greca, che è alla base della cultura europea, ma in tutto il mondo ci sono miti, favole, narrazioni analoghe come origine e finalità. E queste storie sono così capaci di coinvolgerci che ancora oggi le raccontiamo, pur avendo perso il codice per decifrare l’aspetto pragmatico del loro messaggio.
Da questo punto di vista, verrebbe da chiedersi chi sia davvero “smart” tra noi e gli antichi.
Le scoperte della moderna ricerca scientifica aggiungono ulteriore fascino alla visione del cielo. Il collega Paolo Recaldini sottolinea, per esempio, che oggi sappiamo che le sette stelle visibili a occhio nudo, in condizioni ideali di osservazione e possedendo una buona vista, sono in realtà gli astri più brillanti di un ammasso aperto di stelle a circa 440 anni luce da noi. Indicato con la sigla M45 nel catalogo stilato alla fine del XVIII secolo dall’astronomo francese Charles Messier, con contributi anche del connazionale Pierre Méchain, l’ammasso contiene centinaia di stelle, che si sono formate tutte da una medesima nebulosa un centinaio di milioni di anni fa circa.
Astronomicamente parlando, quindi, sono stelle relativamente giovani, se si pensa che il Sole, la Terra e il Sistema Solare in generale hanno un’età di quattro miliardi e mezzo di anni. Le stelle di M45 mostrano in prevalenza un colore azzurro che denota un’elevata temperatura superficiale, stimata per alcuni astri dell’ammasso anche superiore ai 12.000 gradi.
Per altri dettagli e consigli di osservazione, rimandiamo alla sezione del nostro sito web dedicata al cielo del mese. Trovate il link in home page, così come i riferimenti ai nostri social, per seguirci su Facebook, Instagram, Twitter, YouTube e iscrivervi alla nostra newsletter, in modo da essere tempestivamente aggiornati sulle nostre attività.
A cominciare dalla Conferenza di stagione-Inverno 2021, in programma proprio stasera, venerdì 29 gennaio, alle ore 21. Per partecipare basta cliccare qui.
I relatori, il già citato Davide Cenadelli e Lorenzo Pizzuti, parleranno di come gli astronomi contemporanei studiano i fenomeni celesti attraverso i segnali che ci giungono dall’universo, dalle onde elettromagnetiche e dalle onde gravitazionali.
Chiunque potrà porre domande, scrivendole nella chat. Chissà se qualcuno chiederà loro se
preferiscono il cielo invernale o quello estivo…
L’articolo è stato realizzato in collaborazione con l’Associazione LOfficina del Planetario che gestisce il Civico Planetario “Ulrico Hoepli” di Milano (lofficina.eu).