Tutti d’accordo sulla necessità di riformare la legge elettorale, per garantire governabilità e stabilità, ma non saranno i cittadini a “influenzare” le scelte del Consiglio regionale.
Finiscono così per ora nel cestino le oltre 3.300 firme raccolte a sostegno del Referendum consultivo. Dopo un lungo dibattito, che ha occupato quasi per intero la prima giornata di lavori, l’aula ha bocciato l’iniziativa (26 contrari, 7 astenuti di Pd e Forza Italia Vda e 2 favorevoli).
Le due consigliere di Progetto Civico Progressista, Chiara Minelli e Erika Guichardaz, sono rimaste sole a difendere la richiesta di referendum, portata avanti dal Comitato. “Lo Statuto speciale della Valle d’Aosta, così come la Costituzione, non ha affidato tutti i poteri all’Istituzione del Consiglio o al Parlamento. Di referendum consultivi non ce ne sono mai stati, questa è l’occasione giusta e non dobbiamo sprecarla. L’ultima parola spetta al Consiglio regionale, che non deve comportarsi come una casta chiusa rispetto ai cittadini”.
Anche i due consiglieri di Forza Italia Vda, movimento che in prima istanza aveva aderito all’iniziativa, si sfilano. “I due pareri hanno dato una svolta a questo dibattito” ha spiegato Mauro Baccega. “C’è la necessità che la legge vada rivista per mettere fine ad una stagione di instabilità politica. Questo vogliono i valdostani al di là del referendum, che può avere dei costi. Siamo fortemente contrari a usare questo percorso per fare la campagna elettorale solo di alcuni”.
Claudio Restano di Evolvendo, associazione che fa parte del Comitato, definisce una strumentalizzazione da parte di “pochi per raggranellare un po’ di consenso” l’utilizzo degli strumenti di democrazia partecipata. “Come Evolvendo – spiega il presidente della I Commissione- riconosciamo l’importanza del referendum popolare e della democrazia partecipata così come ci riconosciamo nell’elezione diretta del Presidente della Regione”. L’auspicio è di arrivare ad una riforma che ottenga “almeno i due terzi dei consensi all’interno di questo Consiglio”.
Auspicio condiviso anche dal presidente del Consiglio regionale Alberto Bertin: “Una volta approvata la legge si potrà sottoporla a referendum confermativo e fare pronunciare i cittadini sul risultato ottenuto”.
Riprende i pareri dei due costituzionalisti il consigliere della Lega Vda Paolo Sammaritani per confermare “che non è opportuno deliberare in Consiglio senza avere informazioni chiare”. Da una parte la disomogeneità degli argomenti – “questo referendum d’iniziativa popolare è fatto su un intero provvedimento di legge molto articolato” – dall’altra l’errata comparazione dei referendum “anche quelli consultivi a un qualsiasi esercizio della libertà di manifestazione del pensiero da parte di più cittadini”.
Non lega il proprio “no” a ragioni tecniche, ma politiche, l’assessore Luciano Caveri. “Il Consiglio ha normato in maniera bizzarra l’istituto del referendum propositivo, che va a sostituirsi agli eletti, ma ricordo che il nostro è un sistema democratico elettivo e questo forzare la mano non è condivisibile. Viviamo in una democrazia rappresentativa: sentirmi dire che dobbiamo fare il referendum perché lo chiede il popolo: è populismo e demagogia allo stato puro”.
“Andare oggi a chiedere il parere dei valdostani su di una proposta che rappresenta solo due Consiglieri su 35 non ha senso” gli fa eco Marco Carrel di Pour l’Autonomie.
Va all’attacco delle due consigliere di Pcp il capogruppo Uv Aurelio Marguerettaz: “Riconosco loro la bravura di introdurre argomenti con il principio del “Cavallo di Troia”: dicendo che il sistema non è stabile, propongono l’elezione diretta del Presidente, senza però mettere in evidenza tutta una serie di altri temi. Trovo anche singolare che tra i soggetti promotori del referendum vi siano quei partiti che non hanno raggiunto il quorum alle elezioni passate e adesso ne chiedono l’abbassamento”.
A respingere le accuse arrivate da più parti a Pcp è la capogruppo Erika Guichardaz: “L’iniziativa referendaria è stata sostenuta da tanti valdostani che non appartengono al nostro schieramento e che mai ne faranno parte. Rispedisco quindi al mittente le accuse della ricerca di nuovi “adepti”. E poi sull’ammissibilità: “Se l’iniziativa è stata portata alla votazione vuole dire che il referendum era ammissibile. Questa invece è una scelta politica: non si dà la possibilità ai valdostani di esprimersi”.
Il Comitato: “La vicenda non finisce qui”
“La maggioranza dei consiglieri regionali vuole decidere sulle materie importanti senza sentire l’opinione degli elettori”. E’ arrivato a stretto giro il commento del Comitato per la riforma elettorale al voto del Consiglio regionale.
