Capita che, nonostante chi scrive sia convinto di aver visto molto musicalmente parlando, andar per concerti possa riservare ancora delle sorprese. Per esempio, l’esibizione di Rose Villain in terra valdostana, nella serata di sabato scorso, 7 dicembre, al Palais di Saint-Vincent per la Saison Culturelle, è finita tra queste. Ascolti i due lavori in studio della 35enne milanese, cresciuta però negli Stati Uniti dai 18 anni, e ti dici che sbrodolano post-produzione e arrangiamenti ad uso e consumo del mercato attuale. Lo stile? Difficile da definire. Pop senz’altro. Hip-hop pure. Urban anche.
Un mélange, che la diretta interessata spiega con le atmosfere plumbee derivanti dall’amore per registi come Kubrick e Tarantino, che le è valso (ma in questo hanno giocato molto anche innumerevoli ospitate con personaggi “à la page” di quel pianeta, vedi tra gli altri Guè, Tony Effe, Achille Lauro, Madame, Rosa Chemical e Salmo) una devozione incondizionata da parte di quella che al giornalismo musicale piace chiamare “fanbase”. Eppure, salita sul palco, forse perché doveva reggere da sola le parti dei vari “featuring” (che le nostre menti attribuiscono in automatico ad altre voci) e sicuramente per i tre strumentisti ad accompagnarla che sapevano il fatto loro, si è sentito dell’altro.
L’inizio è sotto il segno di Radio Sakura, l’album uscito nel marzo di quest’anno: “Hattori Hanzo”, “Io, me ed altri guai” e “Stan”. Il “marchio di fabbrica” Villain c’è tutto, ma in alcuni momenti è affiorata – e la presenza scenica energica della ragazza l’ha amplificata – una vena alternative-rock (grazie, in particolare, al drumming e al basso molto anni ‘90). Qualcuno andrà a rileggere più volte questa frase, è facile supporlo, soprattutto mettendogli accanto le immagini di un look scenico della cantante a base di autoreggenti nere sulle sneakers bianche. Eppure è così.
Certo, ciò che Rose dice tra un brano e l’altro, in un allestimento che ricorda una stanza, microcosmo intimo che aiuta l’ispirazione e protegge (ma con le finestre per guardare fuori), è cucito millimetricamente sul suo pubblico. Qualche esempio? “Avevo proprio voglia di un po’ di aria di montagna”, “L’amore è la forza che manda avanti il mondo”, oppure “Non bisogna vergognarsi dei propri brutti pensieri” (prima di eseguire l’omonimo brano). I 700 in platea (Palais non “sold out”, ma il numero non è facile da fare in Valle, con età media bassa, ma non bassissima) apprezzano e ringraziano con applausi a raffica, ma soprattutto con la costante caccia di immagini da portare a casa nello smartphone.
Però, permane la sensazione che – assecondando alcuni istinti sonori manifestati dal vivo – Villain possa spalancare le porte a Rock’n’Rose ed allargare il suo pubblico. Anzi, quando arriva il set acustico della serata – in cui, in uno stuolo di lumini a terra, la raggiunge il marito, il produttore discografico Sixpm, incontrato e sposato oltreoceano – si rafforza perfino. Tra “Lamette”, “Cartoni animati” (queste da “Radio Gotham”, uscito nel gennaio 2003), “Balenciaga” e “Trasparente” (che segna il ritorno alla parte elettrico-elettronica del concerto) c’è stato più di un respiro di ballad. Ed è un altro segnale.
Il finale è un crescendo. “Milano almeno tu”, “Fantasmi”, “Monet”, “Gotham” e “Chico” portano ai brani che il pubblico radiofonico, anche quello disattento alla nuova scena, ha sentito almeno una volta: “Come un tuono”, “Il mio funerale” e “Click Boom”. Paradossalmente, almeno a giudizio di chi scrive, questi ultimi, sui quali l’apprezzamento collettivo si è impennato, sono quelli più immediati (e meno interessanti). Non deve probabilmente stupire, in un pianeta musicale in cui ormai è il prodotto a dirigere i gusti (e non il contrario).
Eppure, la sensazione è di aver assistito ad un momento interessante della carriera di Rose Villain. Dopo gli esordi televisivi e nei club, l’ultimo (e il prossimo) festival di San Remo, è attesa ora ad un “salto di qualità” delle location dei suoi concerti. In tal senso depongono le già annunciate date al Forum di Assago per settembre 2025. Se Rose volesse cercare un senso a quel salto, una strada possibile la si è vista sabato sera. Non perderebbe di certo le mamme con la tinta blu (e i bimbi in braccio) nelle prime file al Palais e potrebbe conquistare nuovi segmenti di pubblico, anche più maturi. Si chiama crescita. Sicuramente spaventa (anche perché presuppone la responsabilità del diventare un’artista che non cerca il nord sulla bussola del mercato), ma può rivelarsi divertente da morire. Vedremo.