Otto anni di carcere. È la pena chiesta dal pm Eugenia Menichetti al Gup Davide Paladino nei confronti di Camillo Lale Demoz, l’impresario 75enne di Quart a giudizio per il tentato omicidio del macellaio Olindo Ferré. Nell’udienza di oggi, martedì 3 marzo, si è conclusa la discussione tra le parti e il giudice ha rinviato al prossimo 19 marzo per eventuali repliche dell’accusa, cui potranno fare seguito le contro-repliche della difesa, quindi il giudice entrerà in camera di consiglio per la sentenza.
Ferré venne trovato in condizioni disperate il 1° ottobre 2018, in un capannone in località Séran di Quart, di proprietà dell’imputato. Sul posto gli inquirenti sequestrarono il manico di una zappa (secondo l’accusa, usata per colpire il commerciante, al culmine di una lite dalle cause ignote, ma “verosimilmente riconducibili allo stato di ebbrezza”) ed alcuni vestiti vennero sequestrati a Lale Demoz, arrestato l’11 gennaio dell’anno scorso (e da allora ai domiciliari). Le conclusioni delle perizie commissionate dalla Procura e dai difensori su quei reperti sono alla base dello scontro in aula.
Per l’avvocato Viviane Bellot, che difende l’impresario assieme al collega Antonio Rossomando di Torino, “non ci sono le prove oltre ogni ragionevole dubbio che sia stato Lale Demoz” a colpire. Il dubbio principale deriva dal fatto che il “DNA colloca sulla scena del crimine un terzo contributore, mai individuato”. Inoltre, “ci sono ipotesi alternative per ogni argomento”. La consulenza del team difensivo era stata svolta dal genetista torinese Marzio Capra, concludendo che le tracce restituissero l’imputato “arrivato lì quando” la pozza di sangue vicino all’aggredito “si era già formata”, cioè “dopo l’aggressione”.
Per l’avvocato Bellot, “le stesse risultanze del dottor Garofano (il perito della Procura, ndr.) evidenziano dubbi, perché c’è una serie di tracce che non sono state prelevate. Non sappiamo se si tratti di sangue (potrebbe anche essere materiale biologico), non sappiamo a chi siano attribuibili e non sono databili, quindi non sappiamo a chi siano attribuibili e non sono databili, quindi non sappiamo se si siano formate quel giorno”.
Il processo è in corso con rito abbreviato. La pena richiesta dal pubblico ministero è quella minima prevista per il reato contestato, cioè dodici anni, quindi otto al netto dello “sconto” di un terzo previsto per il giudizio alternativo. I parenti del macellaio, che non è mai riuscito a riprendere un’esistenza normale, per le conseguenze delle lesioni riportate, è parte civile nel processo con l’avvocato Maria Rita Bagalà. Nella discussione, il legale ha chiesto una provvisionale da 100mila euro per Ferré ed altri 100mila per i familiari.