Un Salone dell’orientamento di successo quello che si è svolto giovedì e venerdì 8 e 9 febbraio ad Aosta, con numerosi spunti e percorsi presentati agli studenti e alle studentesse in procinto di terminare la scuola. Ma che cosa vogliono davvero i giovani di oggi? Di che cosa hanno paura e quali sono i condizionamenti con cui devono confrontarsi nel momento di scegliere che cosa fare della propria vita?
Per rispondere a queste domande non si poteva scegliere ospite migliore di Stefania Andreoli, psicologa, psicoterapeuta e analista, che su queste tematiche è diventata un punto di riferimento anche sui social, dove sono in moltissimi a scriverle nell’appuntamento settimanale del #martedìdelleparole.
A dialogare con lei, ieri, 9 febbraio, al Teatro Giacosa di Aosta, Luna Esposito, content creator della community Will, che alle tematiche della salute mentale nel lavoro ha dedicato il podcast “Troppo poco”.
Come stanno i ‘giovani adulti’?
Invitata a commentare le parole di Mattarella all’inaugurazione dell’anno accademico dell’UniUPO, secondo cui il disorientamento dei giovani è “in larga parte responsabilità di noi adulti”, la psicologa ha esordito confermando la veridicità di quanto detto dal Presidente della Repubblica. “Nei miei ultimi libri mi sono fatta araldo di un malessere che mi veniva presentato nella mia ‘stanza delle parole’ da parte di appartenenti alla generazione X e Millennials. Prima che di recente iniziasse a tirare un altro vento, come le parole di Mattarella dimostrano, c’erano due tipi di descrizione dei ‘giovani adulti’. Da un lato, c’era un’astensione di pensiero, per cui nessuno raccontava di questi ragazzi, grandi dal punto di vista legale e anagrafico, che però non sono trattati come tali nella vita di tutti i giorni. Dall’altro, li si descriveva in forma detrattiva e umiliante, quando in realtà, per quanto mi riguarda, a questi giovani affiderei il destino dell’ambiente, della politica e del lavoro”.
I giovani e la mentalità del sacrificio
Il malessere delle nuove generazioni è qualcosa di reale e che deve essere preso sul serio, secondo la Andreoli. Smascherando, innanzitutto, la mentalità del sacrificio da cui spesso i giovani di oggi si sentono sopraffatti, come testimonia il podcast di Luna Esposito. “Facendo più del dovuto, finiscono per ammalarsi e per non avere una vita, ma il problema all’origine è che, se quella vita ce l’avessero davvero, non saprebbero cosa farsene. Spesso la malattia e la soluzione diventano la stesa cosa: si lavora tanto come soluzione al far fatica a vivere, a praticare quel godimento di cui il sacrificio è il contrario. Alla base del sacrificio c’è l’illusione di ottenere qualcosa in cambio, e qualcosa di sacer, come suggerisce l’etimologia del termine. Prima questa cosa era la vita eterna, oggi, con la crisi della religione, ci sono altri tipi di dei, come la produzione e il possesso”.
Da qui la mentalità diffusa, e criticata dalla Andreoli, per cui si offre ai giovani il maggior numero di stimoli possibili, desiderando implicitamente che riescano a portarli avanti tutti nel migliore dei modi. “È stato dato loro tanto senza chiedere: ma tu chi sei? Io parlo di questa vocazione in termini di ‘talento’. Se sparpaglio il talento tra le lezioni di russo, la scuola e lo scherma, faccio di tutto un po’, per poi scoprire che riesco bene in tutto ma non ho individuato quale sia il mio daimon”.
Il buon genitore, educatore e insegnante non è, quindi, quello che spinge il giovane a intraprendere il percorso più difficile così che provi a tutti di essere il migliore. È invece quello che lo aiuta a trovare “quell’unica cosa per cui è al mondo, che per lui vale e per cui si alzerebbe in piedi la mattina: bisogna identificare quale sia la sua personale idea di talento, quel qualcosa che gli riesce bene anche senza averlo imparato, ma che studierebbe tutta la vita”.
