Con l’arrivo della bella stagione e delle calde giornate di sole, è semplice ricercare in montagna un po’ di sollievo dall’afa della città; tuttavia, le temperature elevate dell’estate rendono più probabile incappare durante le proprie passeggiate in serpenti tanto innocui come le bisce quanto pericolosi come le vipere. I casi di accesso al pronto soccorso dell’Ospedale Umberto Parini di Aosta a essi legati non sono molti, ma i medici aostani invitano ad adottare comportamenti prudenti durante le proprie escursioni estive.
Come riconoscere il morso della vipera
Il morso di una vipera può essere riconosciuto dal segno distintivo lasciato sulla cute del malcapitato, due piccoli ferite da inoculo poste a distanza di circa un centimetro l’una dall’altra.
“È difficile capire di quale razza sia il serpente che ha attaccato la vittima a meno di non catturarlo per portarlo in visione ai medici, ciò che inevitabilmente espone a ulteriori rischi amici e conoscenti – osserva la dottoressa Ilaria Prosperi -. Più che il veleno in sé il pericolo è legato alla risposta allergica grave con il corpo, che provoca sintomi quali pressione bassa e segni di shock dovuti alla reazione anafilattica”.
Cosa fare se si viene morsi
Dal momento che il veleno si propaga attraverso l’apparato linfatico, è bene agire in fretta limitando la circolazione con un laccio posto a monte del morso e restando tranquilli e seduti; all’arrivo i soccorsi devono raggiungere il paziente il più possibile vicino al luogo in cui esso si trova per evitare che un eventuale sforzo generi un’ulteriore diffusione nel corpo.
“In ospedale il trattamento prevede la somministrazione di cortisone, antistaminico e liquidi e la richiesta della vaccinazione anti-tetanica, importante non soltanto in caso di tagli o ferite ma anche in caso di punture di insetti o serpenti – aggiunge Prosperi -. È però raro che venga iniettato al paziente il siero anti-vipera, utilizzato unicamente qualora esso non risponda al trattamento per lo shock e previa discussione con il Centro anti-veleni di Pavia”.
Qualora la vittima venga curata con il siero, dato soltanto in ambiente monitorato intensivo o sub-intensivo, essa viene tendenzialmente trasferita nel reparto di rianimazione per almeno 24 ore al fine di monitorare e risolvere eventuali complicazioni.
“Il veleno contiene una neurotossina in grado di interferire con il sistema della coagulazione, ciò che richiede qualche giorno di ricovero con spostamento dalla rianimazione alla medicina di emergenza-urgenza – conclude Prosperi -. Oltre che per avviare una terapia antibiotica mirata, ciò è funzionale a controllare lo stato del paziente per evitare rischi diffusi o locali quali per esempio le trombosi”.