Nel mese di gennaio proponiamo al pubblico spettacoli al Planetario e visite guidate notturne in Osservatorio Astronomico, con prenotazione online obbligatoria, giovedì 2, venerdì 3 e sabato 4, 11, 18 e 25. Per informazioni e prenotazioni, consultate il nostro sito web. Ma cosa ci riserverà il cielo nel primo mese del 2025?
La Terra al perielio
Il 4 gennaio la Terra si troverà al perielio, cioè nel punto della propria orbita più vicino al Sole, approssimativamente a 147,1 milioni di km di distanza da quest’ultimo.
Questo valore è inferiore dell’1,7% alla distanza media Terra-Sole, che vale circa 149,6 milioni di km e corrisponde all’Unità Astronomica (in sigla U.A. o A.U. per gli anglosassoni), il “metro” utilizzato come unità di misura nel Sistema Solare.
Quindi, quando è inverno nell’emisfero nord della Terra siamo più vicini alla nostra stella! Come si spiega che in questo periodo fa più freddo?
Com’è noto, le differenze di temperatura tra estate e inverno non sono dovute alla maggiore o minore distanza del nostro pianeta dal Sole, ma all’inclinazione dell’asse terrestre sul piano della propria orbita che durante l’anno determina una maggiore o minore lunghezza del dì (e della notte) e un diverso riscaldamento del suolo dovuto alla direzione variabile dei raggi solari: più radenti d’inverno, meno inclinati d’estate.
La Luna
Le fasi della Luna
Primo quarto martedì 7 gennaio 2025, Luna piena lunedì 13, Ultimo quarto martedì 21 e Luna nuova mercoledì 29.

L’occultazione lunare di Saturno
Il 4 gennaio si verificherà un evento abbastanza poco frequente: la Luna si sovrapporrà a Saturno. A partire dalle 18.40 circa (i tempi sono calcolati per una località del centro Italia) si vedrà quest’ultimo “scomparire” dietro al bordo orientale della Luna, quello non ancora illuminato dal Sole. Il nostro satellite naturale, con un‘età di 5 giorni circa, sarà visibile come una sottile falce. Al momento dell’occultazione i due oggetti saranno all’altezza di circa 30°, sufficiente per ammirare agevolmente il fenomeno.

Congiunzioni della Luna con pianeti e stelle brillanti
Il 3 gennaio la Luna (dall’aspetto di una sottilissima falce) e Venere saranno protagonisti di un bell’incontro ravvicinato nella costellazione dell’Acquario. Il 10 sarà Giove a essere avvicinato dal nostro satellite naturale.
Il 14 gennaio, al mattino presto, Marte passerà a una distanza angolare assai esigua dal nostro satellite naturale: attorno alle 5.15 il pianeta rosso e la Luna si troveranno infatti a meno di mezzo grado l’uno dall’altra (vedi l’immagine qui sopra).
I pianeti
Ricordiamo che la visibilità dei pianeti può variare in base a diversi fattori, come la presenza di ostacoli lungo l’orizzonte, le condizioni atmosferiche e la propria ubicazione geografica. Le posizioni e la visibilità dei pianeti sono indicate per un cielo visibile dal centro Italia.
In ogni caso è consigliabile osservare da un luogo con cielo il più possibile scuro, lontano dalle luci della città.
Mercurio
All’inizio dell’anno il piccolo pianeta è visibile a sud est dalle ore 6.20 fino alle 7.15 circa, quando si trova ancora a un’altezza sull’orizzonte di una decina di gradi. Successivamente tende a avvicinarsi al Sole, per cui il suo intervallo di visibilità diminuisce di giorno in giorno, risultando praticamente invisibile a partire dalla seconda metà del mese. A inizio gennaio si trova nella costellazione dell’Ofiuco, per poi entrare il giorno 6 in quella del Sagittario e sconfinare nel Capricorno il 28.