Le aspettative degli altri
La più grande sfida che, in un periodo di crisi perenne come quello in cui vivono, i giovani di oggi devono affrontare è quella delle aspettative. “Il genitore, l’educatore e l’insegnante fanno fatica a distinguerle rispetto al bene che vogliono nei confronti dei giovani. È così che le aspettative diventano veri e propri patti di lealtà, che limitano il raggio di azione e il potenziale evolutivo dei giovani. Questi ultimi di fatto non diventano, perché sono mossi dalle aspettative altrui. Alcuni si chiudono in casa e abdicano alla vita o vi pongono fine. Altri mimano il vivere: fingono di stare bene, ma hanno a disposizione la possibilità di fare tutto, tranne ciò che ritengono di voler fare”.
La vita di questi giovani è quindi come un regalo che cerca di essere controllato da chi lo ha donato. “Invece, quell’oggetto non è più del genitore e il figlio dovrebbe poterne fare il riflesso di ciò che è veramente. Altrimenti i figli non diventano adulti ma restano figli. E, nell’epoca più libertaria di sempre, sono più incarcerati che mai”.
Il ruolo dei genitori
Il ruolo dei genitori è fondamentale nell’influenzare la vita dei propri figli: la psicanalisi e la psicologia sono ormai quasi unanimi su questo punto. Ma in che modo i genitori influenzano le decisioni dei figli e quale forma dovrebbe avere il loro supporto?
Il caso proposto da Luna, quello del tennista Sinner che ha ringraziato i genitori per averlo lasciato sempre libero appoggiandolo in tutte le scelte, non si potrebbe applicare a molti giovani di oggi. “Quello che è risultato dai miei sondaggi sui social è che, mentre i genitori tendono a identificarsi in quelli di Sinner, sentendo di aver concesso molta libertà ai loro figli, questi ultimi invece non sono tanto d’accordo“, ha provocato la Andreoli, con la sua solita verve. “Questo perché spesso quella che gli si dà loro è una libertà condizionata: il messaggio genitoriale è che il figlio è libero di fare quello che i genitori vorrebbero facesse”.
Se solo attraverso la critica dei genitori, come insegna la psicanalisi, si può arrivare a diventare adulti e ad amare appieno le persone che si celano dietro i propri genitori, così anche questi ultimi dovrebbero provare a conoscere davvero la persona vera dietro il loro figlio. “Rinunciamo a essere noi al centro e a esprimerci anche quando non ci è stato chiesto nulla. Nel momento dell’orientamento per il percorso post-scolastico, cerchiamo di capire quando i nostri figli, anche in modo implicito, ci stanno rivolgendo una domanda; ma se vediamo che stanno provando a cavarsela da soli, stiamone fuori”.
Come scegliere cosa fare dopo la scuola?
Ma come fare quando ci sono così tante scelte? E siamo poi sicuri che il proprio talento lo si trovi per forza nell’università? Rispondendo ai dubbi e le sollecitazioni del pubblico, la Andreoli ha confermato quanto aveva detto Leonardo Lotto il giorno precedente: “L’università oggi non è per forza la scelta giusta. Quelli della mia generazione sono stati facilitati dal fatto che nessuno la imponeva e chi non faceva l’università non era umiliato: per questo se ci iscrivevamo eravamo davvero motivati nell’approcciarci allo studio, che è sempre faticosissimo”.
Se ogni scelta è sempre una morte, perché si appendono al chiodo tutte le vite che non si vivranno mai, bisogna anche diffidare da alcune tendenze diffuse, che privilegiano alcuni percorsi piuttosto di altri. “Secondo Galimberti e altri intellettuali, il declino della scuola è dovuto al fatto che la techne ha preso piede rispetto agli studi umanistici: abbiamo perso l’utilità profonda di conoscere la letteratura, la storia e quelle materie che non servono a niente, ma senza le quali non ci incontriamo e non sappiamo nulla che non sia saper fare. Siamo bravissimi fabbri, produttori e performer, ma stiamo male perché facciamo, anziché essere”.
Su quest’ultima nota si è concluso l’incontro con Stefania Andreoli. Una riflessione sui giovani, sulle scelte e sul futuro che Luna Esposito – come probabilmente molti tra i presenti in sala – ha rivelato che “avrebbe voluto sentire a 18 anni” – e che i giovani valdostani hanno avuto l’opportunità di ascoltare a conclusione della due giorni di orientamento ospitata da Aosta.