Sono cadute tutte le accuse a carico di alcuni cacciatori che avevano preso parte, il 9 gennaio 2015, a una battuta al cinghiale in media valle. Per i tecnici del Ministero dello Sviluppo economico competenti per il monitoraggio dell’etere, in quell’occasione, nel bosco era volata più radiofrequenza che piombo. Erano infatti state rilevate, durante le operazioni venatorie, interferenze su frequenze assegnate al Ministero della Difesa. Per tutti, una volta tornati a Valle, nella zona di Chatillon, era scattato il controllo da parte di Corpo Forestale Valdostano e ispettori ministeriali, con accertamenti in caserma e al domicilio dei cacciatori.
L’ipotesi era che quel segnale radio provenisse da “radiocollari” il cui uso non è permesso in Italia. Tuttavia, di quegli equipaggiamenti (usati dai cacciatori per controllare, a distanza ed in tempo reale, la posizione dei loro cani) non è mai stata trovata traccia e il procedimento penale conseguente si è chiuso, tempo addietro, con l’assoluzione dei coinvolti. Sempre in quella circostanza, tuttavia, ad alcuni partecipanti alla battuta erano state sequestrate le ricetrasmittenti usate. “Per scrupolo”, avevano detto loro gli inquirenti.
L’esame di quegli apparati aveva fatto nascere una seconda imputazione, per cui cinque cacciatori sono comparsi a processo stamattina al Tribunale di Aosta. Il pubblico ministero Carlo Introvigne contestava a Salvatore Timpano, di 29 anni, Giuseppe Timpano (53), Tindaro Borrello (53), Armando Dall’Uomo (70) e Gualtiero Bartolucci (69) l’“installazione di apparecchiature atte ad intercettare od impedire comunicazioni”. In sostanza, per l’accusa, le memorie di quattro di quelle radio contenevano frequenze assegnate al Corpo nazionale dei vigili del fuoco e, la quinta, ad un’associazione piemontese del soccorso.
Difesi dagli avvocati Ascanio Donadio (Bartolucci), Claudio Soro e Corinne Margueret (tutti gli altri), i cinque sono stati assolti dal giudice monocratico Marco Tornatore “perché il fatto non costituisce reato”. E’ stata, inoltre, disposta dal magistrato la trasmissione degli atti processuali all’Ispettorato territoriale per il Piemonte e la Valle d’Aosta, affinché venga valutata l’eventualità di un illecito amministrativo. Il pm Introvigne aveva chiesto una condanna a quattro mesi.