Venere
Il mese scorso lo avevamo lasciato nella costellazione dell’Acquario, dove lo ritroviamo ancora a inizio gennaio. Il 23 gennaio esce anche dai confini di questa costellazione per entrare in quella dei Pesci. Il giorno 10 si trova alla massima distanza “a sinistra” del Sole (in gergo astronomico raggiunge la massima elongazione est) ed è quindi osservabile dal crepuscolo, verso le ore 17.30, fino alle 20.00 circa, anticipando a fine mese il suo tramonto di una mezz’ora circa. Luminosissimo, Venere è visibile vicino a Saturno, da cui a inizio mese è separato da poco più di una quindicina di gradi. Ma essendo il moto orbitale di Venere più rapido e in direzione del pianeta inanellato, giorno dopo giorno la distanza reciproca apparente tra i due si accorcia visibilmente: il 18 i due raggiungeranno la minima separazione, portandosi a poco più di 2° uno dall’altro. Nel corso del mese, osservando al telescopio, si nota il cambiamento della falce di Venere, la cui forma si assottiglia progressivamente, mentre le sue dimensioni aumentano, in quanto la distanza del pianeta da noi diminuisce nel corso del mese da 111,4 fino a 78,4 milioni di km.
Marte
All’inizio dell’anno è visibile già a partire dalle ore 19.00 circa verso oriente, alla discreta altezza di una decina di gradi nella costellazione del Cancro, da cui esce il giorno 13 per entrare in quella dei Gemelli. Questa costellazione ospita la parte più elevata dell’eclittica, la proiezione nel cielo dell’orbita terrestre o, più semplicemente, il percorso apparente del Sole sulla sfera celeste. Vicino all’eclittica si svolge anche il moto apparente dei pianeti: data la vicinanza dei loro piani orbitali a quello della Terra essi appaiono non allontanarsi mai molto da quest’ultima. Per questo motivo, quando il pianeta rosso si trova in culminazione, passando in direzione del sud (a inizio mese attorno alle ore 1.40, a fine gennaio verso le 23.00), raggiunge la ragguardevole altezza di circa 74° e risulta quindi osservabile nelle migliori condizioni. I motivi sono due: dato che lo spessore di atmosfera terrestre che la luce di Marte attraversa è più ridotto di quando il pianeta è basso sull’orizzonte, sono più probabili maggiore trasparenza e turbolenza più contenuta.
Inoltre, il 12 gennaio Marte raggiunge la minima distanza dalla Terra o perigeo, portandosi a circa 95,7 milioni di km da noi (per confronto, la distanza media Terra – Marte è di circa 227,3 milioni di km). Il giorno 14 è in congiunzione stretta con la Luna, per i dettagli si veda qui sopra nella sezione dedicata al nostro satellite. Infine il 16 gennaio Marte è in opposizione ed è visibile per tutta la notte fino alle 7.00 del mattino.
Giove
Reduce dall’opposizione avvenuta il 7 dicembre scorso, il pianeta gigante è già visibile nel cielo ancora chiaro a partire dalle 18.00 circa ed è osservabile per tutta la notte fino alle 4.30 circa. Permane tutto il mese nel Toro, a poco più di 5° sopra Aldebaran, la stella più brillante di questa costellazione.
Saturno
A inizio gennaio è già visibile all’imbrunire ma tramonta presto, verso le 17.30, restando per tutto il mese nella costellazione dell’Acquario. Il giorno 4 è occultato dalla Luna (vedi la sezione qui sopra dedicata al nostro satellite naturale). Al telescopio appare con gli anelli ridotti a una linea sottile, dato che il loro piano è quasi sulla nostra linea di vista. Il vantaggio dell’esigua brillantezza della struttura anellare è rappresentato dalla possibilità di vedere più facilmente i satelliti più deboli del pianeta, le cui immagini non si “perdono” nel bagliore degli anelli.
Urano
Il gigante ghiacciato, da osservare con un buon binocolo, è visibile a partire dalle 17.30 circa nella costellazione dell’Ariete, in cui è entrato il mese scorso. È osservabile fino a mezzanotte e mezza circa.
Nettuno
Visibile dalle 18.00 in poi, appare al telescopio come un dischetto azzurrognolo. Si trova nella costellazione dei Pesci, a breve distanza angolare da Venere e da Saturno. A inizio gennaio tramonta attorno alle 20.00, verso le 19.30 a fine mese.