Definendo una “pagina nera nella storia del Consiglio regionale e dell’Autonomia”, il Comitato evidenzia come “posti di fronte alla legittima richiesta di consultare la popolazione, 33 consiglieri su 35 si sono comportati come una casta che vuole poter manovrare, fare e disfare a piacimento senza interferenza da parte della popolazione.”
Infine protestando per l'”atteggiamento arrogante e antidemocratico”, il Cre annuncia di voler proseguire “l’azione per una riforma radicale del sistema elettorale” con l’individuazione di “altre forme e modalità al fine di conseguire l’obiettivo della riforma che è indispensabile per un cambiamento della politica valdostana”.
Cosa dice il parere del costituzionalista Luciani
Nel suo parere il costituzionalista Massimo Luciano ha affermato come “la richiesta di effettuazione del referendum appare, per plurimi profili, di dubbia ammissibilità: innanzitutto, ha per oggetto una proposta di legge di modifica della forma di governo della Regione, la cui approvazione deve rispettare il procedimento aggravato di cui all’art. 15 dello Statuto speciale; inoltre, sebbene il referendum consultivo sia privo di effetti giuridicamente vincolanti, è indetto “prima” di “procedere all’adozione” dei provvedimenti legislativi interessati e, diventando oggetto della discussione consiliare che lo segue, esibisce un rilevante effetto “politico”, con un condizionamento delle determinazioni consiliari, che problematicamente potrebbero disattendere l’indicazione referendaria; infine, il referendum consultivo determina comunque un ulteriore aggravamento procedimentale, oltre a quelli già previsti dallo Statuto”.
Ulteriori ragioni di inammissibilità, secondo Luciani, sono “rinvenibili nel fatto che una richiesta di referendum consultivo non può avere l’effetto di superare il giudizio di inammissibilità pronunciato nella deliberazione della Commissione regionale per i procedimenti referendari e di iniziativa popolare dell’aprile scorso. Inoltre, è inammissibile la richiesta referendaria che contenga una pluralità di domande eterogenee che, impedendo una scelta univoca, coartino la libertà del voto.”
Cosa dice il parere del Professore Morrone
“Il referendum consultivo non impegna giuridicamente il Consiglio regionale, lo impegna politicamente”. Così il Professore Andrea Morrone, docente di diritto costituzionale all’Università di Bologna, esperto in materia referendaria e autore di vari studi monografici e saggi scientifici fra cui il testo “La Repubblica dei referendum. Una storia costituzionale e politica (1946-2022)” respinge i dubbi sull’ammissibilità del referendum consultivo sulla proposta di riforma elettorale, sollevati da alcune parti politiche.
Il Consiglio regionale sarà chiamato a esprimersi e dovrà farlo portando all’attenzione dei 35 eletti anche il quesito o i quesiti referendari, ad oggi assenti nella deliberazione iscritta all’ordine del giorno dei lavori. Lo dice la legge e l’ha ribadito durante una conferenza stampa indetta da Progetto Civico progressista, il Professore Morrone, presente in videocollegamento.
Sollevata già nel luglio scorso e riemersa nelle scorse settimane in I Commissione, la questione dell’eterogeneità della proposta di legge sulla quale i cittadini dovranno esprimersi, viene così risolta dal Professore Morrone: “L’etereogeneità della legge non è un limite all’ammissibilità del referendum, perché la legge testualmente non lo stabilisce. Dal punto di vista della legge, quello che è importante, è distinguere l’iniziativa da chi deve stabilire il quesito” ovvero il Consiglio regionale “in collaborazione con i promotori del Referendum”. Per consentire ai cittadini di esprimere in modo chiaro le proprie preferenze, l’invito del Professore è di formulare tre quesiti diversi, chiari e omogenei, sulle tre materie della proposta di riforma: l’elezione diretta del presidente della Regione, il premio di maggioranza e la rappresentanza di genere.
Anche l’obiezione di chi vede “rientrare dalla finestra ciò che è uscito dalla porta”, ovvero la proposta di un referendum consultivo dopo l’inammissibilità di quello propositivo , viene rispedita al mittente dal Professore Morrone che spiega come “a nulla vale dire che il contenuto è lo stesso, quello che conta è l’effetto che deriva dal referendum: se con il propositivo si possono scrivere le leggi, con il consultivo no”. Proprio perché quest’ultimo tipo di referendum non ha effetti giuridici, “la legge non prevede un controllo preventivo. Questa è una consultazione popolare, che serve agli organi della regione a capire qual è l’orientamento della popolazione sul tema. Spetterà poi al consiglio regionale decidere cosa farne di questo orientamento”.
Una volta bocciata la richiesta di Referendum, il Comitato promotore potrebbe rivolgersi agli organi giudiziari, ivi compresa la Corte Costituzionale, che come ricorda ancora il professor Morrone, è “molto sensibile alla compressione dei diritti costituzionali”.
Una risposta
Una volta esistevano i partiti, questi permettevano alla gente di partecipare alla definizione di soluzioni così complesse, l’idea di un referendum consultivo è interessante, un tentativo di coinvolgere l elettore sempre più disinteressato da questa stanca democrazia.
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