“Una gara durissima”. Lo ripete tante volte Roger Junet quando parla della Normandy Channel Race, la competizione di vela d’altura da circa 1000 miglia per Class 40 nel Canale della Manica e nel Mar Celtico, con partenza e arrivo a Caen passando per l’Isola di Wight, Tuskar Rock, Fastnet Rock (“uno dei fari più suggestivi al mondo, uno dei motivi per cui ho fatto questa gara”) e Isola di Guernsey. Un modo per salutare l’Europa prima del suo ritorno negli Stati Uniti dopo la fatica della Globe40, che purtroppo per lui e la sua co-skipper Estelle Greck si è conclusa con un ritiro a circa 200 miglia dal traguardo.
“Tornando dalle coste irlandesi verso la Cornovaglia, a Wolf Rock, abbiamo dovuto mettere la tormentina, una vela per andare di bolina (controvento), perché c’era tantissimo vento e molta corrente”, racconta il valdostano. “Stavamo attraversando la Manica, c’era tanto traffico commerciale e bisognava costantemente schivare altre navi, con onde grosse, verticali. Una di queste ha colpito la nostra tormentina, sfondando un gancio che la teneva su, spaccando anche la drizza. Non potevamo più andare controvento, quindi ci siamo diretti a Brest per ritirarci”.
Fino ad allora la barca Visit Valle d’Aosta, affittata da Mélodie Schaeffer (barca che nella Globe40 si chiamava Whiskey Jack) si stava ben comportando, nonostante dovesse confrontarsi con barche di nuovissima generazione (chiamate scow bow) nettamente più veloci. Roger Junet ha conosciuto anche Estelle durante la Globe 40: “Lei è una grande, ci siamo trovati benissimo, le piace andare forte. Siamo partiti già un po’ scarichi dal giro del mondo concluso da poco e dal fatto che io sono arrivato fino in Normandia da Aosta in camper. La gara è davvero dura, all’Isola di Wight bisognava fare lo slalom tra navi container all’ancora, dovevamo fare continui cambi di vele e manovre difficili in passaggi stretti con molta corrente. Eravamo esausti, per 24 ore non abbiamo mangiato né dormito”.
La barca non aveva avuto molta manutenzione e l’autopilota non funzionava, costringendo i due a rimanere quasi sempre svegli. Ma non sono stati gli unici ad aver avuto problemi: ben 8 equipaggi sui 32 al via (il 25%) hanno dovuto ritirarsi, tra chi ha colpito una boa di ferro sfondando lo scafo, o chi ha fatto un vero e proprio frontale con un peschereccio, o chi ha perso l’albero. “Ci dispiace un sacco, del nostro gruppetto eravamo i primi”, dice ancora Junet, che non ha comunque dimenticato di portare con sé fontina, mocetta e altri prodotti valdostani particolarmente amati anche dagli altri velisti.
Ora che è rientrato a casa nel Maine, Roger Junet pensa a “cosa fare da grande”, tra una gara oceanica da Marblehead, nei pressi di Boston, a Halifax, in Canada (ma in condizioni ben diverse da quanto fatto nell’ultimo anno: una 55 piedi con un’intera squadra di velisti esperti, cucina, doccia, e addirittura il bagno) ed il prossimo giro del mondo: “Il mio sogno è farlo in solitaria senza scalo, altrimenti ripeterò la Globe 40 forte dell’esperienza di quest’anno. Devo però mettermi subito al lavoro per cercare degli sponsor”.