Lo sciame meteorico di gennaio: le Quadrantidi

Attorno alle 17.00 (ora civile italiana) del 3 gennaio è previsto dall’IMO (International Meteor Organization) il picco di attività dello sciame delle Quadrantidi, attivo dal 12 dicembre al 12 gennaio, composto dalle meteore (“stelle cadenti”) generate dalle polveri rilasciate dall’asteroide 2003 EH1 lungo la sua orbita attorno al Sole. Forse questo corpo progenitore è una vecchia cometa estinta che non mostra più alcun sviluppo della chioma e della coda, com’è invece tipico delle comete più giovani. Il motivo è che 2003 EH1 ha probabilmente ormai esaurito il ghiaccio presente in superficie che in precedenza, avvicinandosi al Sole, sublimava per il calore diffondendo il materiale cometario nello spazio tutto attorno al nucleo. Parte di questo materiale è costituito da polveri che, entrando nell’atmosfera terrestre, generano le Quadrantidi.
Il nome di questo sciame deriva dal fatto che il radiante, il punto da cui sembrano provenire le loro scie, si trova in una posizione nel cielo occupata anticamente dalla costellazione del Quadrante murale, che è stata esclusa dalle 88 costellazioni ufficiali stilato dall’Unione Astronomica Internazionale nel 1929. Durante il picco di attività delle Quadrantidi si possono ammirare fino a una quarantina di meteore all’ora, il doppio di quelle visibili nei giorni attorno al culmine di attività. Quest’anno la Luna, in fase “giovane” (con un’età di 4 giorni dopo la Luna nuova) tramontando la sera del 3 gennaio poco dopo le 20.00, non disturberà l’osservazione, dato che oltretutto le ore dopo la mezzanotte sono quelle ideali per l’osservazione di questo fenomeno. Se si desidera vedere qualche bella scia luminosa nella notte del massimo, conviene dunque cominciare la sessione alle 23.00, ora in cui il radiante sorge verso nord est.
Stelle e costellazioni visibili nelle serate di gennaio
Il Cigno e la Balena
A ovest, appena fa buio, siamo ancora in tempo per vedere Deneb, la stella più brillante del Cigno, che in procinto di tramontare sembra salutarci dandoci appuntamento in primavera. Attorno alle 21.00 la Balena è riconoscibile verso sud. Una delle stelle che compongono la sua coda, Tau Ceti, è tra le stelle più vicine, a una dozzina di anni luce appena, e ospita un sistema di pianeti extrasolari.

Orione, il gigante
A partire da queste notti di gennaio possiamo vedere per tutta la serata Orione, una costellazione che dominerà il cielo per l’intero inverno: anche i neofiti la riconoscono facilmente. Le due stelle più luminose della costellazione, situate in posizione opposta sono, in alto a sinistra, Betelgeuse, che nella visione tradizionale rappresenta la spalla destra (anche se l’espressione araba originale potrebbe riferirsi… all’ascella) e, in basso a destra, Rigel (etimologicamente, il piede sinistro). Dal punto di vista astrofisico sono classificate rispettivamente come supergigante rossa e supergigante blu e si trovano rispettivamente a 640 e a 860 anni luce da noi. Betelgeuse è una stella in fase finale di evoluzione, probabilmente è destinata a esplodere come supernova. Rigel è una giovane stella che tra pochi milioni di anni potrebbe seguire lo stesso destino di Betelgeuse.
Al centro del grappolo di stelle che rappresenta la spada di questo gigante notiamo la Grande nebulosa M42, che a occhio nudo sembra una stella sfocata, una specie di batuffolo luminoso. Nei binocoli e nei telescopi regala ogni volta una visione indimenticabile ed è uno degli oggetti protagonisti delle nostre visite guidate notturne nella stagione invernale.
La sfavillante Sirio
In basso a sud est rispetto alla costellazione di Orione, individuiamo la stella più brillante dell’intera sfera celeste: Sirio, in greco “la sfavillante” o “la bruciante”, la cui contemplazione è affascinante sia a occhio nudo che attraverso il telescopio. Il suo caratteristico rutilare, caratterizzato dall’incessante emissione di bagliori colorati è dovuto alla rifrazione della sua luce da parte dell’atmosfera terrestre: non a caso è più intenso quando l’aria è maggiormente turbolenta. Sirio è una delle stelle più vicine a noi (dista 8,6 anni luce) e il suo vero colore, un bel bianco celeste, indica una temperatura superficiale di circa 9 ̇500 gradi.
