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Il palazzo di giustizia è da oggi intitolato al magistrato Giovanni Selis

Stamattina, in via Ollietti, la cerimonia, culmine del percorso promosso da Libera Valle d’Aosta. Il presidente del Tribunale Gramola: “ha rappresentato l’ideale che abbiamo tutti noi valdostani onesti”. Presenti anche l’ex procuratore di Torino Caselli e la moglie del magistrato.
Cronaca

 

Il magistrato Giovanni Selis ha “rappresentato l’ideale che abbiamo tutti noi valdostani onesti, quello di avere una cosa pubblica svincolata da influenze mafiose, nel senso più ampio del termine, o comunque scorrette”. Sono le parole con cui il presidente del Tribunale, Eugenio Gramola, ha sottolineato stamane l’intitolazione del Palazzo di giustizia del capoluogo al Pretore di Aosta che, esattamente quarant’anni fa, il 13 dicembre 1982, subì per primo in Italia nella categoria un attentato, uscendone vivo.

Un fatto del genere, però, “spaventerebbero ognuno di noi” e, in uno strascico delle ferite inferte nell’animo del giudice dalla vicenda (per cui Selis dovette affrontare anche un processo per diffamazione, che gli costò un trasferimento a Roma, lasciando momentaneamente la toga ed uscendone poi completamente scagionato), “si tolse la vita” il 9 maggio 1987, dopo essere tornato in servizio ad Aosta. Oggi, riposa nel cimitero di Rhêmes-Notrre-Dame, perché “si era ambientato benissimo in Valle: amava la montagna, andava in bicicletta, era diventato un ottimo scialpinista”. Di più, “un valdostano vero, anche se non nato in Valle”.

Il 1982, anno orribile

Il 1982, ha ricordato l’ex procuratore di Torino Giancarlo Caselli, presente alla cerimonia fu “un anno orribile”, perché “la criminalità ha colpito durissimo. Selis, ma anche Pio La Torre e Dalla Chiesa”. Nel vano motore della Fiat 500 del pretore aostano venne collocata “una quantità di esplosivo incredibile, tanto che ‘attentatuni’, parola che si usa per Capaci, potrebbe applicarsi anche in questo caso”. Dopo Selis, nel bersaglio finì anche Bruno Caccia, procuratore di Torino, ucciso il 26 giugno 1983.

Selis Caselli
L’ex procuratore Giancarlo Caselli.

“Nonostante tutto questo, per avere compiutezza della presenza della criminalità organizzata in Piemonte e in Valle d’Aosta si deve arrivare ai nostri giorni. Perché?”, si è chiesto Caselli. “Perché la mafia riesce a mimetizzarsi, ma anche di più. Riesce ad ibridarsi, coperta da una rete relazionale” – è stata la sua risposta. “Quando la mafia colpisce in alto, come con Selis, lo fa anche per i guasti dei rapporti sociali. Si colpisce chi tenta di riportarli in un alveo di correttezza”.

Le indagini sul Casinò

Di un magistrato che “sento affine a mio padre” ha parlato proprio la figlia di Caccia, Paola, in un messaggio affidato all’avvocato Fabio Repici, che ha incessantemente chiesto di approfondire le ragioni di quella morte. “Non sono mai stati colleghi, – ha aggiunto – ma entrambi nel 1982 e 83 indagavano sugli illeciti al Casinò” ed “entrambi furono colpiti”. La correlazione tra le loro inchieste (che nel caso di Selis riguardavano soprattutto i prestasoldi attorno alla Casa da gioco e i loro rapporti con l’ufficio fidi) e i rispettivi attentati non ha però mai trovato posto nelle carte giudiziarie.

Selis Avv Repici
L’avvocato Fabio Repici.

Inchieste che “creavano scandalo”

Selis, ha ricordato il presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati Domenico Palmas, era un “magistrato assolutamente attento a quei reati che oggi vengono considerati normali, ma allora creavano scandalo”. Parliamo di illeciti in materia edilizia in tema di ambiente (come presunti abusi in operazioni edilizie a Cervinia, o sui fumi della Cogne), che “erano uno scandalo, davano un disagio” a chi vi era coinvolto, ma “hanno svegliato le coscienze”. E se all’allora pretore “attribuisco di aver portato in Valle questo complesso di tensioni e legalità”, forse la vicenda dell’attentato “non è stata capita, è stata banalizzata nel nostro contesto, con conseguenze personali sul modo in cui l’aveva percepita”.

Selis Palmas
Domenico Palmas, presidente dell’Ordine degli avvocati.

L’amore per la montagna

Sul “lato più umano” di Selis si è soffermato Daniele Parini, avvocato, ma soprattutto legato a lui da un’amicizia che “nacque nel 1974 dall’amore per la montagna”. La prima uscita assieme fu la salita al Grand Sertz, nel gruppo del Gran Paradiso. Il magistrato non aveva, in quel momento, un peso forma da camminate e più che un’escursione fu “una ritirata di Russia”. Però, a tale gita ne seguirono altre e “le sue condizioni miglioravano, tanto che a volte conduceva il gruppo”. Un’attitudine dovuta alla “determinazione con cui affrontava la vita, non solo sul lavoro”.

Selis Daniele Parini
L’avvocato Daniele Parini.

Tra gli episodi raccontati da Parini, anche quello in cui, durante una gita assieme in bici (successiva all’attentato), al magistrato scoppiò il copertone. Forse non capendo subito l’origine del rumore, simile ad un’esplosione, si buttò per terra e commentò “ho a che fare con gente pericolosa”. “La riprova, – ha commentato il presidente Gramola – che Giovanni Selis aveva paura, ma continuava a fare quello che doveva”.

Rhêmes intitolerà un’area verde al magistrato

Donatella Corti, referente di Libera in Valle d’Aosta (che ha promosso l’intitolazione odierna), ha proposto ai presenti una riflessione di Don Luigi Ciotti, presidente dell’associazione a livello nazionale: “Giovanni non è morto per ottenere una targa, ma per la stessa ragione per cui è vissuto, affinché chi sarebbe venuto dopo di lui proseguisse l’impegno per la legalità”.

Selis Corti
Donatella Corti, referente di Libera.

Libera, nell’appuntamento di oggi, vede “la tappa fondamentale del cammino iniziato con la mostra dedicata alla figura del Pretore, proseguito nel 2019 con la posa della stele nel luogo dell’attentato (in via Monte Vodice) e che culminerà nella collaborazione con il comune di Rhêmes-Notre-Dame, prossimo a dedicare a Selis un’area verde, in una “virtuosa collaborazione tra istituzioni e società civile”.

La moglie ricorda la telefonata anonima

Alla cerimonia di stamane era presente anche la moglie di Selis, Sara Polimeno. Parlando con i giornalisti, a margine dell’evento, ha ricordato che, dopo essere stato scagionato dall’accusa di diffamazione, il marito le disse “di aver ricevuto una telefonata anonima”, in cui “gli hanno detto: ‘questa volta non sbaglieremo’. Avevano capito che voleva tornare qua”, ad Aosta.

Se le ragioni e le mani dell’attentato che deviò il corso della vita del magistrato non sono più che uno schizzo di cui si intravedono i contorni, ma non la fisionomia (e “la lotta alla criminalità organizzata non riguarda solo le forze armate o i magistrati” ha ribadito il presidente della Corte d’Appello di Torino, Edoardo Barelli Innocenti), quello in via Ollietti “d’ora in poi – per usare le parole di Donatella Corti – sarà palazzo Selis e tutti i docenti e gli studenti si informeranno sulla sua storia, che è diventata nostra”.

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