Essere donna ieri e oggi: nonna Lorenza e la nipote Nicole si raccontano

Che cosa significa essere una donna? Nel corso degli ultimi 70 anni la condizione della donna è cambiata radicalmente nel nostro paese. In occasione dell'8 marzo, abbiamo intervistato una nonna, Lorenza (classe 1946), e sua nipote, Nicole (classe 2003) che si sono raccontate mettendo a confronto le loro esperienze di vita.
Lorenza e Nicole due generazioni di donne
Società

Esser bambina, ragazza, donna nel corso delle generazioni è un viaggio che cambia con il tempo, ma che continua a essere segnato da ostacoli e battaglie ancora aperte. Con il passare degli anni, le sfide per le donne sono cambiate: la libertà e l’autonomia sono aumentate, ma le lotte si sono fatte più sottili, le discriminazioni meno evidenti e più difficili da cogliere. Per raccontare questo confronto tra epoche e prospettive diverse, abbiamo raccolto le voci di una nonna e di sua nipote: Lorenza (classe 1946) e Nicole (classe 2003). Due donne forti unite da un legame profondo, fatto di affetto, confronto e, a volte, anche scontro.

Attraverso i loro racconti emergono non solo le differenze tra il passato e il presente, ma anche i punti di contatto tra due generazioni che, pur crescendo in mondi diversi, si trovano ad affrontare gli stessi dubbi sull’indipendenza, sul lavoro, sull’amore e sul ruolo della donna nella società. Dall’infanzia tra i giochi di una volta e quelli di oggi, ai percorsi scolastici e professionali, fino al modo di vivere la propria femminilità, le loro esperienze si intrecciano in una storia che è allo stesso tempo intima e collettiva. Un dialogo tra due generazioni che ci raccontano cosa significhi, per loro, essere donna.

Essere Bambina

Nicole: Non ho mai sentito differenze tra maschi e femmine. Nessuno ci diceva di giocare con le bambole, ma lo facevamo perché ci piaceva. Se volevo giocare a calcio con i maschi, ci giocavo. Ho molti cugini maschi e con loro condividevo i giochi: a nascondino, a prendere, a dipingere… Anche i cartoni animati decidevamo tutti insieme cosa vedere, non ho mai sentito differenze tra i maschi e le femmine da bambina. Anche qui non mi sono mai trovata in situazioni in cui mi sentivo trattata diversamente in quanto donna.

Lorenza: Fino ai nove anni ho vissuto a Sarre, in campagna. A casa non avevamo molti giocattoli, giocavo in casa solo quando ero ammalata… Avevamo una sola bambola, bella grande, ma potevamo solo guardarla, non era per giocarci. I giochi più belli erano all’aria aperta: saltare sul fieno, arrampicarsi sugli alberi, giocare giù vicino al torrente, pattinare sullo stagno ghiacciato d’inverno e andare con lo slittino. Tra bambini del villaggio si giocava tutti insieme e qui tutti i bambini erano più liberi, anche io mi sono sempre arrampicata sugli alberi e giocavo a prendere con i maschi.

Quando mi sono trasferita ad Aosta, non ho più giocato tanto, perché mia madre non mi lasciava uscire. A nove anni ero già diventata zia tre volte, e il mio gioco era diventato prendermi cura dei miei nipoti: li cambiavo, li accudivo, stavo con loro.

Avevo fratelli molto più grandi di me, quindi non ho mai avuto un vero rapporto di gioco con loro. Il più grande era il più “comandante”, il secondo invece mi faceva solo i dispetti faceva parte di un gruppo di ragazzi un po’ discoli, che giravano per il villaggio facendo delle birichinate. Ecco a volte mi ricordo che lui mi faceva dei commenti un po’ così… mi diceva di non mettermi lo smalto o il rossetto e di non fumare perché non era una cosa da donne, era un po’ autoritario.

La formazione e il mondo del lavoro

Nicole: Appena ho potuto, ho iniziato a lavorare durante le estati mentre frequentavo la scuola. Nell’ultimo anno di superiori ho lavorato anche durante l’anno scolastico e, subito dopo l’orale di maturità, sono stata assunta nel mio primo lavoro nella ristorazione. Mi sono sempre trovata bene. È stato bello capire cosa mi piaceva e fare esperienza. Per me è stata una rivalsa e mi sono sempre sentita supportata dalla mia famiglia in questo contesto.