La costellazione zodiacale del mese: il Toro

Nelle fredde e limpide serate di gennaio si può agevolmente osservare la costellazione zodiacale del Toro, che attorno alle ore 22.00 si staglia alta sopra l’orizzonte sud.
Probabilmente già in epoca preistorica gli antichi osservatori del cielo hanno visto nella forma a “V” al centro della costellazione, costituita dalle stelle più brillanti dell’ammasso stellare aperto delle Iadi, la testa di un toro da cui si dipartono lunghissime corna, forse l’immagine dell’uro, il progenitore selvatico del moderno bue presente in Europa da almeno 250.000 anni, scomparso nel XVII secolo.
L’ipotesi che questo poderoso animale possa aver fornito l’ispirazione ai nostri predecessori per la “costruzione” della costellazione del Toro potrebbe essere avallata dalle splendide opere d’arte parietale nelle famose grotte di Lascaux nella Francia sud occidentale, composte da ignoti artisti circa 17.000 anni fa. Nella Sala dei tori si nota infatti la rappresentazione di un bovino che curiosamente reca sul muso, dalle corna fino alla bocca, una serie di punti scuri di cui alcuni ricercatori (come Adriano Gaspani dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Brera, a Milano) indicano la somiglianza con alcune stelle dell’ammasso aperto delle Iadi. Analizzando ulteriormente l’opera, si potrebbe attribuire alle Pleiadi (di cui parliamo qui sotto) un altro gruppo di punti che si trovano sulla groppa dell’animale.
In epoche storiche successive a quelle dei creatori degli affreschi di Lascaux il Toro ha continuato a rivestire un ruolo centrale, al centro di molti miti e ritualità. E questo non solo in quanto animale simbolo di potenza e di fertilità, ma anche perché, per alcuni secoli a partire dal V millennio d.C., questa costellazione ha ospitato la posizione del Sole all’equinozio primaverile, una data che nel calendario degli Assiri e dei Babilonesi corrispondeva all’inizio dell’anno.
Nella cultura greca, a seconda della versione del mito, questa costellazione viene associata al toro bianco del quale Giove assume le sembianze per sedurre la bella Europa, oppure alla vacca raffigurazione di Io, onorata da Zeus in grazia della fanciulla, oppure ancora al Minotauro, il mostruoso figlio della regina Pasifae, che viene imprigionato dal re Minosse al centro del labirinto nel palazzo di Cnosso. Eratostene, matematico, geografo e astronomo del III sec. a.C., riporta nel suo Catasterismi (“descrizione delle costellazioni”) che il complesso delle Iadi rappresenta la testa dell’animale, con i due occhi, le narici, le spalle e le basi delle corna.
Sia per gli ipotetici antichi osservatori del Paleolitico, sia per gli osservatori mediorientali che per i Greci, le corna del Toro celeste non sono formate dalle Iadi, ma hanno origine da queste ultime e appaiono lunghissime. La punta nord è infatti rappresentata dalla stella Beta Tauri, chiamata dagli Arabi El Nath (“Il Corno”) e quella sud da Zeta Tauri, chiamata anche Tianguan (o ancora Alheka).
A differenza della maggior parte delle costellazioni, quasi sempre formate da stelle a distanze molto diverse tra loro, dal punto di vista astrofisico le Iadi sono un vero e proprio raggruppamento fisico di oggetti. Con un’età stimata di quasi 700 milioni di anni, le circa 300 stelle che costituiscono le Iadi sono comprese in uno spazio di una ventina di anni luce (un anno luce = circa 10.000 miliardi di km). Alla distanza di circa 150 anni luce costituiscono l’ammasso stellare aperto più vicino al Sole, non a caso alcune componenti sono ben visibili a occhio nudo.
La “V” di stelle formata da alcune componenti delle Iadi sembra essere apparentemente completata, in uno dei suoi vertici, da Aldebaran che, alla distanza di 65 anni luce, non fa parte fisicamente dell’ammasso, ma… si limita a seguirlo nel cielo nel moto apparente della sfera celeste. Nella lingua araba del X secolo Al dabaran significa infatti “la seguente”, anche se il nome probabilmente si riferisce al fatto che in cielo sembra inseguire anche le non lontane Pleiadi. Questa stella, una gigante arancione, simboleggia l’occhio dell’animale.

