La richiesta di archiviazione avanzata dalla Dda di Torino per Ego Perron e Valerio Lancerotto, al termine dell’inchiesta Geenna su presunte infiltrazioni di ‘ndrangheta in Valle d’Aosta, è respinta. Lo ha deciso – sciogliendo la riserva assunta all’udienza di lunedì scorso, 27 gennaio – il Gip del Tribunale piemontese Silvia Salvadori, che ha segnalato ai pm antimafia un “insieme di circostanze meritevoli di approfondimento investigativo” e fissato un termine di sei mesi per il compimento delle relative indagini.
Perron e gli “stabili rapporti” con gli associati
Di cosa si tratta? Lo spiegano le dieci pagine dell’ordinanza con cui il giudice motiva la sua decisione. Per Perron, difeso dagli avvocati Fabio Fantini e Andrea Bertolino ed inizialmente iscritto nel fascicolo per concorso in associazione a delinquere di stampo mafioso, “ricorrono elementi di vicinanza” alla “locale” di Aosta messa a fuoco dalle indagini dei Carabinieri del Reparto Operativo (per cui sono già a processo otto persone, tra Aosta e Torino), testimoniati da alcuni episodi.
Il primo risale alle elezioni comunali aostane del 2015, quando l’allora assessore regionale -“impegnato a sostenere il proprio candidato” nella competizione, “nella persona di Luca Zuccolotto” – non “ha esitato ad incontrare” Marco Sorbara (accusato di concorso esterno nell’associazione e al tempo assessore comunale uscente), ben sapendo che egli “poteva contare su un vasto bacino di voti”. In quella circostanza, Perron “chiede 70-80 voti per Zuccolotto, minacciando” il suo interlocutore, “in caso non avesse accettato, di non sostenerlo per la conferma dell’assessorato in Comune e di fargli la ‘guerra’ finché” sarebbe rimasto in piazza Deffeyes.
Il giudice segnala poi l’intervento del politico di Fénis per “trovare un posto di lavoro” per Roberto Alex Di Donato (anch’egli finito in manette nel blitz scattato il 23 gennaio, perché ritenuto ‘ndranghetista). La circostanza è “importante”, giacché evidenzia come l’ex assessore funga “da tramite per il sodalizio per raggiungere” l’allora “Presidente della Regione Valle d’Aosta, Augusto Rollandin”, al fine di reperire l’impiego. Inoltre – si legge nell’ordinanza – “Perron partecipa” al “condizionamento esercitato nei confronti di Alessandro Fontanelle, assessore del Comune di Saint-Pierre che era entrato in conflitto nell’ambito dell’attività amministrativa” con Monica Carcea, ex componente di quella stessa Giunta, dimessasi dopo l’arresto per aver concorso esternamente nell’organizzazione criminale.
In quel caso, secondo il giudice, “il sodalizio manifesta prepotentemente tutta la forza d’intimidazione e la condizione di cui è capace”. Infine, dall’attività d’indagine svolta il Gip conclude che il politico “ha stabili rapporti con gli associati, tanto da far suscitare apprensione in Marco Fabrizio Di Donato (a processo quale presunto capo della “locale” aostana, ndr.) per un possibile sgarbo da lui così inteso ed essere definito da Raso ‘amico mio’, ‘disponibile come sempre’, in uno scambio di favori e richieste a terzi che Perron, con il suo interlocutore, non rinnega (‘ho parlato e ho fatto quel che potevo. Stanno vedendo’)”. In tale contesto, per il Gip merita, quantomeno, “approfondire i rapporti di Perron con Rollandin”, ovvero “se il primo avesse effettiva influenza sul secondo”.
Lancerotto e i lavori in Municipio
Quanto a Valerio Lancerotto, coinvolto nell’inchiesta per l’ipotesi di scambio elettorale politico-mafioso, il gip Salvadori richiama anzitutto la sua elezione alle comunali 2015 con 437 preferenze (valsegli l’assessorato ai lavori pubblici nella giunta Centoz), cui affianca alcune risultanze delle investigazioni. Telefonate, incontri e intercettazioni che restituiscono come Giuseppe Petullà – considerato dagli inquirenti uno dei “procacciatori di voti” entrati in azione nell’ambito della comunità calabrese – ha avuto “contatti con Marco Fabrizio Di Donato e Antonio Raso” (anche l’ultimo, imputato quale partecipe alla “locale” aostana), “al fine di sostenere” elettoralmente pure l’amministratore unionista (oggi consigliere comunale, dopo essersi dimesso da assessore).
“La conferma definitiva del coinvolgimento del sodalizio criminoso nella campagna elettorale a favore di Lancerotto – scrive il giudice – si ottiene” nel dicembre 2016, quando viene intercettata una telefonata tra Marco Fabrizio Di Donato e il titolare di una ditta di piccole manutenzioni e tinteggiature. Quest’ultimo “riferisce che sta lavorando in Comune, dove sta facendo ‘eehh due uffici… un po’ di roba’” e colui che per Carabinieri e Dda era a capo della “locale” ribatte “affermando ‘buono buono! Vedi che è servito votare Lancerotto’”.
Al Gip appare necessario chiarire la regolarità dell’assegnazione dei lavori di cui alla conversazione intercettata, nonché verificare ulteriormente se Lancerotto “una volta conseguita la carica di assessore ai lavori pubblici, abbia successivamente fornito o promesso appoggi o favori alla compagine criminale, di qualsivoglia natura”. Per il magistrato non ha valore l’argomento, sollevato dal difensore Nicole Michelazzo, delle dimissioni dall’incarico assessorile il 3 ottobre 2018, perché “a quell’epoca erano comunque già emersi fatti di reato riguardanti vari esponenti della lista elettorale in cui lui è stato eletto”.