Il bianco. E il nero

03 Settembre 2018

Avevo provato a scrivere queste parole su quattro foglietti di carta dopo una serata alterata, alternandomi tra un gin e l’altro. Avevo trovato loro anche un titolo, ve lo scrivo qui: “Solo la rappresentazione dell’acqua allo stato solido può giustificare il bianco.”

Quel giorno abbiamo passato il confine fra due stati, non ha importanza quali, non ha importanza né ora né mai, è invece importante sapere che è stato naturale, non visto o notato, non profetizzato o difeso, ma naturale, come il profumo del tabacco e la presenza del cielo. Senza tanti proclami e nessuna propaganda, è stato come lo volevamo noi, come un’oste potrebbe accogliere un ramingo, mostrandogli le prelibatezze della casa e della cantina. Un’accoglienza invisibile ma assolutamente concreta, un locandiere onnipresente la cui caratteristica predominante era quella di contenere tutti gli altri colori. Era bianco, ed era lì perché le temperature glielo hanno permesso. Bianco. E dopo che pensi bianco cosa ti viene in mente? Il suo opposto, il nero. Facile. I due sono spesso adiacenti, confinanti appunto. Il confine. Il nero non lo deve passare. Il bianco si. Comodamente. Il nero no. Il nero muore. Il nero è cacciato. Il nero è odiato. Il nero è facile barriera. Il bianco è libero. Il bianco è tutto da riempire. Il bianco ci ha reso più liberi quel giorno, ci ha fatto divertire e anche un po’ sudare. La sua presenza lì era giustificata. La presenza del nero invece non lo è, fino a prova contraria. Non lo è nella mente delle persone che lo appendono ancor prima di conoscerlo, con pensieri che probabilmente già nel Medioevo sarebbero stati desueti. Ci stiamo fidando di linee immaginarie tracciate a inchiostro su atlanti più o meno aggiornati. I confini non esistono in Natura, non li puoi vedere, non hanno odore ne forma, sono come le religioni, ci si crede per comodità e sicurezza, per ragione e prepotenza, per rabbia e dispiacere, ma non sarà mai puro qualcosa che viene separato nella sua forma. Mai.

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