Introduzione del tema: vado in montagna perchè mi rende felice. Indipendentemente dall’altezza, dal mezzo o dalla stagione, dalla compagnia o dalla solitudine lassù sto bene, anzi, sto meglio, esattamente come dovrebbe essere una relazione che abbia a che fare con l’amore, anzi, l’Amore, quello con la a maiuscola.
A, maiuscola.
Mi sto infilando in un ginepraio, basta poco eh, Amore, tac, ginepraio. E adesso? Come vado avanti? Parlo dell’Amore con la A maiuscola o dell’altro? E qual è l’altro? Fatemi bere dalla mia tazza. Ok, ci sono. Dunque l’Amore ai tempi del bivacco Gastaldi, titolo del mio racconto di oggi.
Svolgimento del tema: l’Amore è bellissimo, ne sono fermamente convinto e sono sicuro che ognuno di voi lo sappia, in quantità e qualità più o meno differenti certo, ma bene o male è forse l’unica cosa che ci accomuna in quanto esseri umani (definizione che di questi tempi faccio fatica ad associare a certe persone). Attenzione però, qui si parla di Amore assoluto, per uomini, donne, piante o animali, nessuna selezione e nessun catalogo. L’Amore è bellissimo, ma certe volte non lo è, è un cazzo di inferno che nemmeno Hieronymus Bosch avrebbe saputo dipingere, una guerra mondiale fatta di virgole non scritte e silenzi sbagliati, di presenze sopravvalutate e di assenze inflazionate. Una guerra fatta di momenti sbagliati e di stati d’animo troppo lontani fra loro che forse nemmeno la fisica vicinanza potrebbe annullare, qualcosa di così distruttivo che riuscirebbe a superare l’entanglement quantistico, roba forte insomma. E quel bivacco per me è stato esattamente così, nonostante fossi dove volevo essere non avrei mai voluto che le cose andassero nel verso sbagliato, e invece hanno svoltato proprio lì, tra lacrime e vino, in direzione occhi rossi e buio pesto.
Conclusione del tema: ho rabboccato la tazza e ora è vuota, di nuovo.
“Avevo compreso da tempo che non c’è cosa al mondo che non sia germe di un Inferno possibile; un volto, una parola, una pubblicità di sigarette potrebbero render pazza un persona, se questa non riuscisse a dimenticarli.»
Jorge Luis Borges