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Maxi truffa dell’energetico, l’inchiesta partita in Valle arrivata fino a Svizzera e Germania

L’operazione internazionale “Carta Bianca”, culminata in 22 arresti, ha messo in luce proventi illeciti per 41 milioni di euro. Il meccanismo ordito dai truffatori generava rincari nelle bollette. Sequestrate ville di lusso e criptovalute.
Cronaca

E’ l’estate 2019 quando la Polizia criminale di Duisburg, in Germania, chiede alla Guardia di finanza di Aosta chiarimenti su alcune fatture emesse da una società tedesca ad una società con sede a Saint-Christophe, la “Power Q Srls” in località Grand Chemin. I finanzieri del Nucleo di Polizia economico-finanziaria scelgono di non fermarsi ad incrociare dati al terminale, vanno a vedere. Trovano un capannone vuoto. Nessun dipendente. Il legale rappresentante sembra un prestanome. Lo sentono, scoprendo che fa capo a un gruppo di Torino e che ha assunto la carica (per cui ha ricevuto uno stipendio dalla fine del 2015 fino al 2018) su invito di un soggetto “risultato inesistente”.

Un’operazione internazionale

E’ il prologo dell’inchiesta di respiro internazionale – condotta dalle “Fiamme Gialle” della Valle e dai colleghi tedeschi, sotto l’egida dell’Agenzia europea di cooperazione giudiziaria Eurojust – sfociata nell’operazione “Carta Bianca”, scattata all’alba di oggi, martedì 23 novembre, nella quale – tra Italia, Germania e Svizzera – sono finite in manette 22 persone, accusate di una sofisticata truffa nel settore energetico per 27 milioni di euro e di operazioni di riciclaggio per 14 milioni. 113, in tutto, gli indagati. Decine le perquisizioni eseguite dal centinaio di militari entrati in azione, che hanno portato al sequestro, tra l’altro, di due ville (una con piscina) a Ventotene ed Ischia, di ingenti somme in contanti (in un’abitazione son spuntate “mazzette”, anche “sottovuoto”, per 750 mila euro), di collezioni di orologi di lusso e di criptovalute (in particolare, un “ballet” con bitcoin e USDT per un controvalore vicino ai 500mila euro)..

Il mondo delle “E.S.Co”

La società di Saint-Christophe è una “Energy Service Company – E.S.Co”. Un soggetto che, realizzando interventi di efficientamento energetico (come la sostituzione delle caldaie, o il rifacimento dei cappotti degli stabili, mirati alla diminuzione delle emissioni di anidride carbonica e all’incremento dell’utilizzo di fonti rinnovabili), ottiene dal Gestore dei Servizi Energetici dei titoli, detti “Certificati bianchi”, che è possibile monetizzare rivendendoli su un apposito mercato. In tale ambito a comprarli possono essere i grandi distributori di luce e gas, con più di 50mila clienti finali. Quei titoli servono loro a dimostrare il raggiungimento, cui sono tenuti dalla legge, di obiettivi annui di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili, in cambio dei quali la Cassa per i Servizi Energetici e Ambientali corrisponde un contributo.

Missione: macinare “Certificati bianchi”

Indagando – coordinati inizialmente dal pm Luca Ceccanti della Procura di Aosta – sulla società di Saint-Christophe, risultata “fantasma”, i militari non arrivano solo al fatto che degli interventi dichiarati dalla “E.S.Co” valdostana non v’è traccia nella realtà (la procedura per comunicarli è interamente telematica e i controlli, fino al giugno 2016, risultavano “meramente formali”), ma anche che l’accaparramento di “certificati bianchi” appare il “core business” di un gruppo di quattro persone radicato nel torinese, con precedenti legati alle truffe. E’ capeggiato, nella ricostruzione inquirente, dal 49enne Maurizio Greco, che ha creato altre quattro società: la “Optima Servizi Srls” ad Asti, la “Power Consulting Srls” a Cernusco sul Naviglio (Milano), la “Eg Efficiency Srls” a Cavaglià (Biella) e la “Sinergy Services Srls” a Vercelli.

