Road to Le Mans: la Porsche 917 K

Tra le vetture che hanno scritto la storia della prova dell’Automobile Club de l’Ouest, un posto di diritto spetta alla Porsche 917 K, vincitrice nel 1970 con l’equipaggio composto da Hans Hermann e Richard Attwood e l’anno successivo con Helmut Marko, attuale deus ex machina della Red Bull in Formula 1, e Gijs Van Lennep, grande specialista delle corse di durata.
Foto di Toby Parsons da Pixabay
Gioie e Motori

Manca appena una settimana alla 24 Ore di Le Mans, la gara di Endurance più famosa del mondo. È un evento sportivo estremo, in ragione dello sforzo cui vengono sottoposti piloti e macchine, costretti a correre al massimo per, appunto, ventiquattro ore. Tra le vetture che hanno scritto la storia della prova dell’Automobile Club de l’Ouest, un posto di diritto spetta alla Porsche 917 K, vincitrice nel 1970 con l’equipaggio composto da Hans Hermann e Richard Attwood e l’anno successivo con Helmut Marko, attuale deus ex machina della Red Bull in Formula 1, e Gijs Van Lennep, grande specialista delle corse di durata.

Ancora oggi la 917 rapisce con il suo fascino senza tempo, con quella linea filante e aggressiva e al contempo elegante. Stupenda. E dire che gli esordi agonistici non furono dei migliori. La Porsche stava cogliendo parecchi successi di classe, ma intendeva, a fine anni sessanta del secolo scorso, fare il salto di qualità, cioè competere per la vittoria assoluta. La 908, peraltro ottima vettura, regina della “Targa Florio”, non era adatta alle ambizioni. E quindi, pur partendo da quella base, in linea con il nuovo regolamento dell’Endurance, in soli dieci mesi vide la luce la 917, presentata nella versione stradale al Salone di Ginevra. Era il 1969.

La nuova nata conquistò immediatamente gli appassionati. Senonché, al debutto alla 24 Ore di Spa, fece ammattire i piloti per una pericolosa instabilità e la sola 917 al via si ritirò per un guasto al motore. Cresceva, in Porsche, la preoccupazione per una vettura che, invece di sbaragliare il campo, dimostrava limiti evidenti, aerodinamici e di affidabilità. Fu decisiva l’intuizione geniale della John Wyer Automotive Engineering, che operò sulla coda, accorciandola – K significa proprio Kurzheck, a dire coda tronca. La soluzione aumentava il carico aerodinamico ma assicurava quella stabilità cruccio della Casa e favoriva anche la prestazione del motore, ottimizzandone il raffreddamento. Motore da cinque litri di cilindrata, a dodici cilindri a V a 180 gradi, formato da due sei cilindri, quello utilizzato sulla 911 R, posizionato centralmente e longitudinalmente, che sviluppava una potenza pari a 600 cavalli a 8.300 giri/minuto e produceva una coppia motrice da 563 Nm a 6.400 giri/minuto. Velocità massima 354 chilometri orari, che andranno ad accarezzare i 400 chilometri orari nella versione LH a coda lunga (Langheck) sul lungo rettilineo delle Hunaudières.

Nel 1970 la vittoria arrise, come dicevamo, a Hermann – Attwood, piloti della Scuderia KG Salzburg, che precedettero la 917 LH con i colori Martini, a bordo un altro mito delle corse di durata, Gérard Larrousse, in coppia con Willi Kauhsen. L’anno successivo, la 917 K bissò, questa volta con livrea Martini, e suscitò una certa simpatia l’esemplare chiamato “Maialino Rosa”, per il suo colore e per il disegno dei vari tagli della carne. Nel 1972 il regolamento del Campionato del Mondo Sport Prototipi cambiò nuovamente, limitando i motori a tre litri di cilindrata. La 917 continuò così la sua carriera vincente nella serie Can – Am, nel Nord America.

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