Roma, 17 ago. (Adnkronos/Ign) – Achille Occhetto diventò ‘lo zombie coi baffi’ e Francesco Rutelli ‘Cicciobello’. Francesco Cossiga usava l’arma dell’ironia graffiante, coniando soprannomi fulminanti per ‘ridisegnare’ quella che a suo modo di vedere era la personalità degli esponenti politici, soprattutto quelli che in Parlamento sedevano sui banchi della sinistra.
La più celebre tra le ‘creazioni’ cossighiane in questo senso è stata sicuramente quella affibbiata nel 1992 ad Achille Occhetto: “Farebbe meglio ad andare a zappare e a cogliere margherite. Ma mi fa un po’ schifo pensare che la terra possa essere violata e le margherite colte dalle manacce degli zombie coi baffi…”. E mentre Luciano Violante diventò il ‘piccolo Vysinskij’, accostato con un pizzico di perfidia al procuratore generale dei processi staliniani, Francesco Rutelli si trasformò in ‘Cicciobello’, dal nome di uno tra i più celebri bambolotti italiani. E Pietro Folena si meritò un giudizio tranchant: ‘Più che un politico, un indossatore mancato’.
Più recentemente, Cossiga ironizzò anche su Walter Veltroni: “So che dopo la bella e coraggiosa intervista ad Al Arabiya del presidente Usa Obama – disse un anno fa – Walter Veltroni ha presentato domanda alla Corte d’appello di Roma per poter cambiare il suo nome in ‘Walter Hussein’, e che si è presentato alla moschea di Roma per farsi musulmano”. Ma anche Cossiga ha ricevuto nel corso del suo lungo percorso politico qualche soprannome: nei primi cinque anni al Quirinale è stato ‘il canguro silente’; poi, negli ultimi due, vulcanici, anni da capo dello Stato è diventato il ‘grande esternatore’ e, soprattutto, il ‘Picconatore’. La giornalista dell’Economist Tana de Zulueta, poi parlamentare del centrosinistra, lo ribattezzò ‘la lepre marzolina’ e più recentemente Roberto D’Agostino, deus ex machina di Dagospia, ha coniato per lui il termine ‘il Gattosardo’.
Non solo soprannomi. Anche i suoi regali erano graffianti, a metà strada tra l’ironia e la provocazione: un modo un po’ insolito, ma efficace, di dire quel che pensava ai colleghi politici, di cui Francesco Cossiga è stato maestro, mostrando in più di un’occasione di avere un senso dell’umorismo non indifferente. Si comincia nel 1991, quando il senatore Dc Franco Mazzola riceve in ‘dono’ da Cossiga un sacchetto con 30 monete d’oro (di cioccolata), promettendo di ricambiare con un libro che rivaluta la figura di Giuda. Due anni dopo, sempre sotto Natale, addirittura un trittico di regali: un triciclo, un cavallo a dondolo e un gioco da detective ‘Cluedo’ all’indirizzo dell’allora procuratore capo di Palmi Agostino Cordova, che per uno di questi doni denuncia il mittente per offesa a pubblico ufficiale.
Nell’ottobre 1998 è la volta di Massimo D’Alema, al quale, in occasione della nascita del suo primo governo, nell’emiciclo di palazzo Madama Cossiga regala un bambolotto di zucchero, “siccome si dice che i comunisti mangino i bambini…”. Lo stesso anno tocca anche a Walter Veltroni, segretario dei Ds. Per lui burro e olio. “Io – spiega Cossiga in quella circostanza – sono ostile all’ulivo e da tempo uso il burro per cucinare, ma sarebbe stato scortese presentarmi solo con il burro…”.
Per il Natale del 1999 il destinatario del dono cossighiano è ancora D’Alema: questa volta si tratta di un orologio con il volto di Mao e la dedica “al grande timoniere”. Lo stesso anno Cossiga individua un’altra ‘vittima’: il senatore della sinistra Cesare Salvi al quale fa recapitare una confezione di pannoloni a sottolineare una certa ‘incontinenza dichiaratoria’.