Questa costellazione ospita anche un altro celebre ammasso aperto, perfettamente visibile a occhio nudo: le Pleiadi (M45 nel catalogo di Messier), a circa 440 anni luce da noi. Le circa 1˙000 stelle che lo compongono sono nate all’interno di una nebulosa ora scomparsa. Gli astrofisici ritengono infatti che il materiale diffuso visibile attorno alle Pleiadi sia in realtà una nube interstellare di polveri che M45 sta attraversando. Quindi, contrariamente a quanto molti ritengono, quella luce diffusa non è il residuo della nebulosa da cui sono nate, anche se queste ultime sono relativamente giovani, con un’età stimata attorno ai 100 milioni di anni. Queste stelle mostrano in prevalenza un colore azzurro che denota un’elevata temperatura superficiale, per alcune anche superiore ai 12˙000 gradi.
Anche la nostra Astrocopertina del mese ritrae un ammasso stellare circondato da una nebulosa, ma in un’altra costellazione, quella di Cefeo. Inoltre in questo caso l’ammasso è davvero aperto, nel senso che le stelle sono assai sparpagliate nello spazio, mentre la nebulosa non è a riflessione, bensì a emissione. Si tratta del complesso noto come IC 1396, in una spettacolare ripresa compiuta da Simone Demontis che gli è valsa il 3° posto al concorso di astrofotografia del 32° Star Party a Saint-Barthélemy.
Dal punto di vista mitologico, per gli antichi greci le Pleiadi visibili a occhio nudo erano sette sorelle figlie di Atlante e di Pleione, di cui il gigante Orione si era invaghito. Gli dèi, nel tentativo di salvare queste fanciulle dalla corte indesiderata, le trasformarono in sette colombe (in greco peleiades, da cui il nome dell’ammasso) che, ascendendo al cielo, diventarono le celebri sette stelle.Sul lato opposto della costellazione del Toro rispetto a M45, possiamo osservare con un telescopio M1, la Nebulosa Granchio, ossia un residuo di supernova.
La supernova (abbreviata in SN) è un fenomeno catastrofico che, nel caso delle SN di tipo II, può caratterizzare l’evoluzione finale di una stella di grande massa, almeno 8-9 volte quella solare, nel cui interno il rapporto tra l’energia espansiva, irradiata dal suo nucleo, e la componente attrattiva della gravità dovuta all’ingente massa, può divenire altamente instabile. Il massiccio astro, infatti, giunto a questa fase evolutiva, ha un nucleo pressoché saturo di ferro (sintetizzato attraverso precedenti processi termonucleari) che non può più generare energia. La stella è così praticamente condannata: non più sostenuta dalla pressione di radiazione dell’energia del suo nucleo, implode su se stessa seguita da un’esplosione catastrofica che rilascia violentemente i suoi strati esterni. L’onda d’urto che viene prodotta, riscaldando il mezzo interstellare, forma successivamente il residuo di supernova.
Nel 1054 d.C. l’esplosione di una supernova si è resa visibile a occhio nudo tra le punte delle “corna” del Toro per diverse settimane! Ora al suo posto possiamo osservare al telescopio il residuo M1, distante da noi tra i 5.000 e gli 8.000 anni luce.
Le costellazioni che non tramontano mai: l’Orsa Maggiore e l’asterismo del Grande carro

Cominciamo specificando che il Grande carro non è una costellazione! Infatti oggi è considerato l’asterismo (o disegno formato da stelle) contenuto all’interno della costellazione dell’Orsa Maggiore, di cui rappresenta il dorso e la coda.
A partire dalle 20.30 la sagoma del Grande carro è perfettamente visibile verso nord est, costituita da quattro stelle che formano il carro, a forma di trapezio, più in basso e un allineamento semicircolare di tre stelle, il timone, in alto.
Prendendo le due stelle del carro più lontane dal timone (Merak e Dubhe) e allineandole verso ovest (ossia verso “sinistra”), è possibile traguardare la posizione della Stella polare che fa parte del Piccolo carro (vedi l’immagine qui sopra).
L’asterismo del Piccolo carro è a sua volta inserito nell’Orsa Minore, costellazione circumpolare di cui parleremo in una prossima puntata.
A cura di Paolo Recaldini e Andrea Bernagozzi
La rubrica “Il cielo del mese” della Fondazione Clément Fillietroz-ONLUS è realizzata con il contributo della Fondazione CRT.