Lorenza: Abitavo ad Aosta a partire dai nove anni e andavo a scuola a Sarre per finire la quarta elementare. Mi spostavo in autobus e d’inverno facevamo le piste di ghiaccio per scivolare. Essendo nata a fine anno, ero un po’ indietro con gli studi e poi neanche a me piaceva tanto andare a scuola. Però sono andata avanti e, dopo l’Avviamento commerciale (corsi professionalizzanti alternativi alle scuole “medie”), ho frequentato una scuola per segretarie d’azienda, che era appena stata aperta. Lì, la preparazione era ottima ed era una scuola quasi completamente femminile: c’era solo un maschio.

Sono andata a lavorare molto presto (subito dopo la scuola), per sei anni presso privati, poi ho trovato lavoro in un ufficio pubblico, dove sono rimasta per trent’anni. Facevo la segretaria e le mie colleghe erano tutte donne, ma i dirigenti erano tutti uomini ognuno con caratteri e personalità diverse.

Ho avuto vari dirigenti e capi – tutti uomini – e ognuno aveva la sua personalità: c’era chi era più rispettoso e sapeva creare un ambiente più rilassato, ma c’erano anche quelli più autoritari che, invece, non ci (le segretarie) trattavano come gli altri… All’epoca i dirigenti erano perlopiù uomini, ma ho conosciuto anche una dirigente donna che sapeva benissimo fare il suo lavoro… Per me è una questione di carattere, se sei una che sa farsi valere puoi fare tutto, e a me nessuno ha mai messo i piedi in testa.

Ho lavorato, ma ho anche avuto una famiglia. Ho sempre fatto tutto di corsa, e mi occupavo anche dei miei genitori anziani. Mio marito era contento che lavorassi, anzi, in casa servivano due stipendi. Ma questo per me non era nuovo, anche i miei genitori avevano un rapporto abbastanza paritario penso proprio perché eravamo in campagna e tutti dovevano lavorare. Mia madre lavorava nei campi finché eravamo a Sarre e mio papà invece aveva un’attività imprenditoriale.

Il rapporto tra due generazioni

Nicole: Io sono cresciuta con mia nonna, perché i miei genitori lavoravano. Noi abbiamo un carattere bello forte e molto simile, forse anche per questo a volte ci scontriamo.

Noi due abbiamo una grande passione in comune, oltre che un bel caratterino, il viaggio… Amo viaggiare, ho sempre viaggiato con la mia famiglia, soprattutto in camper con i miei nonni materni. Mi portavano sempre in giro con loro. Ora che sono adulta e sono indipendente mi piace spostarmi e fare delle nuove esperienze, ma comunque mi sento molto legata alla mia terra, la parte del viaggio che mi piace di più è tornare e ritrovare la mia casa qui. Mi piace vivere a Sarre, amo la vita di paese e cerco di partecipare a più gruppi possibile. Sono volontaria della Pro Loco, ho fatto parte dei coscritti, tutti gli anni faccio la Badoche, e ho lavorato come animatrice per i bambini in oratorio… Insomma questo è il posto in cui voglio vivere. Ecco anche in questi ambienti di paese non ho mai trovato problemi in quanto donna. Anche la Badosche la facciamo tutti insieme noi ragazzi.

Lorenza interviene: Eh, pensa che la Badoche era un gruppo esclusivamente maschile… In passato le donne potevano partecipare solo la domenica!

Nicole: Oggi noi donne facciamo festa esattamente come i ragazzi, andiamo sempre tutti insieme.

Lorenza: Ecco, giusto! Sei giovane è giusto fare un po’ di festa, bisogna godersi la vita a vent’anni.

Che cosa significa per te, essere donna?

Nicole: È una domanda difficile… Credo di non averci mai pensato veramente prima dei miei ultimi viaggi. In particolare sono stata recentemente in Kenya con un’amica e questa esperienza mi ha fatto riflettere su come vivono le donne lì. Siamo state in un villaggio di gestione italiana, dove lavoravano anche persone del posto. Parlando con un’animatrice locale, lei mi ha raccontato che in Kenya per le donne è molto difficile trovare lavoro, perché spesso rischiano di subire sfruttamento sessuale. Dal villaggio non sono mai uscita da sola, eravamo sempre in gruppo, perché girare da sole lì non è una buona idea, ce lo hanno ripetuto più volte i locali, sia le donne che gli uomini.

Lorenza: Ma diciamo che ho sempre percepito che agli uomini era permesso molto più che alle donne. Però non avrei voluto nascere uomo. Ho sempre avuto la mia indipendenza economica, lavoravo e quindi mi ero anche comprata la mia macchina da molto giovane… che per l’epoca era già un lusso. Penso che più di tutto sia stata l’infanzia in campagna ad insegnarmi la libertà: mi ha aiutata a non avere paura delle sfide e ad affrontare la vita a muso duro.

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