Disagio e malessere del personale di Polizia penitenziaria al carcere di Brissogne. Li denuncia la segreteria regionale dell’Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria, in una nota in cui si ricorda che “era l’8 maggio 2025 quando fu resa pubblica la lettera di dimissioni di un giovane agente” in servizio nel penitenziario valdostano.
Una decisione “sofferta, ma che accendeva una luce impietosa su una realtà interna definita dallo stesso collega come ‘un ambiente di lavoro tossico’, privo di serenità, compromesso nei rapporti interpersonali e carente nella gestione organizzativa e umana”. Per il segretario regionale della sigla sindacale, Carmelo Passafiume, l’auspicio era che quel gesto “così forte e simbolico, potesse rappresentare una scossa per le istituzioni e per i vertici competenti”.
A distanza di due mesi, “la situazione – stando alle segnalazioni ricevute – non solo non sembrerebbe migliorata, ma per molti versi risulterebbe aggravata”. Parole che arrivano all’indomani della visita, nella casa circondariale, del viceministro alla Giustizia, Francesco Paolo Sisto, che ha riferito di aver trovato nella struttura di restrizione “una Direttrice severa, ma aperta, che fa del trattamento nei confronti dei detenuti un punto di riferimento importante”.
Per l’Osapp, “non risulta che siano stati svolti approfondimenti sulle motivazioni di quelle dimissioni”. “Non ci consta – si legge nella nota – che qualcuno abbia chiesto conto, ad esempio, del motivo per cui non si sia aperto un dialogo con il collega dimissionario, né che siano state poste in essere iniziative concrete per ascoltare il personale e intervenire su dinamiche disfunzionali ormai evidenti”.
Agli occhi del sindacato, “i procedimenti disciplinari sembrerebbero essere aumentati in modo esponenziale” e “le risposte scritte provenienti dalla Direzione e dal Provveditorato regionale non trasmettono sempre equilibrio istituzionale, ma talvolta lasciano trasparire una certa irritazione nei confronti dell’azione sindacale, quasi fosse un disturbo e non un dovere di rappresentanza”.
Oltre a segnalare “un uso discutibile dei sistemi di videosorveglianza” e lamentare un sistema di valutazione del personale che, “anziché motivare, avrebbe diffuso malcontento”, il dato più allarmante, “che da solo restituisce la misura del disagio”, secondo l’Osapp, è nelle “oltre 5000 ore di servizio da recuperare, pari a circa due anni e tre mesi di lavoro non retribuito e da recuperare, a cui si aggiungono più di 700 riposi settimanali non ancora concessi, equivalenti a quasi due anni. In totale, si tratta di oltre quattro anni di lavoro complessivo non fruito, tra ore accumulate e riposi mai goduti”.
“Numeri del genere – prosegue la nota firmata dal segretario Passafiume – non sono solo una questione sindacale. Sono un campanello d’allarme che richiede interventi urgenti e concreti, nella consapevolezza che il personale rappresenta il vero motore della sicurezza e dell’ordine all’interno dell’Istituto”.
L’Osapp ritiene “necessario che le autorità competenti assumano consapevolezza della situazione reale, promuovendo un confronto costruttivo e soluzioni concrete, affinché si possa restituire dignità e serenità a chi quotidianamente opera nelle condizioni più complesse”.
In conclusione, scrive il Sindacato, “i proclami trionfanti assumono reale significato e valore solo se accompagnati da un ambiente di lavoro sereno e rispettoso; in assenza di ciò, tali affermazioni rischiano di risultare sterili e disconnesse dalla realtà quotidiana del personale”.