“Nostro figlio escluso dall’assegno di inclusione. Per lo Stato non può mantenersi da solo”

Quell’aiuto economico, percepito fino al mese scorso come ultima rata del reddito di cittadinanza, consentiva a Mattia, nome di fantasia, di condurre una vita con una parvenza di autonomia, nonostante la sua malattia.
foto anonimo
Società

Nei cortocircuiti dell’assegno di inclusione sono finiti Mattia, nome di fantasia, e la sua famiglia. Il trentasettenne dovrebbe essere tra i destinatari della misura, introdotta nel 2024, per via della malattia mentale con cui convive da più di dieci anni.

L’amara sorpresa l’ha ricevuta la madre quando si è recata al patronato per calcolare l’Isee del figlio. “Lo Stato riconosce la sua disabilità” (condizione per la quale dovrebbe rientrare tra i beneficiari della misura), ma “a causa di un Isee piuttosto ristretto” non contempla la possibilità che viva in autonomia recependo un assegno di inclusione. “Per lo Stato lui non si può mantenere da solo e dovrebbe tornare a carico dei genitori” spiega la madre.

Oggi Mattia risiede in un “appartamento assistito”, gestito da una struttura che fornisce servizi nei settori socio-educativo, socio-sanitario e assistenziale, in particolare nell’ambito della salute mentale. Considerata la sua patologia, diagnosticata dai medici in sintomatologia psicotica, Mattia ha bisogno di terapie specifiche e supporto psichiatrico. “Ho girato dappertutto e gli psichiatri mi hanno detto che non può tornare in famiglia, per il suo bene e per il nostro” racconta la madre.

“A febbraio ha ricevuto l’ultimo assegno (una somma mensile di circa 600 euro). Era un grande aiuto per Mattia, anche se dovevo comunque integrare qualcosina. Dal mese di marzo sarà scoperto perché, secondo la legge, non ha abbastanza soldi per vivere da solo”. “Sono disperata e sto battagliando. Quei seicento euro mi bastavano per gestire la situazione. Ogni mese pago 440 euro di affitto, 200 per i pasti, 150 per le medicine e altri 100 da mettere nel suo portafoglio, anche se lui non ha grandi esigenze, gli va bene tutto”.

Quell’aiuto economico (ex reddito di cittadinanza), percepito fino al mese scorso, gli consentiva di condurre una vita con una parvenza di autonomia. Mattia ricopre un incarico in una biblioteca della Valle d’Aosta e guadagna, nei mesi in cui riesce a garantire una presenza assidua, circa 180 euro.

“Nostro figlio ha bisogno di personale qualificato, di supporto psichiatrico, terapeutico ed economico, di un aiuto che purtroppo noi non siamo in grado di offrirgli”. È l’appello disperato di una madre e un padre che chiedono di riconoscere al figlio quell’assegno di inclusione che gli è stato tolto.

Misura di contrasto alla povertà, alla fragilità e all’esclusione sociale delle fasce deboli,  l’assegno di inclusione ha sostituito, insieme al supporto per la formazione e il lavoro, il reddito di cittadinanza. Secondo i dati della Direzione regionale INPS Valle d’Aosta, aggiornati al mese di febbraio, le domande di assegno di inclusione sono state 595. Di queste, 129 sono state accolte, 125 respinte per mancanza dei requisiti richiesti e 341 ancora in lavorazione.

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