Per tutte, anche attraverso appostamenti e intercettazioni telefoniche ed ambientali, gli inquirenti mettono a fuoco lo stesso copione di quella valdostana. Gli interventi vengono caricati sul database del Gestore dei Servizi Energetici (al quale ci si poteva accreditare, all’epoca, con operazioni che non implicavano più della compilazione di un “form” online) relativamente a stabili dagli indirizzi presi su Internet, aggiungendo anche nomi di residenti e numeri di telefono, ricavati attraverso le stesse fonti. Dalle attività investigative emerge che, nell’insieme, nel primo semestre 2016, le cinque “E.S.Co” hanno depositato 95 progetti, ricevendo circa 89.900 “certificati bianchi” (ognuno è equivalente ad una tonnellata di petrolio risparmiata), pari a 27 milioni di euro.

La truffa che generava rincari

Una volta immessi sul mercato, quei titoli perdono l’abbinamento alla società che li ha ottenuti (e all’azione di efficientamento da cui discendono). Non v’è quindi dubbio, agli occhi di chi ha indagato, che i grandi distributori li abbiano acquistati inconsapevoli della loro emissione illecita. Il fatto è, però, che la loro acquisizione viene finanziata anche attraverso gli “oneri di sistema” prelevati in bolletta all’utente finale. In sostanza, stando alle investigazioni, il sistema messo a punto dal gruppo torinese ha finito con il comportare dei rincari nella spesa per energia elettrica e gas di famiglie e aziende. Non è tutto, perché attraverso vari servizi di osservazione, controllo e pedinamento i militari del Nucleo comandato dal tenente colonnello Riccardo Scuderi tracciano anche la rotta della “ripulitura” dei proventi indebiti delle “E.S.Co.”.

Le rotte del riciclaggio

Ricevuti i soldi derivanti dai certificati (oltre a un versamento iniziale del Gestore dei Mercato Elettrico, altri ne sono previsti per i cinque anni a venire), alle società “fantasma” arrivavano fatture, come quelle di cui avevano chiesto conto gli investigatori tedeschi (nel frattempo, giunti in Italia per la creazione di una “Squadra comune”, strumento alternativo all’attività in rogatoria, esistente dal 2017). Formalmente, riguardavano in prevalenza consulenze, di cui non è però stata trovata traccia nell’inchiesta. Simulandone il pagamento, secondo le “Fiamme Gialle”, la “cabina di regia” delle cinque “E.S.Co” effettuava bonifici verso l’Italia e l’estero (conti sono stati individuati anche in Albania e Bulgaria).

A quel punto, alcuni “spalloni” si occupavano di prelevare dai conti dei destinatari dei versamenti e di riportare (trattenuta una percentuale che arrivava fino al 18%) il contante in Italia. Il compito di riciclare è stato ricondotto a tre gruppi di indagati, disseminati tra Campania e Puglia e facenti capo a Giovanni Faranda (59 anni, Messina), Aldo Mancino (36, Nocera Inferiore) e Mauro Losapio (44, Barletta), a loro volta arrestati oggi. Tra gli indagati in questo “filone” dell’inchiesta figurano pure un commercialista di Napoli ed un ex dipendente di Banca. I reati in contestazione sono quindi, a vario titolo, l’associazione a delinquere finalizzata alla truffa, la truffa aggravata per il conseguimento di pubbliche associazioni e il riciclaggio.

L’inchiesta passa a Torino

Il fascicolo aperto dalla Procura diretta da Paolo Fortuna, alla richiesta delle misure cautelari, viene passato a quella di Torino: il Gip di Aosta si dichiara infatti incompetente, giudicando il reato prevalente essere quello associativo (di competenza distrettuale). La palla passa così al pm Stefano Castellani (nome noto ai valdostani per le inchieste Geenna ed Egomnia sulle infiltrazioni di ‘ndrangheta nella Regione), che valuta il materiale investigativo e rinnova l’istanza di arresti, perquisizioni e sequestri, a carico di 17 persone residenti in Italia, disposte dal Gip del Tribunale di Torino Francesca Firrao ed eseguite stamane dalle “Fiamme Gialle” (comandate, a livello regionale, dal colonnello Massimiliano Re). I cinque arrestati in Svizzera e Germania dalla polizia tedesca, invece, devono rispondere tutti di riciclaggio.

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