Perché è così importante essere belli, sentirci belli? Perché sentiamo il bisogno di vestirci in un certo modo? Perché ci tatuiamo? In un mondo in cui gli standard di bellezza stanno diventando sempre più insostenibili e impossibili da raggiungere, la bellezza è diventata quasi un valore da incarnare a qualsiasi costo. Ma chi decide cosa è bello?
Cristina Cassese, antropologa podcaster e formatrice, esplora il tema della bellezza nel ultimo libro “Il bello che piace” che, attraverso dieci oggetti di uso comune, racconta ”in che modo gli esseri umani costruiscano culturalmente il loro corpo”. La bellezza è infatti uno dei modi più evidenti che abbiamo per metterci in comunicazione con l’altro attraverso il nostro corpo, e per affermarci nella società. Storicamente gli standard di bellezza sono in perenne cambiamento, anche radicale e contradditorio, ma è sempre stata una parte importante della vita delle persone, in particolare le donne per cui “essere bella” poteva rappresentare un’opportunità per ottenere condizioni di vita migliori.
In questo senso gli oggetti raccontati nel libro diventano la rappresentazione fisica di paranoie, idee e azioni che ogni giorno compiamo per sentirci “belli”. Carta igienica, rasoio, spazzola, bilancia e lavatrice sono alcuni di questi oggetti, scelti perché idealmente si possono trovare nei bagni di chiunque e perché – attraverso il loro utilizzo e funzione – sono in grado di raccontare come ognuno di noi vive la costruzione della propria estetica. Il libro è quindi uno strumento esplorativo per iniziare a sviluppare la consapevolezza che il concetto di bellezza non è univoco, ma determinato da una serie di fattori culturali, storici ed economici. Attraverso questa decostruzione, si augura l’autrice, il lettore si troverà quindi nella condizione di poter scegliere se aderire agli standard di bellezza della nostra società, oppure se decidere in autonomia che cosa gli/le piace.
I laboratori ludico-espressivi
L’autrice non ha tenuto solo una presentazione del libro, Cristina Cassese è anche formatrice e da anni tiene laboratori nelle scuole di ogni ordine e grado sui temi dell’educazione affettiva, le emozioni e la scoperta di sé e della propria identità. Sabato 5 ottobre si sono svolti “Che genere di fiabe?” Per bambini e bambine dai 6 ai 10 anni e ReGenerators per ragazze e ragazzi dagli 11 ai 14 anni. Entrambi i laboratori si sono concentrati sull’esplorazione delle proprie emozioni, del contesto in cui si esprimono e la relazione con gli altri. Il primo, dedicato ai bambini più piccoli, ha affrontato il tema dei ruoli dei personaggi delle fiabe, che cosa rappresentano nel contesto della narrazione e che cosa ci dicono della realtà in cui viviamo. Il secondo laboratorio, invece, mirava a fornire strumenti pratici per rielaborare gli stereotipi di genere: in particolare in che modo influenzano la quotidianità, le aspettative sociali e le relazioni.